«Uno strano anno questo 2016, tante perdite importanti (Bowie su tutti), ma anche tanti bei dischi. Molti. E tanti bei pezzi. Personalmente non è stato un anno da ricordare, un sacco di brutte vicende personali lo hanno attraversato dall’inizio alla fine ma, usando una banalità a-la Tommaso Paradiso, “per fortuna che esiste la musica!”. Erano anni che non imparavo tutti i testi di un disco a memoria (grazie Cosmo!), così com’era dai tempi di D’Angelo che non assistevo a un talento così prepotente come quello di Anderson .Paak. I DIIV mi hanno teletrasportato indietro di 20 anni, dritto a quando ascoltavo i Sonic Youth almeno 10 volte al giorno. “Sirens” di Nicolas Jaar ha messo seriamente in crisi le mie velleità di producer, un disco di una classe sconfinata. Il ritorno degli A Tribe Called Quest (ascoltato proprio mentre ero in vacanza a NY) mi ha riempito il cuore prima ancora delle orecchie. Il disco di Solange suona già come un instant-classic, ispirato e riuscitissimo al punto da mettere in dubbio la supremazia nella famiglia Knowless. Pezzi che ho ascoltato fino allo sfinimento tipo quello di Flume con Yukimi dei Little Dragon, oppure “Glowed up” di Kaytranada (con Paak alla voce), “It means I love you” di Jessy Lanza, “White Ferrari” di Frank Ocean (bellissimo il suo “Blonde“!) e “Get hi” di Danny Brown e B-Real dei Cypress Hill. Graditissime sorprese: Andy Shauf, Helado Negro e C Duncan. Italiani troppo sottovalutati: Giorgio Tuma. Il suo “This life denied me your love” è l’ennesima prova di come in Italia idolatriamo sempre le persone sbagliate.»
– Populous