C’è un momento della vita in cui accettare la bravura altrui diventa un sentimento insopportabile, un passaggio amaro all’età adulta caratterizzato dall’invidia inesprimibile. Non sono serviti gli anni sui banchi e le mediocri medie voto: nulla del proprio compagno secchione avrebbe mai potuto scalfire la convinzione di essere dei piccoli geni incompresi da un’istituzione squallida. Peccato però che, una volta cresciuti, la verità è affiorata canaglia: là fuori c’è qualcuno più bravo, con più talento, più intelligente e che, grazie a tutto questo, avrà più successo.
Così mentre si giocava a essere incompresi, in un mondo parallelo e in una cameretta arredata anch’essa senza gusto da qualche madre intenta a rendere colorato l’ambiente di un adolescente troppo svogliato per essere vero, cresceva un talentuoso ragazzino canadese di nome Xavier Dolan. Un enfant prodige perfetto volto per le pubblicità, in grado a soli vent’anni di diventare regista/attore tanto acerbo quanto fenomenale. Un ragazzo capace di far impallidire qualsiasi coetaneo, padrone dello schermo e soprattutto re folle nel comporre colonne sonore senza senso, eppure perfettamente amalgamate.
Ed è per questo che invidio Xavier Dolan: perché mentre mi sentivo un adolescente di merda ascoltando a palla i Wheatus, lui stava già studiando come incastrare in un film Bang Bang cantata da Dalida (che manco in Italia sapevamo esistesse…); oppure mentre desideravo una fidanzata stalker come nel video di Bye Bye Bye degli *NSYNC, lui destrutturava il rapporto con la madre struggendosi con Vivo per lei di Bocelli. Ma non c’è nulla da fare, il talento è tale e va riconosciuto.
Non c’è soluzione al travaso di bile, ormai va accettato. Ed è così che, in vista dell’uscita imminente del prossimo film È solo la fine del mondo, decido da buon masochista di ripercorrere cuffie in testa i suoi lavori precedenti: da Mommy a Tom à la ferme, passando per Laurence Anyways e J’ai tué ma mère: una via crucis accompagnata da tanta buona musica, un allegro percorso d’odio che traccia dopo traccia si trasforma inevitabilmente in amore immaginario.