In un momento storico in cui la musica (e non solo) è sempre più mordi e fuggi, ci sono voluti quasi 4 anni ai Marcello e il mio amico Tommaso per dare un seguito all’esordio Nudità. Il nuovo album è finalmente uscito una settimana fa e si intitola Un amore (lo scaricate gratis qui). In un lasso di tempo così può cambiare tutto e può non cambiare nulla: è cambiata l’etichetta che spigne i dischi dei Marcelli (Noia Dischi al posto di 42 Records); sono cambiate certe dinamiche nelle vite dei singoli membri della band, tra nuove città e lavori; sono mutate le modalità di registrazione del disco (Un amore è stato registrato in presa diretta, senza badare ad errori o tempi sbagliati); c’è un approccio più elettrico alla canzone; è cambiato anche l’ambiente intorno, con l’affermazione della cd. scena romana.
Non è cambiato l’aspetto più importante, per fortuna: con Un amore ritroviamo quella sensibilità, quella genuinità e quel gusto di scrivere buona musica che è nel DNA dei Marcelli e che li rende per noi una band preziosa. Quel manipolo di anime belle a cui daremmo tutto il tempo del mondo pur di poter tornare ad ascoltarli ancora, anche se fosse per una traccia sola.
Abbiamo lasciato che fosse Marcello Newman a raccontarci storie e retroscena della genesi di ogni brano. Ciò che vi consigliamo di fare è di ascoltare Un amore con attenzione e un sorriso disincantato stampato in faccia.
Non volendo dare una chiave interpretative univoca al disco nel suo insieme o alle canzoni prese individualmente, mi piacerebbe illustrare un pochino il processo che le ha portate ad essere. Per noi è stato un disco molto complicato da scrivere e da registrare. Immagino che capirci qualcosa può essere utile ai nostri (tre o quattro) ascoltatori, oltre che a noi.
La luna
Uno dei primi pezzi scritti per questo disco. Il testo e l’idea complessiva della canzone sono ispirate al racconto L’incantesimo della natura di Buzzati, presente in 60 racconti. La parte centrale del testo, quella cantata da Adelaide, l’ho scritta su un aereo in America. Era un periodo in cui non stavo bene e quella sospensione, data dal viaggio, l’avrei prolungata per sempre. Un po’ ho pensato che assomigliava all’intervallo di tempo che c’è tra la visione della luna che si avvicina sempre di più e il momento in cui effettivamente colpirà, come anche in Melancholia di Lars von Trier. Insomma, quello che volevo dire è che in quell’intervallo di tempo lì ci viviamo già: moriamo tutti prima o poi.
Neko Case
Quando mi sono trasferito a Parigi vivevo in una minuscola soffitta e all’inizio non avevo neanche una chitarra. Ascoltavo tantissimo Neko Case (e il suo vecchio gruppo, i New Pornographers) e mi consolava molto. Mi mancavano molto gli altri membri dei Marcelli, mi mancava fare musica. Con questo in mente mi sono messo a tradurre il testo di My Only Friend dei Magnetic Fields con Gianlorenzo, riprendendone anche la melodia della voce e parte dell’armonia. Non ho avuto modo di suonarlo con gli altri fino a Natale, quando ci siamo chiusi nella saletta dei Sadside Project (grazie ancora!) per arrangiare questa e La prima canna. Mi sa che l’avevamo suonata tutti insieme tipo 3 volte prima di andare in studio.
Non è il top
Per me è il momento glam di Adelaide. È una canzone strana, a metà tra indie rock scaciato un po’ tipo Pavement e un sacco di lustrini. Forse è perché il testo è molto triste in realtà, ma sembra quasi allegro per come lo cantiamo. All’inizio il giro d’accordi non era così, prevaleva il Mi minore e non andava mai in La maggiore (l’accordo sulla parola “fine”, per capirci). Quel cambio lì è stato suggerito da Francesco Motta, una sera a cena da lui. Effettivamente gli dà tutto un altro sapore, molto più americano. Forse oggi è il pezzo che amo di più riascoltare.
Una domenica al mese
Il pezzo più emo del disco e il primo che abbiamo arrangiato insieme in sala prove. Per un anno abbiamo affittato questo box vicino alla stazione Tiburtina insieme ai Departure ave. del nostro Lorenzo Autorino. Era un posto umido e buio ma sapeva di casa. Prima di quel box i Marcelli non avevano mai avuto un correlativo oggettivo geografico, ed è stato importantissimo averlo.
