Seguiamo il percorso artistico di IOKOI dal 2012, quando le abbiamo chiesto di suonare sul balcone –visione consigliata tra l’altro. Poi è stata la volta di Growing young e ora che c’è un nuovo album, Liquefy, abbiamo deciso di intervistarla per conoscerla meglio.
Ciao Mara, il tuo debut album è un lavoro intenso, si percepisce fin da subito. Hai probabilmente lavorato molto su te stessa e poi dopo sulla musica, ecco perché non hai avuto fretta di far uscire le tue produzioni. Il tuo è un percorso, più che un disco. Sei d’accordo?
Concordo assolutamente. La mia musica è cambiata molto con me negli ultimi anni; partendo dall’osservazione personale e del mondo a me circostante, dalla riflessione interna ed esterna della rincorsa tecnologica odierna e i cambiamenti collegati ad essa, positivi e negativi. Tutto questo si è diluito e contaminato ulteriormente suonando live in contesti fra loro molto eterogenei.
Una parola è particolarmente connessa con questo album; hyper-cyberealism. Ci spieghi la connotazione del termine e il filo rosso che lo lega alla tua musica.
Ho scelto il termine #HYPERCYBEREALISM per descrivere la percezione odierna di una realtà cibernetica aumentata che si fonde sempre più con lo spazio fisico che occupiamo. Questa “terra di mezzo” è uno spazio liquido, che ci permette di crearci e ricrearci in base alla percezione che abbiamo di noi stessi e all’immagine che vogliamo darci e dare agli altri. Conduciamo vite multiple, veloci e soprattutto abbiamo la possibilità di collegarci con chiunque da ovunque, in ogni momento. Ci si può trovare o perdersi completamente, sta a ciascuno di noi trovare il proprio equilibrio.
‘Liquefy’ parla esattamente di tutto questo in quanto composizione di riflessioni personali nate da osservazioni collezionate a casa, in giro e nel www.
Liquefy rappresenta la tua comfort-zone o è solo un aspetto della tua ricerca artistica?
’Liquefy’ è una mia comfort-zone momentanea. Non amo però trattenermi molto nelle comfort-zones, per questo sono andata oltre già da tempo, in altri contesti artistici, ma anche in ambito sonoro.
So che hai preso parte ad un collettivo, qui a Milano. Quanto ha influito quell’esperienza?
MADAM (Many Atoms Develop A Mountain) è un collettivo che ho fondato assieme ad altri artisti, amici nella vita quotidiana. È nato d’istinto, da uno scambio di stimoli tra amici, dal passare del tempo insieme, dalla voglia di contaminarsi a vicenda e dall’esigenza di fare cose. E anch’esso molto dinamico, liquido (al momento tocca Milano, Zurigo, Friburgo, Londra, Amsterdam e Ghent) e proprio in questa sua forma ha influito e influisce senz’altro su di me, su Iokoi e su ‘Liquefy’.
Oggi avere una label vuol dire tutto come niente. E tu con OUS hai espresso il tutto a mio avviso. Questo progetto, come meglio mi dirai se vuoi, riserva una particolare attenzione sulla figura dell’artista e lo fa nei migliori dei modi; con i live. OUS e il suo roster si esprime attraverso la live performance. Allora non posso che chiederti tu come vivi il live e quale concept vuoi sviluppare negli anni al riguardo con la tua label.
Grazie Luca! OUS oltre a essere una label è una famiglia fatta da pochi componenti, con tanta voglia di fare e sostenersi a vicenda. In questo intento è molto simile a MADAM, con cui si fonde frequentemente. Più che attraverso la live performance OUS si esprime grazie alle visioni forti dei singoli artisti che ci rappresentano.
Per quanto mi riguarda la live performance è molto importante e va a pari passo sia con la concezione che con la produzione musicale. In ‘Liquefy’ le concederei addirittura un ruolo centrale. Con ARIA, mia compagna di viaggi (anche mentali) ormai da più di due anni, abbiamo ricreato una messa in scena di multipli “se”, proiettati e realmente performanti, che attraversano spazi liquidi e si fondono con texture statiche in tempo reale.
Detto ciò in OUS non vogliamo darci nessun tipo di etichetta che ci limiti a escludere artisti che in realtà ci entusiasmano ed è esattamente questo il concept: prendere l’entusiasmo singolare artistico e umano come punto di partenza collettivo per fare, portare avanti cose belle.
