Lo scorso 27 agosto i JoyCut sono arrivati sul palco del Rock En Sein: ne abbiamo approfittato per farci raccontare com’è andata e per fare un po’ di chiacchiere con loro.
Sui destini dell’umanità della musica.
Qui un assaggio della loro esibizione al ReS.
#JoyCutNeverStops. Quest’estate vi ha visti in giro per il mondo: tra la Cina, il Giappone e l’Europa. In particolare, siete arrivati sul palco del Rock en Seine. Com’è stato esserci?
Siamo in movimento da tre anni esatti_ Quando viaggi così tanto -incessantemente- quello che puoi vedere nemmeno gli occhi lo sanno interpretare_ Non ne rimane traccia_ Non restano impressioni sulla retina spalancata_ In Cina e Giappone, per esempio, la natura umana è stata imperiosa_ Sovrastante e profonda_ A volte le categorie cognitive non sono nemmeno sufficienti_ Ballano lente come fantasmi fin nelle orbite bisecate dal silenzio_ E, a riavvolgere il nastro si fa fatica, perché non è una estate, una stagione o un momento… è la tua stessa esistenza_ Che procede_ Ti perfeziona_ Ti accompagna verso l’unico fine che abbia davvero un senso: “diventare te, divenire finalmente se stessi”_ Rock en Seine l’abbiamo vissuto così_ Come un ulteriore passaggio_ Quel doveroso processo di crescita che conquisti passo dopo passo, dopo aver solcato tracciati fuori dall’ordinario_ Battuto sentieri significativi [per noi ricchissimi di significato simbolico – vedi qui] ed aver ottenuto consensi, riscontri, gratificazioni professionali riconosciute ripetutamente, dagli addetti ai lavori, di ogni parte del pianeta_ Lo show di Parigi ha già segnato un cuneo fondamentale per il nostro vissuto_ Essere presenti all’interno di un cartellone così denso di qualità selettiva, in uno slot determinante, su uno dei palchi storicamente più attenti ad offrire quanto di meglio ci sia nella scena innovativa globale, sancisce per noi un salto di orbitale che non possiamo più ignorare: figli della parabola del Leicester City accettiamo sempre con grande onore una vittoria meritata sul campo_
Con un tour così fitto, probabilmente non sarà cosa facile ritagliare uno spazio per i progetti futuri.
Nulla di prezioso può accadere ad un individuo che sa esattamente ciò che vuole_ Il futuro per questo progetto non è mai stato una ossessione, né lo sarà a partire da questo momento: a compimento di una meravigliosa e fortunatissima esperienza durata così a lungo_ Una avventura che ci ha permesso di consolidare legami infallibili e filtrare gli hacker dell’ultima ora_ Può apparire per nulla scontato, assurdo o paradossale, eppure durante fittissimi tour -come quello degli Stati Uniti & Canada- [44 concerti in 44 giorni, 27 stati, 18.000 Km, 10 ore di Van al giorno] di tempo per farsi violare dall’assoluto ce n’è, eccome_ Si vagola fra introspezione e riflessione_ Si ascolta, si scrive, si immagina, si progetta, si racconta, si “riprende” e “registra” la realtà ed il tutt’intorno… sempre_ Ogni attimo è una occasione imperdibile da non lasciarsi sfuggire_
Quali sono i 3 dischi a cui i JoyCut devono tutto.
La riflessione è soprattutto legata ad una dimensione autobiografica ed emotiva rilevante:
The Smiths – Strangeways Here We Come | il primo disco fortemente desiderato, acquistato con un patrimonio autonomo ed indipendente_
The Cure – KissMe KissMe KissMe | la prima cassetta registrata per una ragazza del liceo, diventata colonna sonora di quella “prima volta”_
Roger Waters/Pink Floyd – The Final Cut | il primo lavoro discografico percepito -a quell’età- come una vera e propria “opera”: ricca di riferimenti storici e contenuti estetici contemporanei, messaggi subliminali e formalismi linguistici affascinanti: “Scusi dov’è il Bar ?”_ Album presentato a scuola come ausilio didattico durante una interrogazione sulla Seconda Guerra Mondiale_
Volevo chiedervi se e in quale misura vi sentite distanti dall’Italia e da quanto succede qui, musicalmente parlando.
Di fatto, negli ultimi tempi siamo stati davvero materialmente lontani_ Eppure ciò non ha “scosso” l’interesse che sempre mostriamo per ciò che qui si muove_ Il nostro paese è un giardino florido di talenti, perché mai discriminarlo? Per ovvie ragioni, estendendo il nostro campo oltre i confini di riferimento, si riduce il raggio di azione e di attenzione, e -di conseguenza- le collaborazioni che stiamo producendo sono orientate verso altra geografia_ Fortunatamente sempre più progetti italiani cominciano a valicare le colonne_ Diventa così ancora più semplice seguirne le gesta in mare aperto_ Alcuni li abbiamo incrociati negli showcase festival europei, qualcun altro oltreoceano, e, molto più di quanto la stampa riesca a fare, fra noi le informazioni vibrano vivissime ed ognuno è aggiornato su quello che succede all’altro_ La distanza è più netta nei confronti dello status quo discografico_ Il filosofo diceva che il buon gusto richiede organizzazione tempo e disciplina_ Presto fatto_ In questo ambito la mancanza di un organo competente è netta, evidente, profonda_ Troppo spesso e senza nessuna tutela, siamo stati vittima delle proclamazioni di intenti senza portafoglio_
Assunti pirotecnici referenziati da pretese di esperienza e professionalità discutibili, al punto di permettersi di suggerire cosa e come fare senza mai davvero saper garantire come e cosa ottenere_ Va a finire, che le band, i progetti, gli artisti [anche italiani] che davvero ci piacciono li proponiamo noi, da soli, ai nostri contatti internazionali_ Siamo contenti di mettere al servizio la nostra dimensione, poter accelerare certe procedure altrimenti complesse_
Là fuori non c’è mica da aver paura_ Ogni passo ci regala la neve_ Ogni respiro affoga nella radura spettrale_ E gli arbusti fecondi si erigono senza ombra_ Colori così saturi da far commuovere_ E quelle nuvole ci allontanano da una unica comprensione_ Regalandoci finalmente l’essenza, che sempre abbiamo desiderato abitare e, che per di più, ci spetta davvero_