Dopo l’uscita di Microclimate di Porcelain Raft, abbiamo chiesto all’artista di raccontarci i suoi album fondamentali.
I dischi qui elencati sono in ordine sparso. Sono dischi che ho continuato ad ascoltare negli anni, resistendo a stagioni, traslochi e cambi d’umore.
Lou Reed – Berlin
Alla fine degli anni 90 ero completamente ipnotizzato da Lou Reed.
Mi hanno sempre affascinato artisti con un grande catalogo, dove ci si può tuffare e scoprire costantemente piccoli gioielli. Comprai ‘Berlin’ perché la copertina aveva tutti gli elementi di un poster di un film. Ed infatti l’album è molto vicino ad una colonna sonora, ad una storia raccontata dove ogni inquadratura nuova è una canzone. Gli arrangiamenti sono una specie di ibrido, metà 70s prog, metà crooner con archi e chitarre acustiche. È impossibile catalogare quest’album ad un livello puramente stilistico. Ma quello che conta per me non è lo stile, ma piuttosto la poesia che Lou Reed riesce ad emanare ad ogni traccia.
Per puro caso era a Berlino per un concerto quando ricevemmo la notizia della scomparsa di Lou Reed. Durante il soundcheck il mio tastierista Chris (anche lui fan di Lou Reed) per gioco cominciò a prendere il giro l’album ‘Berlin’, sottolineando il fatto che Lou Reed effettivamente non era mai stato a Berlino prima di registrare quel disco e che tutta la storia e le atmosfere sono tutte inventate senza nessun fondo di esperienza personale. Appunto eravamo sul palco per il soundcheck e mentre Chris parlava di questa cosa ci fu un black out. Niente corrente per due ore, si pensava addirittura che il mio concerto sarebbe saltato. Ridete quanto volete ma presi la chitarra acustica e seduto sul palco, nell’attesa, cominciai a canticchiare ‘Sad Song’, l’ultima traccia dell’album. Un po’ perché effettivamente ero triste per la scomparsa un po’ perché volevo calmare lo spirito di Lou…forse si era offeso per le cose dette da Chris. Pochi minuti dopo la corrente ritorno’, poi soundcheck, il concerto si fece e fu una bella serata.
Il giorno dopo mi venne quest’immagine, pensando a Berlino e Lou Reed, come se le città potessero ascoltare e ancora più importante, parlare. In continuazione sussurrano i loro sogni di città, finche un poeta non ascolta, anche dall’altra parte del pianeta, e ne fa una canzone.
Sigue Sigue Sputnik – Flaunt It
Era il 1986 e questa fu la prima cassetta che comprai, il mio primo acquisto musicale. Che emozione. La scelsi per la copertina futuristica, per i caratteri giapponesi e perché ero fissato con il loro singolo ‘21st Century Boy’. Avevo 14 anni é quella fu la prima volta che ascoltai l’effetto del delay usato in una maniera estrema. Da lì nacque il mio amore per il delay come fonte sonora. ‘Flaunt It’ usa molte tecniche usate nel dub, ma io ero ignaro di tutto questo…per me era una rivelazione. Poi negli anni mi avvicinai molto al dub, a Mad Professor specialmente e King tubby.
Roland Space Echo è il mio delay preferito di sempre. Secondo me sin dalla nascita dovrebbero darci un delay e un microfono, per parlare solo così, per dirci ciao fino all’infinito to to to…
Rale – Rale
1994, concerto a Roma organizzato da ‘Ossatura’ o un nome del genere. La voce girava da giorni di questa band chiamata Rale, venivano dalla Cecoslovacchia, bisognava andarli a vedere. Il concerto era in un centro sociale di cui non ricordo il nome, infatti l’unico nome che mi ricordo di quella serata è appunto Rale.
Due uomini alla chitarra (uno era Vladimir Vaclavek, il fondatore del gruppo e nome di spicco dell’avanguardia Ceca) una violinista Giapponese ed una danzatrice del Vietnam. Fu uno dei concerti più intensi e belli che abbia mai visto in tutta la mia vita. Le chitarre costruivano frasi ripetute, mai in 4/4, una sorta di loop ancestrale, costante. Da far notare che ai tempi le loop machine non esistevano. Contrappunti del violino di una bellezza unica, la sua voce narrante, calma, monotonica, tutto in Cecoslovacco…una lingua a me ovviamente sconosciuta.
Immaginate un tappeto persiano enorme, colori caldi, figure semplici ed antiche.
Comprai il CD dopo la performance, era il loro debut. Ce l’ho ancora e lo ascolto spesso. Pochi anni fa, per mostrare il mio entusiasmo, contattai Vladimir Vaclavek, dicendo quanto quella sua performance aveva inciso sulla mia formazione di musicista, una email lunga. La sua risposta fu ‘Well, thanks“.