Io sono ammaliato da Senking. Come vi siete incontrati? Cosa pensi che abbiamo portato nel suo disco per OUS della sua esperienza nella mastodontica Raster-Noton?
OUS e Senking si sono incontrati tramite il mio socio feldermelder, con il quale ha collaborato a un progetto. Jens è fantastico, a livello artistico quanto umano, ed è per questo che gli abbiamo chiesto se volesse fare la prima uscita della nostra 7”-Series.
Riuscire a partire con un nome abbastanza noto a livello europeo ci ha regalato sicuramente della visibilità non indifferente, soprattutto perché OUS era in fase di nascita. Ma l’esperienza condivisa sui live per l’uscita del 7” e il rapporto creatosi durante la nostra collaborazione sono sicuramente la più grande soddisfazione.
Tornando invece al tuo album, io ammetto di far parte della fastidiosa categoria di persone che sceglie i dischi, anche, per la copertina. L’artwork è davvero interessante e sicuramente degno di nota per gli appassionati di arte contemporanea poiché riprende un tema ricorrente, quello del ritratto fotografico. Chi ha curato l’aspetto estetico di tutto il disco?
Avevo le idee ben chiare sulla sensazione che avrebbe dovuto trasmettere la copertina di ‘Liquefy’. Infatti la ricerca artistica per trovare la persona adatta con cui collaborare è stata veramente lunga. Alla fine arrivai a Mathieu Missiaen dello studio creativo parigino LE CREATIVE SWEATSHOP, che senza troppe spiegazioni ha interpretato perfettamente la storia di ‘Liquefy’ nel suo ritratto fotografico. Ebbi la stessa fortuna con FICHTRE, grafico di casa OUS, a cui ho lasciato carta bianca. Sono ancora molto felice del risultato finale e delle scelte fatte insieme!
Quanto è importante l’arte figurativa nel tuo processo creativo?
La componente figurativa fa parte del mio processo creativo quanto la parte sonora o testuale. Non ho un metodo di lavoro ricorrente, tutto parte a caso e di pancia prima di essere elaborato nel processare sensazioni e informazioni, sperimentando e facendo ricerca. Anche questo è parte del motivo per cui ci ho messo tanto a fare uscire ‘Liquefy’; sapevo bene quale sensazione avrei voluto trasmettere, ma ci ho messo un po a trovare la forma giusta per evidenziarne il filo rosso.
La tua musica ha incontrato i mondi del Teatro e del Cinema. Prima con lo spettacolo “Thank You For The Lovely Flowers” e poi grazie alla collaborazione con lo Swiss Institute of Incoherent Cinematography. Pensi che all’interno di queste due realtà possa trovare naturale sviluppo la tua musica anche in futuro?
Assolutamente sì. Mi piace come la musica, solitamente intoccabile, possa prendere una forma visiva nello spazio fisico attraverso l’incontro con altre forme d’arte. La mia collaborazione con lo Swiss Institute of Incoherent Cinematography va avanti da anni ormai, direi quasi a livello familiare e sicuramente continuerà. Amo l’incontro tra film muti datati e musica contemporanea ed è proprio in queste sonorizzazioni improvvisate che riesco a dare uno sfogo all’istinto contaminato dall’imprevedibilità del momento e dalla bellezza dell’imperfezione.
Yamamoto come ha commentato il tuo lavoro con il soundtrack? Chi è a tuo avviso il maestro del soundscape?
Ahahah, Yamamoto non ha commentato direttamente il mio lavoro, o almeno non con me. In generale però siamo rimasti tutti molto contenti del lavoro fatto insieme. Non credo io riesca a definire un maestro del “soundscape”, ma generalmente parlando, forse un maestro del suono e dell’ascolto mio personale: John Cage.
Ultima, la traccia che hai ascoltato prima o dopo aver risposto a queste domande.
Durante: Terry Riley – Aleph Part 2.
Ah quando i miei amici mi hanno chiesto di “riassumerti” brevemente, ho risposto così: Il raffinato incontro di Grimes e FKA Twigs. Può andare?
Ognuno è libero di riassumermi in base alla propria percezione, per cui sì, può andare. Anzi, grazie!