K.O.I. è il progetto beat tape di Emanuele Triglia. Il nome di questo giovane musicista forse non dirà molto ai più, ma sicuramente lo avrete già visto sul palco insieme ad Ainé o Wrongonyou. Abbiamo voluto fargli qualche domanda per capire come nasce un album beat tape e come tanta creatività possa convogliare in un progetto così curato, ricercato e colorato in ogni particolare (non ultima l’immagine di copertina è un disegno dell’illustratore Cripsta, date un’occhiata al suo Instagram: sarà un piacere per gli occhi). Intanto, ve lo facciamo ascoltare in anteprima.
Iniziamo dalle basi: puoi spiegare ai non addetti ai lavori che cos’è un “beat tape”?
Il suo significato non ha nulla a che fare con l’uso moderno della parola mixtape dove diversi beat di deejays famosi vengono riutilizzati dai giovani rapper per iniziare a farsi conoscere. Un beat tape è un insieme di beat strumentali e suppongo che il termine sia nato ai tempi delle prime feste hip hop. “K.O.I.”, in questo caso, è una raccolta di beat realizzati da me.
Cosa vuol dire “K.O.I.” e da dove nasce il progetto?
Il titolo del beat tape prende ispirazione dalla scoperta di un pianeta ritenuto un possibile gemello del nostro pianeta Terra. Leggevo di questo pianeta scoperto dalla sonda spaziale Kepler e oggi chiamato KOI 172.02 e ho pensato di estrapolarne una parte e renderla una sigla. Appunto “K.O.I.” che sta per Kingdom of Imagination, ovvero “il regno della fantasia”. Tutto questo è ricollegato alle tracce, ispirate da sensazioni e vari viaggi mentali, e la copertina che vede un pianeta formato da Madre Terra e da un asteroide che a loro volta si aprono in una terza dimensione dove si trova appunto “K.O.I.”. Il progetto si è costruito piano piano lungo tutto il 2016, in quei momenti di stacco dallo stress quotidiano dove nella pace (della notte, spesso e volentieri) ci si può permettere di ricercare, produrre e ascoltare. Ne sono venute fuori tantissime tracce, selezionandone diciannove per questo primo progetto in qualità di producer.
Nasci come beat maker?
Sono cresciuto studiando diversi strumenti, tra cui pianoforte e chitarra, trovando la mia strada con il basso e ora sono principalmente un bassista, ma da piccolino ho ricevuto una di quelle tastiere giocattolo Casio e da allora non ho mai smesso di “giocare”.
Come ti sei avvicinato al mondo della produzione, qual è il salto da bassista a producer?
Quando sei interessato ad un determinato mondo musicale non puoi fare a meno di interessarti al beat making e alla produzione. Ascolto e seguo la scena hip hop, funk, jazz, neo soul, e tutto ciò che riguarda la black music sin dagli anni del liceo. Questo mondo, più americano che italiano, mi ha sempre affascinato e per fortuna sembra che qualcosa si stia iniziando a muovere di più anche qui in Italia. È iniziato tutto quando mi sono trasferito da Reggio Calabria a Roma nel 2014. La mia camera è diventata il mio studio, un angolo di paradiso. L’essere bassista e producer per me va di pari passo. Credo di aver la fortuna di ritrovarmi in delle situazioni dove oltre a lavorare in qualità di “session man” mi ritrovo a seguire la produzione.
Come cambia – se cambia – la tua creatività dall’essere bassista a producer?
Per quanto riguarda la creatività, naturalmente in qualità di beat maker sono libero di sbizzarrirmi molto e sperimentare. Esempio, basta pensare che per queste session mi sono ritrovato a registrare suoni di mazzi di chiavi, conchiglie, noci, buste di carta (suonano tutte da paura!). La ricerca di un suono adatto a quello che ho in mente mi stimola ad ampliare sempre più la mia creatività e mi invita a ricercare e creare qualcosa di nuovo.
Ispirazioni?
Per quanto riguarda il beat making: J Dilla. La più grande ispirazione sicuramente.
Ci sono alcune collaborazioni molto interessanti all’interno del progetto, una tra queste è quella con Ainé (tra i nomi più in vista della nuova scena hip hop e neo soul italiana, ndr) i vostri sound si sposano benissimo. Dove vi siete incontrati?
Ho incontrato Ainé circa tre anni fa ad un suo concerto a Viterbo. In Italia nessuno portava in giro quel tipo di black music. In un modo o nell’altro siamo rimasti in contatto, poi abbiamo iniziato a suonare assieme e ora siamo grandi amici. Quando ho iniziato a lavorare sul brano che ora è diventato Runaway ho pensato subito a lui perché sapevo che ci avrebbe aggiunto la sua magia. Sul brano è presente anche Seby Burgio, pianista talentuosissimo, con cui ho fortuna e piacere di condividere spesso il palco.
Come entri in contatto con la Totally imported?
Suonando come bassista nella band di Ainé ho conosciuto il suo produttore, Francesco Tenti. Lui è il fondatore di Totally Imported, etichetta discografica indipendente italiana. Una splendida realtà giovane e dinamica, che ha voglia di promuovere musica di un determinato tipo, che guarda al futuro e soprattutto alla scena internazionale. Totally Imported è diventata un vero e proprio collettivo di giovani artisti di altà qualità, e sono sicuro che crescerà sempre più. Per questo motivo, sono felicissimo di lavorare con questa “famiglia”. Come primo lavoro discografico, non potevo chiedere di meglio.
Ci sono altre collaborazioni all’interno del tuo primo lavoro di cui ci vuoi parlare?
Sì, all’interno del beat tape sono presenti vari artisti, amici e colleghi della nuova scena musicale italiana, i quali ringrazio infinitamente per la collaborazione. Ho avuto anche la fortuna di lavorare con l’illustratore Alessandro Crippa (Cripsta) che ha già lavorato con grandi nomi come ad esempio Boiler Room. Ringrazio particolarmente Sean Cronin per essersi occupato dei testi e Francesco Lo Giudice, in arte Alsogood, per aver collaborato al mix e master del beat tape.