3000, 3 stacks, 3k: nei nomi d’arte di André Benjamin, il fattore comune è il 3.
Tre come gli occhi che pare abbia, uno in più del normale.
In ogni sua strofa, in ogni sua idea sembra insito un bonus; tutto sembra essere effetto di silente addizione.
Si senta Pink Matter, da Channel Orange.
Una canzone ne contiene -solo per profondità degli interpreti, non per variazioni sostanziali- almeno tre: la parte cantata di Frank Ocean, la strofa rappata da André 3000, e qualcosa in più. André usa una strofa aggiuntiva come outro inatteso, ma a posteriori necessario.
A 41 anni, Benjamin teme di essere di troppo: non vuole che quella strofa smetta di suonare indispensabile; odierebbe interpretare il vecchio fuor d’acqua, incapace di inventare nuovi flow e troppo affezionato al dominio della fantasia.
Mentre, in gran segreto, perfeziona un album solista di cui si bisbiglia da anni, 3000 presta la sua metrica mutevole ad un selezionato numero di artisti.
Tra i feature salienti dell’anno passato, uno in particolare sbeffeggia lo spettro dell’età che avanza, con tanto di esperta e vigile regia del videoclip.
Come spesso capita, André si è fatto consigliare i Divine Council dal figlio Seven.
In tre e tre sei, la giovane crew della Virginia è passata da uno scantinato di Richmond agli uffici della Epic Records, continuando a demolire l’antica idea secondo cui dal Sud non sarebbe mai uscito nulla di buono. Oltre a sponsorizzare la loro firma, 3k ha dato vita -il giorno stesso dell’uscita originale- ad un remix di Decemba, traccia ipnotica portata ad un livello palesemente superiore. Il flow di André varia internamente e acquista carattere verso dopo verso, dipingendo storie, al solito, con grottesco contrasto.
Scherza con il pattern di percussioni, come ha sempre fatto anche nelle sue, di produzioni. A rosa e azzurro aggiunge una spennellata di verde, prima che possiamo accorgercene.
Teme di non riuscire a creare ancora paesaggi che siano sia surreali sia interessanti; rispetta il divario generazionale, come fosse imperscrutabile.
In realtà, al netto di strofe e comparse, ogni feature ti lascia arricchito; dopo poche parole pronunciate con quell’eloquente accento atlantiano, vorresti subito avere tre orecchie. Avere tre mani per scrivere come lui, tre occhi per leggere i sensi di ogni rima.
Ha, tra gli sforzi caleidoscopici della sua carriera, attuato una delle migliori reinvenzioni mai vissute nell’hip-hop: The Love Below, seconda metà dell’album più enciclopedico del catalogo Outkast.
Padroneggia con maestria una cover pazza di un classico di John Coltrane, oltre che flussi di coscienza, dialoghi con la natura (Vibrate) e paradossali bozze di narrazione -tra cui A Day In The Life, racconto del primo incontro con Erykah Badu, madre di Seven e figlia in-real-life della famosa Ms Jackson.
Se più di dieci anni dopo, lo stesso artista ha l’umiltà e la lealtà creativa di indossare la targhetta SOLD al concerto di reunion del gruppo, sguinzagliando al contempo nuovi pensieri -tweet intelligenti e pungenti intessuti in un serie di salopette, indossate ai concerti poi esposti in mostra- significa che quella mente è fatta per fare questo, è fatta per stare qui.
Ciò che lo rende uno dei migliori mc di sempre è la sua costante triplicità: il double-entendre, ovvero un gioco di parole; e un senso in più, il livello metaforico. Due figure basilari del rap, che utilizzate in contemporanea odorano di invenzione. Un inventore è un inventore.
So low that I can see under the skirt of an ant
La rilevanza di André artista è dimostrata, inquadrata dalle sue rare ma precise presenze: è stato scelto per il ruolo di Jimi Hendrix nel biopic del 2013, in cui dimostra consapevolezza enciclopedica; è comparso in una spaventosa percentuale degli album più importanti dell’anno.
Prima, ha risposto alla traccia Solo nell’album di Frank Ocean. Un titolo simile non poteva prevedere ospiti, dunque la tracklist contiene un Reprise. L’effetto è di nuovo speciale, Frank sembra ragionare con la sua stessa, folle calcolatrice: deve trattarsi di una comune solitudine, uno specchio di geni.
Lui è perennemento aperto ad imparare. Ciò esclude la possibilità che lui possa risultare datato, ed è paradossalmente influenzato dalle nuove generazioni.
È, allo stesso tempo, incisivo quanto YG, più rapido di Saba, più melanconico di Boogie, luminoso quanto Chance, fomentatorio quanto Future. Un rapido esempio in Birds In The Trap:
Ha preso un posto al tavolo soul di Solange, scegliendo di aggiungere ai bicchieri una goccia di funk in onore di Junie Morrison:
Non è l’unico, con vent’anni d’esperienza, ancora bramoso di innovare: i Tribe hanno creato l’insperato disco di cui il mondo aveva bisogno, e per rivolgersi ai nuovi non potevano che chiamare un cantastorie senza tempo. Proprio il tempo ha trasformato una prima persona plurale (“We’re all just babies in my view”, cantava in Pink & Blue) in una seconda, vincolando comunque alla saggezza acquisita da André toni buffi e iridescenti: Kids, don’t you know how all this shit is fantasy?
Nell’attesissimo ritorno di Kid Cudi, André si cala in simbiosi con un beat di Pharrell Williams, trasformandosi in pura sensazione.
Ci chiediamo, con la solita impazienza, cosa inventerà questa volta. Dov’è il suo album? Pensa di darci una release date? Tutte queste foto in studio con Pharrell, French Montana, Kaytranada, quali promesse sottintendono?
When you think too much you’re removing what’s moving
Magari ha tre cuori, magari è stato solo, o so low.
Probabilmente, mentre noi parliamo, lui riversa tre pensieri in una sola parola: se ascoltiamo con attenzione, non sembra avere intenzione di smettere.
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Tutte le illustrazioni sono di Anna Pietrangeli.