Per una serie di vicissitudini conosco Francesco Motta da quando era il frontman dei Criminal Jokers e cantava ancora in inglese pestando in piedi i suoi tamburi. Ho sempre pensato che fosse un talento estremamente sottovalutato e anche Bestie, il primo e unico disco dei Criminal cantato in italiano, metteva in evidenza le qualità mai sopite di un artista destinato a diventare grande.
Oggi, arrivato alla soglia dei trent’anni, Francesco ha pubblicato il suo “nuovo” disco d’esordio, stavolta mettendoci faccia in copertina e cognome come ragione sociale del progetto. La fine dei vent’anni ha finalmente rivelato tutto quell’estro che in nuce era già presente nel passato del musicista toscano, ma al tempo stesso ha alzato l’asticella della sua musica, rivelando suoni inediti per lui e una capacità di scrivere testi in modo più semplice e – proprio per questo – più incisivo. Senza fronzoli, senza volersi (più) nascondere.
Il merito è da ascrivere non solo al periodo di grazia che ha visto protagonista Francesco negli ultimi tempi, ma anche al lavoro maieutico del produttore Riccardo Sinigallia, che ha saputo tirar fuori finalmente la vera identità di Motta. Il magnifico risultato è sotto gli occhi di tutti.
“Riguardando il mio passato mi sono accorto che mancavano un sacco di cose”, ci racconta Francesco davanti a un caffè nella sua casa al Pigneto a Roma, città in cui vive da cinque anni. “L’incontro con Riccardo mi ha mostrato la via, è stato una luce per me”.
Il rapporto di collaborazione con Sinigallia ha inizio a novembre 2014, “ma al disco stavo già lavorando dal 2013. La cosa paradossale è che ne La fine dei vent’anni ci sono soluzioni musicali alla Riccardo che però sono opera mia, e viceversa cose che sembrano rispecchiarmi al 100% e invece sono frutto del suo intervento. Prima o poi ci passerà è il pezzo che lo ha convinto a produrmi”.
Sinigallia è stato molto presente anche nei testi: “Riccardo mi ha invitato a spiegarmi meglio e a rendere la parte lirica più immediata. Lui è produttore anche quando ci esci per andare a vedere concerti o ci stai a cena. Per me è stato come andare dallo psicologo. Ad esempio Mio padre era un comunista è nata perché un giorno, parlando in auto di colonne sonore, gli ho parlato di un disco assurdo di canti mozambicani risalente al passato politico di mio padre: mi ha invitato a scriverne e per me è stato come fare un tema a scuola sulla mia famiglia. Per scegliere la frase Quello che mi manca sei tu ci ho messo 6 mesi. Riascoltarla per me è un godimento puro e penso che quando racconti così tanto te stesso e chi ti circonda paradossalmente trovi anche più ascoltatori disposti a immedesimarcisi”.
“Il lavoro sul disco è stato certosino, sono stato attento a dire tutto ciò che sentivo. Ci è voluto tanto tempo, ho scartato tanti pezzi che pensavo mi piacessero e che invece si sono rivelate delle belle pennellate a cui mancava però un disegno. Non ho avuto paura di mettermi a nudo stavolta, semmai prima avevo timore di tirare fuori il mio vero io. All’inizio non sapevo che sarei arrivato fino a questo punto, coi Criminal trovavo punk l’idea di non farmi capire e di essere aggressivo, oggi ho capito che non c’è niente di più punk che scrivere un pezzo pop che si intitola Sei Bella Davvero. In Bestie era come se volessi ma non potessi. Oggi finalmente posso“.
Sull’essenza dell’album Francesco è chiaro: “per me non è un disco di passaggio, ci ho messo così tanto di me e così tanto tempo a scriverlo che difficilmente potrei dirmi più soddisfatto di quanto non sia adesso”.
Pur essendo pisano, Motta è insieme a Calcutta headliner del festival romano Roma Brucia. “Non mi sento appartenente a una scena romana se non per proprietà transitiva, visto che Roma è la mia città d’adozione e il disco è uscito in un periodo interessante per la Capitale. So però che Riccardo è il padre nobile della scena romana vecchia e nuova. È un artista fondamentale non solo per me, ma per tutta la città”.
Nel disco c’è proprio un brano che si chiama Roma stasera. Sul rapporto con la sua città d’adozione Francesco dice: “musicalmente ho voluto tirar fuori l’Africa di Roma, il torpignattaresimo. Roma è una città che crea aspettative ma al contempo può deluderle, e proprio dinanzi alle promesse non mantenute vengono fuori nuove speranze. La rinascita dal disincanto. Per un periodo sono stato affascinato da tutto ciò, non c’era posto migliore di Roma per vedere in faccia la crisi. Il pezzo è un omaggio a queste sensazioni e alla voglia di uscire e fare le sei di mattina tutti i giorni, un tributo a questa malattia sociologica che accomuna un po’ di persone che conosco.
Oggi non ho più la fascinazione verso lo schifo perché dopo un po’ annoia, ma nemmeno ho voglia di campagna. Diciamo che ho voglia di Quadraro, una via di mezzo (ride, ndr)”.
Dal punto di vista della musica, una costante del disco è il mantra. “La ripetizione dei suoni è un elemento stilistico che ho più volte inserito nei pezzi. Non è più l’approccio americano al loop tipico dei Black Rebel Motorcycle Club, è proprio l’Africa dei Tinariwen che mi ha influenzato e guidato. Allo stesso tempo poi non ho voluto fare il disco con accordature classiche”.
Di Bestie dei Criminal Jokers Francesco ripropone live tre brani (la title-track, Quando arriva la bomba e Fango), “riletti però alla luce di ciò che sono oggi, soprattutto a livello musicale”. Dal vivo Motta è affiancato – tra gli altri – da Cesare Petulicchio dei Bud Spencer Blues Explosion alla batteria e Laura Arzilli al basso, “una scelta naturale, che su disco è arrivata soltanto per le cose a cui io non potevo arrivare e dove c’era bisogno di un innesto esterno a livello energetico. Prendi l’intervento di Giorgio Canali, quasi un cameo di attore più che una semplice collaborazione musicale”.
Motta si dice sorpreso della calorosa accoglienza al disco, “soprattutto perché noto un’attenzione verso il lungo lavoro musicale da noi intrapreso, che non immaginavo”. E per un prossimo disco Francesco è sicuro: “non ci metterò poco tempo a scriverlo, ho capito che ci vuole sempre il testo giusto”.
“Oggi ho voglia di farmi capire, da tutti”: il manifesto del nuovo Motta.