A 2016 quasi concluso, chiunque può rendersi conto che questo è stato l’anno dell’affermarzione delle piattaforme streaming, un’industria che sovverte le regole del marketing musicale plasmandone policy e contratti della maggior parte delle case discografiche di tutto il mondo.
Il 2016 ce lo ricorderemo, secondo la RIAA, come il secondo anno consecutivo nel quale il fatturato proveniente dallo streaming soppianta quello del download digitale –ritornando ai livelli dei primi anni ’90, quando il compact disc ebbe la meglio sugli altri supporti fin da allora presenti. Questo dato apre la strada ai prossimi passi che case discografiche e servizi streaming quali Spotify, Apple Music, TIDAL dovranno compiere per permettere profitti equi da entrambe le parti.
La svedese Spotify si è recentemente accaparrata il primato di 40 milioni di sottoscrizioni al servizio Premium portandosi distante dai 17 milioni dichiarati da Apple Music e dai 4.2 milioni di TIDAL; tutto ciò però non si è tradotto in profitti per l’azienda stessa, che fino al 2015 (ultimi dati disponibili alla mano) ha perso intorno ai 200 milioni di dollari e che quindi dovrà rimodellare un’offerta affidabile da poter portare a Wall Street entro fine 2017. Di contro, offre un’esperienza di ascolto e di scouting incomparabile, fattore che le altre due (e le altre minori non citate) dovranno di sicuro abbracciare. Spotify inoltre sta per inserire una nuova funzione chiamata Jump In che permetterà ai non-iscritti al servizio Premium un’esperienza migliore della musica.
Apple Music, rispetto a Spotify, ha molte più garanzie economiche, essendo già quotata in borsa con l’azienda di Cupertino da garante, ma i contenuti curati dovranno migliorare e l’algoritmo presenta ancora qualche difettuccio che in fase di scouting si notano. Intanto, con l’uscita di iOS 10 questo settembre, l’applicazione ha subito un profondo restyling grafico e l’integrazione con Siri e altre applicazioni di terze parti le sta giovando particolarmente. Apple Music con la questione dell’esclusive si è però fatta dei nemici, come il CEO dell’Universal Music che ha deciso di non permettere ai propri artisti di fare esclusive su una singola piattaforma streaming, dopo che Frank Ocean decise di uscire da Universal per rilasciare Blonde/Endless con Apple Music sotto ‘Boys Don’t Cry label’. Daniel Ek, CEO di Spotify è certo che questa battaglia sulle esclusive, mai affrontata dalla compagnia svedese, sia inutile e svantaggioso per tutte le parti prese in causa, quali abbonati, artisti, label discografiche e, perché no, anche le stesse piattaforme. Ad ogni modo Jimmy Iovine, ha assicurato che le esclusive continueranno ad esserci e quindi se ne vedranno sicuramente delle belle.
TIDAL si trova a metà tra la filosofia Apple e le perdite finanziarie di Spotify, dato che –nonostante il grande incentivo garantito dalle esclusive di Kanye West, Beyoncé e Rhianna– la piattaforma di Jay-Z&Co si trova con una perdita netta di 28 milioni di dollari del 2015 (ultimi dati disponibili), più del doppio dell’anno precedente.
L’obiettivo dei prossimi anni per le piattaforme, oltre che riuscire a consolidarsi economicamente e migliorare gli algoritmi, potrebbe anche essere quello di educare le seguenti e successive generazioni all’ascolto, fattore che si è perso negli anni grazie alla sempre più facile fruibilità della musica.