Oltrefuturo è la nuova creatura di Valerio Ebert e il suo primo disco, Marshall McLuhan, è uscito lo scorso 22 Novembre per la netlabel italo/giapponese I Low You Records di Earthquake Island.
La “I Low You records” nasce per dare un nuovo spazio alla musica indipendente sperimentale, elettronica e non. Come suggerisce il nome stesso, abbraccia una certa predilezione per la musica Lo-fi ma intesa come musica semplice, fatta per il piacere di farla, non necessariamente sporca o grezza.
Abbiamo chiesto a Oltrefuturo di raccontarci Marshall McLuhan traccia dopo traccia.
Le distanze non esistono
Dolcezza e distorsione. Il pezzo è interamente composto da un pianoforte distorto. Sono le macchine che parlano a due amanti lontani, con carezze virtuali. Con questo brano sembra di essere in una puntata di Black Mirror in cui si parla di un’intensa storia d’amore a distanza che finisce in tragedia. E indovinate chi sopravvive? La macchina, il medium: freddo messaggero impassibile davanti al dolore umano, che indubbiamente “annulla le distanze” permettendo a tutti di comunicare, ma in questo caso le elimina proprio del tutto, perché è la causa della fine, e quindi annulla proprio il legame stesso.
Il mezzo è il messaggio
Il brano si apre con quelli che sembrerebbero essere segnali spezzettati, e se in un primo momento fa venire in mente le vecchie stampanti di una volta, dopo un po’ queste si trasformano in segnali elettronici di keyboards che battono all’unisono all’alba di una nuova era. Tanto siamo sempre e comunque scimmie evolute, un po’ di giungla ce la portiamo sempre dentro, e nel 2016 la facciamo suonare insieme a raffinati apparecchi elettronici, nel caos dell’Antropocene.
Il Teatro globale
Vento e solitudine. La solitudine della spettacolarizzazione sociale. L’interazione tra individui si è quasi centuplicata, banale e scontato dire che ciascuno di noi è diventato merce di intrattenimento dell’altro, nel bene e nel male. E questo brusio assordante che riempie in continuazione i nostri sensi (se ci pensiamo accendendo i pc siamo costantemente sottoposti a stimoli audiovisivi, e non solo), in realtà, se visto bene, è molto più silenzioso di quanto sembri, perché siamo tendenzialmente sempre soli, e il più delle volte guardiamo delle immagini dietro un pezzo di vetro grande come la nostra mano. Ma specialmente, l’iperconnessione non elimina una più insidiosa solitudine esistenziale, condizione stessa della dimensione delle cose finite. E si è dunque sempre soli, all’interno di confini più ampi. Popolato più da mezzi, probabilmente, che messaggi.
La fine della natura
Questo è un pezzo in realtà molto primordiale, che evoca distruzione, come il nuovo che distrugge il vecchio correndo sulla linea del tempo, fino a quando il vecchio non coincide proprio con il presente stesso, provocando una strana reazione termonucleare, in cui, alla natura come la conosciamo spetta il mero ruolo di “ornamento”.
È uno dei pezzi più rumorosi e distorti di tutti, con la batteria nervosa che rincorre una distorsione che prosegue senza direzione.
Il Ricordo e la Temporalità
Synth distorto in crescendo, leggermente spezzettato, seguito da una ritmica incalzante, come lo scorrere del tempo e dei i ricordi con esso. Segue molto la linea industrial del pezzo precedente. Evoca un po’ l’idea del viaggio (con un’accezione squisitamente temporale in questo caso), su questi synth a fare da binari immaginari che vanno a ritroso attraverso i vari ricordi.
Le Memorie fuori dall’Uomo
Questo è proprio un pezzo dedicato alle macchine e a quella serie d “memorie” intese come serie di capacità umane di compiere “atti” che è stata trasferita ad esse, incluso l’atto stesso di “ricordare”. E qui infatti, se la prima parte del brano è occupata dai movimenti robotici suggeriti dall’alternanza di ritmiche artificiali di batterie sintetiche, subentra il ricordo di un piano vagamente houseggiante, che si sovrappone ai ritmi meccanici fino a cambiare completamente aspetto, ripescando nella memoria mood disco acid, che diventa sempre più “acid” nel brano successivo:
Gli Ultimi Ricordi
E infatti qui i synth sono gioiosi e stonati. È un pezzo che ricorda una certa sonorità elettronica ormai classica di una ventina di anni fa, quando i synthoni acid e quella che veniva comunemente chiamata ‘braindance’ (qui presente specialmente nell’alternanza dei diversi ritmi di batteria) si incontrarono.
Verso una nuova storiografia
Altro pezzo di stampo noise / industrial con una forte componente lo-fi, fatto per metà quasi unicamente da percussioni ossessive, intervallate da diversi rumori qua e la, che dopo la seconda parte si fanno sempre più presenti, mentre il resto del pezzo si distorce un po’ alla volta. Ricollegandoci a McLuhan, la nuova storiografia è quella che si scrive a partire dal mezzo con cui si imprime. In termini semplici: gli eventi si imprimono nella storia in base ai mezzi a disposizione di una determinata epoca, che siano essi canzoni tramandate oralmente, miniature a margine di di testi in latino, stampa a caratteri mobili o “nuvole” di memorie elettroniche.
Ricerca sul Nuovo Ambiente
Ambient cosmica / psichedelica che si situa al di fuori dell’orbita terrestre. Sullo sfondo un pad continuo che conferisce al brano, dall’inizio alla fine, un aria quasi solenne, nella quale si stagliano una serie di laser in crescendo che ne determinano anche il ritmo. È, come suggerirebbe anche il titolo, un’esplorazione spaziale dai toni incerti davanti alla vastità dell’universo, che richiama anche in questo caso una certa sensazione di solitudine.