La sola coppietta del mondo
Volevo che il pezzo suonasse come una ballata dei Big Star ma non riuscivo a cantarla nel modo giusto. Dopo una cinquantina di take di voce da buttare, Jesse Germanò (produttore del disco e frontman dei John Canoe) mi ha fatto sdraiare per terra al buio e cantare con un filo di voce e il microfono quasi attaccato alle labbra. Il pianoforte, invece, l’ho registrato scroccando di nascosto le sale prova della Goldsmiths University a Londra, più di due anni dopo.
Nausicaa
Sembra assurdo a ripensarci ma il disco è nato come un concept album sulla fine dell’Odissea. Il riavvicinamento tra i personaggi, che qui succede senza che ne parlino mai tra di loro (almeno credo), portava poi a un incontro, poi una stasi, poi un’altra crisi e infine a una ripartenza del protagonista. Nausicaa doveva essere il primo pezzo del disco, in cui il protagonista ancora smarrito viveva la sua ultima storia prima di mettersi in viaggio definitivamente verso Itaca. Alla fine del disco si doveva compiere la profezia di Tiresia:
‘E quando i pretendenti nel tuo palazzo avrai spento,
o con l’inganno, o apertamente col bronzo affilato,
allora parti, prendendo il maneggevole remo,
finché a genti tu arrivi che non conoscono il mare,
non mangiano cibi conditi con sale,
non sanno le navi dalle guance di minio,
né i maneggevoli remi che sono ali alle navi.’
Odissea, XI, 90-137
Il senso era che c’è proprio qualcosa di impossibile nell’idea stessa di ritorno. Credo che quell’idea sia rimasta nel disco, suggerita un po’ ovunque, soprattutto nella ferrovia.
Tutti gli stessi
È l’ultimo pezzo che ho scritto per il disco e il primo che ho registrato a Londra. La canzone mi piace molto e sono felice di come suona ma non nascondo che mi dispiace tantissimo non averla potuta arrangiare e incidere insieme agli altri. Lo stesso vale per La ferrovia. Il testo è un adattamento di una poesia che ho scritto in inglese un paio di estati fa, la copio qui sotto:
Fireworks commemorate a failed coup
A thousand miles under me as I fly in
On a Ryanair flight like everyone else
Like the millions beneath me have done before.
I typed the names of 352 people into a computer two weeks ago
And thought about that time this summer
When I saw the ripples in the sea
Against your body as you walked in
I could almost feel the chills they gave you.
Right now
Of all these people
I just want you.
2009 (un sogno)
Una volta Francesco Motta mi ha detto che secondo lui i Marcelli erano i Beat Happening. Mi ha scosso un sacco che ci associasse a loro e ovviamente lusingato molto. Pensandoci ho capito che si riferiva principalmente a due cose: la batteria scarna e la tragica goffezza del mio personaggio. In 2009 volevo evidenziare entrambe le cose, scegliendo la take più strana tra quelle registrate. A distanza di anni continua a piacermi tanto, nel suo essere così sghemba ha qualcosa di super violento.
La prima canna
È il pezzo più triste del disco. L’ho scritto a Parigi e poi fatto uscire in una versione molto diversa, registrata con Niccolò Contessa a Roma due anni fa. Riguardo l’arrangiamento, mi ricordo che parlavamo spesso dei Yo La Tengo, poi invece è uscita una roba diversa.
La ferrovia
Nonostante io l’abbia registrata a Londra senza il resto della band, La ferrovia mi sembrava perfetta come ultima traccia del disco. Dopo l’abrasività delle altre canzoni, volevo che questa suonasse soffice, suggerendo una via di uscita dai pezzi precedenti. In quello è una canzone paradossale: non si capisce davvero cosa il protagonista stia facendo, se andando da lei o no, se la sua consapevolezza sulla natura della sua nostalgia lo limiti in qualche modo. Eppure la vita va avanti, come quei mattini stranissimi che seguono giorni di lutto. Il temino all’inizio e nella parte centrale è una citazione di On the Beach Boys Bus dei Maher Shalal Hash Baz.