In occasione del suo esordio discografico -l’album “Inner” uscito da qualche giorno per Scenemusic- abbiamo raggiunto Gianmatteo Buttiglione, in arte iLinx, per farci guidare attraverso il percorso artistico che lo ha portato a questo importante traguardo. Il trentunenne produttore e dj di origine pugliese -ma ormai residente in pianta stabile nella capitale- si è raccontato così:
Il primo disco che hai acquistato:
“Meantime” degli Helmet in un negozio di dischi a Firenze, la sera prima del concerto dei Radiohead. Più che altro da adolescenti si facevano le guerre per il possesso delle musicassette, ricordo di aver litigato con un amico per aver trattenuto troppo a lungo la cassetta di “End Hits” dei Fugazi, che mi aveva prestato. Registrata malissimo ma faceva molto hard core, anche non ridarla…
Il disco che possiedi e del quale sei più orgoglioso:
L’orgoglio è una questione personale, nel bene e nel male. Ho lavorato molto per arrivare a produrre il mio primo disco, ora ce l’ho e ne vado orgoglioso, quindi “Inner” di iLinx, in vinile -che fa anche la sua porca figura.
Il disco che ti ha fatto decidere di darti alla musica:
“In Utero” dei Nirvana. Non solo, ho deciso anche di strapparmi i jeans -quasi come un rito iniziatico-, ho vissuto tutta l’ondata “mistica post morte di Kurt Cobain”, sono andato proprio in trance. La sua musica mi è piaciuta in maniera smisurata, mi ha cambiato, tanto che i miei genitori ai tempi si sono preoccupati. Sono stati i primi pezzi che ho imparato alla chitarra, la molla per iniziare a suonare in piccole band locali del mio paese d’origine. Poi per necessità, oltre che per piacere, ho cominciato a suonare il basso e me ne sono innamorato, mentre intanto già componevo miei brani al piano e al computer. Il disco che mi ha sedotto a fare musica elettronica è stato invece il doppio di Aphex Twin: “Drukqs”, di lì in poi, gradualmente l’elettronica ha preso molto spazio nella mia vita ed è diventata una scelta.
Un disco che ti ispira dal punto di vista della produzione:
Qui devo articolare. Tralasciando i dischi di Beatles, Kraftwerk e Pink Floyd, postulati indiscutibili e intramontabili di ogni produzione, dico “Evol” dei Sonic Youth, perché, all’opposto, è pazzia nuda e cruda, che partendo dal noise si muove verso la psichedelia, ma in maniera decisamente più sporca e underground, senza neanche troppa produzione, impensabile adesso. Mi ha ispirato molto anche una produzione come “White Pony” dei Deftones, nel modo di accostare rock ed elettronica, “Ok Computer” e “Kid A” per come sono stati curati, oltre che per la loro bellezza intrinseca. Se parliamo di tempi più recenti, “Go Plastic” di Squarepusher, “Immunity” di J. Hopkins e sicuramente “Mosaik” di Siriusmo, per me uno dei più bei dischi della storia.
Il tuo disco italiano preferito:
“Ho Ucciso Paranoia” dei Marlene Kuntz -che suona come un disco americano- e “Hai Paura Del Buio?” degli Afterhours se la sono sempre combattuta. “A Volte Ritorno” del maestro Lou x e “Cuop De Grace“ di Don Kaos sono tra i miei preferiti nell’hip hop italiano.
Un disco che ti fa venire voglia di ballare:
Amo diversi generi musicali, ballare è un modo di rilassarsi ma è anche una cosa seria. La mia prima “festa” è stata un party trance e sono sempre stato attratto dai riti sociali attorno alla musica. A Roma sono cresciuto con la tekno -Spiral tribe, Teknambul, etc.- e la drum and bass -fino ai primi album dei Noisia-. Non sto mai fermo, mi carico anche con l’hip hop e se capita un bel concerto rock non me lo perdo, anche se preferisco l’elettronica, la techno, la deep/house, magari con un po’ di colore, quindi dico “Fat P” di Klankarbeit e “Heat Division” di Dauwd, giusto per citarne qualcuno.
Un disco che non manca mai di commuoverti:
Mi commuovo spesso con i dischi, sono come dei film ma il trasporto è ancora più profondo. Risentire “Grace” di Jeff Buckley, mi da una sensazione di struggente nostalgia ma mi commuovo anche con “End Hits” dei Fugazi. Ogni tanto sento il bisogno di brevi ritorni ciclici, ad esempio torno sui Motorpsycho. Recentemente mi è capitato di riascoltare “Berlinette” di Ellen Allien, è un disco che mi emoziona ancora come fosse ieri, eppure sono passati quattordici anni. Per non parlare di “Washing Machine” di Mr. Fingers -in particolare del brano “Can You Feel It”- che è uscito più o meno quando sono nato io, insomma ha trent’anni ma suona ancora come un pezzo deep all’ultimo grido. Mi commuove roba del genere, opere totemiche che resistono alle mode, figuriamoci al tempo e allo spazio…
Un disco che usi per rilassarti:
Jan Jelinek – “Loop Finding Jazz Records”
Il tuo disco preferito del 2016:
Probabilmente “99,9%” di Kaytranada, perché è molto meticcio in quanto a scelte stilistiche e suoni, pieno di collaborazioni e ben fatto. Ho apprezzato anche l’ultimo di Gold Panda “Good Luck And Do Your Best” ma per i gusti che ho, il 2016 non mi ha entusiasmato come altri anni.
L’ultimo disco che hai acquistato:
Il singolo di Earl Sweatshirt e Knxwledge, in digitale. Una canzone che in un minuto e venti secondi ti entra in testa con prepotenza e ci mette un po’ a lasciarti due giorni di tregua…