Torna in Puglia per la quinta edizione il Farm Festival, nella splendida Masseria Papaperta, tra Alberobello e Castellana Grotte. Quest’anno, dal 10 al 12 agosto, si esibiranno gli headliner Yuck, Public Service Broadcasting e Lone, ma anche alcuni degli artisti italiani più interessanti del momento: tra questi, anche i romani Mary in June, che hanno recentemente esordito con l’album Tuffo, dopo alcuni anni di onorevole gavetta. Li abbiamo intervistati.
Tuffo è il vostro debutto, ma in realtà siete in giro da un po’ e non è propriamente la vostra prima apparizione discografica, visto l’EP Ferirsi di qualche anno fa. Vi va di ripercorrere i passi che hanno portato al disco?
È stato un percorso molto classico: dopo aver pubblicato Ferirsi e dopo averlo portato in giro abbiamo iniziato a lavorare su brani nuovi. Abbiamo provato tantissimo, non accettavamo live per stare in sala a sperimentare cose nuove. Giga e giga di materiale sono sepolti nei nostri hard-disk. Durante questo periodo abbiamo conosciuto Giorgio Canali, successivamente siamo entrati in studio per registrare.
Ho trovato l’album davvero riuscito, sia per il suo carico emozionale sia per l’energia musicale sprigionata. Quanto è importante l’emozione nella vostra musica?
Grazie. Se dici di trovare l’album riuscito per il carico emozionale rimaniamo soddisfatti perché è proprio quello che vogliamo trasmettere, l’intento è quello di risvegliare la parte più fragile dell’ascoltatore e portarlo a una consapevolezza: bisogna conoscersi davvero per “tuffarsi” in ogni circostanza della vita.
Per rispondere concretamente alla domanda sì, l’emozione è una delle matrici della nostra musica e non neghiamo che è un’esperienza meravigliosa dare forma alle idee e farsi stupire da quanta bellezza possono assumere.
Giorgio Canali è il vostro produttore artistico. Com’è stato lavorare con lui e in cosa si è sviluppato il suo intervento?
Lavorare con un mostro sacro, un idolo, è sempre affascinante e stimolante. Giorgio è un tipo determinato, infatti è riuscito a dare sicurezza alle nostre orecchie ormai viziate, avevamo lavorato troppo sulle stesure e rischiavamo di essere inconcludenti.
Quando si ha a che fare con chi ha più esperienza si aggiunge sempre qualcosina al proprio bagaglio…
Giorgio comunque ha lavorato tantissimo sulle voci e sulle melodie e ha equilibrato musica e parole.
Tra l’altro lo stesso Canali ha riproposto la vostra Un giorno come tanti nel suo ultimo album di cover Perle per porci.
Sì! Quel pezzo gli piacque molto sin da subito ma mai ci saremmo aspettati di trovarlo nel suo nuovo disco suonato con il suo stile inconfondibile.
Ovviamente per noi che lo ascoltavamo sin da ragazzi non sai quale grande soddisfazione è stata!!
In alcuni testi ci sono riferimenti a terre geograficamente lontane (il Pakistan, ad esempio). Come mai? Quanto è importante la dimensione del viaggio?
Il viaggio come lo consideriamo noi è qualcosa di avvolgente, è un’esperienza che consente di entrare in altre culture e abitudini, pertanto spesso ci si può scontrare con la crudezza di alcune realtà.
Alessandro (Morini, voce e chitarra, ndr) spesso si lascia ispirare in viaggio ed è per questo che si trovano citazioni e riferimenti.
Non solo i viaggi però sono importanti, molto spesso infatti sono le notizie relative ai Paesi in difficoltà, devastati dai conflitti interni, dal terrorismo e dalla povertà, a smuovere la sua sensibilità.
Confini ad esempio parla del conflitto ormai duraturo sulla striscia di Gaza.
Trovo che il termine “disagio” sia sempre più abusato e usato impropriamente, eppure penso che sia qualcosa che traspare nei vostri testi, in un modo decisamente raffinato, spesso “politico” nel senso più nobile del termine.
Crediamo come te che non sempre il disagio si possa accostare a qualcosa di negativo. In una società come la nostra spesso chi riflette e analizza tanto le situazioni e le vicende, si sente a disagio.
Il nostro è un punto di vista decisamente personale: Ale cerca di dipingere immagini con le parole senza però diventare attivista, ma cercando di rimanere spettatore e fruitore di tutto ciò che lo mette a disagio e quindi lo invita a riflettere.
Nel video di Fango appare Betani Mapunzo, noto per la web-series The Pills ma non solo. Come mai avete scritturato proprio lui?
Betani lo conosciamo da tempo, è un grande amico e grande amante del genere… lui e i concerti emo – punk – post rock sono una sola cosa, lo volevamo al centro del video un po’ come un’istituzione.
In un periodo musicale in cui i synth abbondano e l’elettronica ricopre un ruolo sempre più dominante anche per le band rock, secondo voi c’è ancora spazio per le chitarre?
Anche nel nostro disco di synth se ne possono ascoltare molti! Di sicuro non siamo un gruppo che fa elettronica ma la ascoltiamo moltissimo e ne siamo molto influenzati. La nostra base ritmica e armonica è tutta suonata ma gli ambienti e le atmosfere sono tutte date dalle tastiere. Suonare sulle corde ti fonde completamente con lo strumento che diventa inesorabilmente un’estensione del corpo e questo dà tanto il senso del rock, di fomento!
Decisamente sì, c’è ancora spazio per la chitarra ma a breve suoneremo con due tastieristi!
Post-rock, emo, punk, folk sono a mio parere i quattro elementi principali della vostra proposta. In che modo siete passati dell’ascoltare certi generi a decidere di suonarli e formare una band?
Il metodo migliore è stato quello della condivisione, abbiamo ascoltato la stessa musica per molto tempo e ancora continuiamo a farlo. Abbiamo amato gli stessi dischi ed è stato proprio questo ardore a creare poi la necessità di dire la nostra consapevoli di ciò che volevamo, sentivamo soprattutto la necessità di farlo insieme perché crediamo nelle energie che confluiscono in un’unica forte e devastante e perché da soli è troppo facile e non si va troppo lontano.