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A metà anni Ottanta, in piena epoca Tatcher, due ragazzi inglesi figli di immigrati – Rudy Tambala e Alex Ayuli – formarono una band che ottenne anche un discreto successo con la hit Pump Up The Volume sotto il nome MARRS insieme ai Colourbox. Si sciolsero nel 1994, non prima di aver pubblicato alcuni dischi che col tempo si rivelarono seminali. Su tutti, 69. La band si chiamava A.R. Kane e la loro influenza pesò su tutta la nascente scena dream-pop, shoegaze e trip-hop.
A vent’anni di distanza, orfano di Ayuli, Rudy ha rimesso in piedi il progetto, calcando il palco del Primavera Sound – sempre attento alle reunion più insperate – e calando in Italia a luglio per il Siren Festival di Vasto e il romano Half Die. In quella occasione lo abbiamo intercettato per farci raccontare com’è andata e come andrà. Tra le altre cose, si è parlato anche di Brexit, di quanto gli anni Ottanta non fossero poi ‘sto granché e di quanto la musica contemporanea lo butti giù.
Come ti senti a essere tornato in pista con gli A.R. Kane dopo tutto questo tempo?
Il tempo è un’illusione, non riesco a ragionare in termini di tempo e per me è complicato averci a che fare. Ignorando questo aspetto, è una bella sensazione, fresca e nuova. Sembra come è sempre stato: musica, creatività, duro lavoro, felicità, amore, piacere, irritazione, frustrazione. Mai abbastanza soldi, sempre un milione di idee che non saranno mai realizzate. La musica è questo, almeno per me.
Come hai selezionato la nuova line-up?
Mia sorella Maggie ha fatto sempre parte degli A.R. Kane. Andy Taylor è un caro amico di mia figlia Alice, veniva spesso a casa per i pasti e subito dopo spesso suonava e cantava. Si è adattato facilmente. È come se fosse uno di famiglia.
Perché Alex non ha partecipato alla reunion?
Gliel’ho chiesto e mi ha risposto “no, grazie”. Quest’è quanto, non conosco le sue motivazioni o ragioni.
È solo nostalgia oppure pensi davvero che gli A.R. Kane siano tornati per restare?
Nessuna delle due. La nostalgia è un sentimento velenoso, nega la nostra vita di ora. Amiamo suonare come A.R. Kane, non abbiamo data di scadenza, facciamo semplicemente ciò che facciamo e non so per quanto tempo ancora. Le cose si evolveranno, faremo nuove registrazioni. Se ciò non avverrà allora vorrà dire che avremo raggiunto la data di scadenza, e potrò tornarmene a dormire.
Sebbene abbiate ottenuto un discreto successo commerciale alla fine degli anni Ottanta, la vostra musica ha influenzato molti artisti a venire ed è stata un paradigma per molti generi sviluppatisi negli anni Novanta. Ti senti un pioniere?
Guadagnammo una piccola fortuna che ci permise di costruirci un nostro studio, gestire un’etichetta discografica e una società di produzione, che ci hanno mantenuto per un decennio. Non lo definirei un “discreto successo commerciale”. No, non eravamo milionari, ma quali altri band indie sperimentali fecero come noi? Sì, in retrospettiva possiamo essere definiti pionieri, sebbene il termine sia un tantino esagerato, visto che non è che siamo andati sulla luna, abbiamo inventato la penicillina o la chirurgia a cuore aperto, o creato Facebook. Abbiamo sperimentato perché quelli erano il tempo e il luogo in cui siamo nati, quella era la nostra natura, e qualcuno è stato influenzato da tutto questo.
Diverse band shoegaze e dream-pop di fine anni Ottanta/inizio anni Novanta si sono riunite negli ultimi anni, ottenendo l’apprezzamento di nuove schiere di giovani fan. Per citare Simon Reynolds, pensi si possa parlare di retromania?
Sì, se fosse un termine che utilizzassi io. Io ero influenzato dagli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. Mi risulta difficile credere che qualcuno guardi agli anni Ottanta e provi qualcos’altro se non divertimento, imbarazzo e disgusto. Credo che la gente guardi al passato con troppa indulgenza.
69 è il tuo album preferito tra quelli pubblicati dagli A.R. Kane?
Sì, lo è. Il più spontaneo, creativo e senza compromessi. E ha anche una bella copertina.
Da quali musiche eri influenzato quando hai cominciato a suonare?
Mia madre suonava sempre i valzer di Strauss, per questo abbiamo usato spesso il 3/4. Oh, e i Velvet Underground. Questo è quanto. Oh, e il dub, il punk, la disco, il jazz, il funk, il new romantic, la new wave, la house, la classica, il folk. Non il country.
Ci sono artisti contemporanei che ammiri?
No, la musica contemporanea è brutta, conservatrice, retrò. Morta. Il pop è morto. Quasi tutte le band sono semplicemente pagine Facebook, con un’attitudine da “guardami, guarda quanto sono fico, guarda i miei amici, guarda quanto siamo fighi”. C’è un’ossessione per l’immagine. Tutti sono così raffinati e ben informati, è tutto così artificioso, è come una realtà musicale distopica di cloni, e copie di cloni di cloni. Sogno di ascoltare finalmente qualcosa di genuinamente nuovo, diverso e meritevole non per chi la esegue, ma al servizio della musica. Consigliami qualcosa, pure una semplice canzone che mi faccia dire “Cazzo, che figata”.
Ora che sei di nuovo in tour, quali sono i posti e i club che preferisci?
Preferisco i club più intimi e raccolti, con i veri fan, ma mi piacciono anche i festival – mi piacciono abbastanza i turisti musicali. Preferisco le nazioni dove non ci sono tanti fascisti conclamati, in cui posso girare per strada senza essere importunato o bullizzato. Forse dovrei lasciare questo pianeta, di nuovo.
Da cittadino britannico che ne pensi della Brexit?
La Brexit è ciò che la Gran Bretagna voleva davvero, non ha mai voluto davvero far parte dell’Europa. È un’isola, lontana dalle coste europee. La ragione per cui è la patria della musica più popolare risiede proprio nel fatto che è staccata, una outsider se preferisci. Se diventasse europea perderebbe la sua ragion d’essere. Ogni britannico voleva mantenere la sterlina, rifiutarsi di parlare lingue straniere, continuare a bere troppa birra e mangiare cibo di merda. Qualsiasi cosa dicessero i promotori del Remain, nemmeno loro amavano davvero l’Europa: semplicemente odiano la gente più povera e gli ostacoli al loro modo di vivere e viaggiare. Oh, e anche i beni importati a basso costo e i salari più convenienti. È una vergogna che sia diventata così apertamente razzista, ma in verità la Gran Bretagna è sempre stata una nazione razzista, come Francia, Italia, Germania, Spagna, Belgio, Polonia, Svezia, etc. Gli europei odiano gli stranieri, in generale. Oggi ce l’hanno coi musulmani o gli est-europei. Un domani temo se la prenderanno coi neri – chiunque sia di origine africana. L’umanità sta andando in una brutta direzione, diventa sempre più impaurita, piena di odio e incivile. È un buon momento per fare musica. Stiamo solo cominciando a vedere tutto ciò: quello che un tempo era esotico e affascinante, ora è minaccioso e irritante. Bentornati ai vecchi tempi.
Quando cominciate a registrare?
Abbiamo cominciato qualche settimana fa. Non so quante canzoni registreremo e quando le pubblicheremo, o con chi, visto che non abbiamo un’etichetta. Vediamo come va.
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