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Recentemente abbiamo parlato di Miles Mosley, e per essere più precisi, della sua personale collezione di dischi. L’uscita del suo album “UPRISING” ci ha anche dato l’opportunità di conversare con lui più approfonditamente, partendo dagli inizi della sua carriera di musicista per passare al rapporto con la sua città natale, Los Angeles, alla sua amicizia con il sassofonista Kamasi Washington ed al suo lavoro in veste di session-man con Kendrick Lamar per arrivare alle circostanze in cui il suo più recente lavoro discografico è stato realizzato. Seguiteci nella scoperta di questo sorprendente musicista:
Qualche settimana fa abbiamo pubblicato, per la nostra serie “Collezione di dischi”, una lista di dischi per te molto rappresentativi. Questa ci ha mostrato quanto i tuoi gusti musicali siano eclettici. Ci racconteresti qualcosa del tuo background musicale?
Sono cresciuto ascoltando un sacco di musica di Miles Davis, Oscar Peterson e Motown, a casa dei miei genitori. Sviluppando i miei gusti musicali ho finito con l’innamorarmi del grunge e dell’hip-hop, negli anni 90. Comunque come musicista ho avuto un tipo di formazione classica eccellendo sia in ambito orchestrale che in quello jazz. Di conseguenza tutti questi elementi si sono combinati assieme per dare vita al sound che potete ascoltare oggi.
Mi piacerebbe sapere come il contrabbasso e la musica jazz sono entrati a far parte della tua vita di musicista.
Ho cominciato a suonare il contrabbasso quando avevo tredici anni perché era l’unico strumento che non si doveva portare a casa da scuola dopo le lezioni. (ride) Da adolescente ero decisamente pigro ma nel momento in cui ci ho messo le mani sopra ed ho suonato la prima nota mi sono subito innamorato. È diventato immediatamente la più grande passione della mia vita. Ho cominciato a suonare jazz perché volevo suonare per mia madre le sue canzoni preferite. Ho iniziato imparando All Blues dall’album “Kind of Blue” di Miles Davis, continuando ad imparare le canzoni che la facevano sorridere. Dopo aver ascoltato Ray Brown nell’Oscar Peterson Trio ho capito che quello che volevo era cercare di emularlo fino a riuscire a trovare un sound tutto mio.
Che ruolo ha giocato Los Angeles, la tua città d’origine, nella tua evoluzione musicale? Leggendo il testo di L.A. Won’t Bring You Down si ha l’impressione che tu abbia dei sentimenti contrastanti, una specie di relazione fatta di amore ed odio.
Amo Los Angeles e non ho assolutamente dei sentimenti contrastanti nei suoi riguardi. L.A. Won’t Bring you Down è stata scritta per le persone che, arrivando da tutte le parti del mondo, ci si trovano a viverci e che a volte possono avere l’impressione che la realizzazione dei propri sogni sia un obbiettivo più difficile da raggiungere di quanto immaginato. Quello che amo di più di L.A. è che ogni elemento dell’esperienza umana più essere vissuto qui, escludendo la neve. Ci sono delle bellissime spiagge, attraverso le quali è sempre possibile restare in contatto con la natura. La città ha una struttura produttiva nella quale poter lavorare sodo e realizzare tutto ciò che si desidera, ed al centro di tutto questi si trova Hollywood, dove i sogni e la fantasia diventano immagini. È una città piena di possibilità e potenziale. Ho vissuto in molte parti diverse di Los Angeles -è una città molto grande- in alcune di queste ci sono gangs e la povertà è imperante, in altre invece c`è il lusso. Trovarsi, da giovani musicisti, immersi tra queste differenze rende l’arte che si crea molto più eclettica.
Ci puoi raccontare qualcosa a proposito del tuo lavoro come session-man per leggende della musica come Joni Mitchell o giovani fenomenali artisti come Kendrick Lamar, nel suo ultimo “To Pimp…” in particolare?
Sono stato molto fortunato a poter lavorare con tanti artisti di incedibile talento, alcuni davvero leggendari. Per un certo periodo sono stato direttore musicale della band di Ms. Lauryn Hill, ho anche lavorato con Mos Def, Common e Chris Cornell. In quelle situazioni ritorno ad essere uno studente. Cerco di fare attenzione a tutto quello che fanno e cerco di imparare da loro nella maniera più discreta possibile, senza andare a sconfinare nel lavoro che si sta svolgendo assieme. Nel disco di Kendrick “To Pimp A Butterfly”, sono stato chiamato in uno stadio avanzato della produzione per suonare il contrabbasso in un paio di canzoni a cui Kamasi Washington e Terrace Martin stavano lavorando assieme. Le sessions si sono svolte in un clima intenso e concentrato. Senza perdere tempo in battute e scherzi. Era chiaro che tutti quanti stavano investendo le proprie energie nel tentativo di creare qualcosa di unico. Mi sento onorato di ave preso parte alle registrazioni di un disco che si può considerare come una pietra miliare. È anche servito di aiuto a spostare per una volta i riflettori sulla scena di Los Angeles ed ha dato a “The Epic”, il disco di Kamasi, ed al mio album “UPRISING” la possibilità di raggiungere un pubblico più vasto. Lo stesso tipo di pubblico davanti al quale siamo abituati ad esibirci ogni sera a L.A., ma ora diffuso su scala globale.
Come hai incontrato Kamasi Washington e come avete cominciato a collaborare assieme?
Kamasi ed io ci siamo incontrati per la prima volta nella High School Jazz Band. Inizialmente senza che si instaurasse una vera amicizia tra di noi. Lui era un appassionato di musica modale, io invece di rock e jazz della West Coast. Ci si trovava comunque sempre in un certo gruppo di persone, essendo entrambi seriamente concentrati sui nostri studi musicali e condividendo una passione per il jazz, ma non siamo diventati veramente amici finchè non siamo entrati entrambi nell’UCLA. Dall’università in poi abbiamo suonato assieme sostenendoci a vicenda nella nostra crescita artistica. Giochiamo spesso assieme con i video games, è cosi che si esprime la nostra competitività. Sul palco funzioniamo come se venissimo governati da un solo cervello, ma con i video games siamo in competizione proprio come se fossimo due fratelli.
Ci potresti anche raccontare qualcosa a proposito della storia di West Coast Get Down, il collettivo musicale che avete fondato assieme?
Nella band WCGD ci sentiamo come fratelli, ci conosciamo tutti da più di venticinque anni. Siamo tutti cresciuti a Los Angeles e siamo andati a scuola assieme. Dal momento che abbiamo partecipato a molti corsi organizzati per conto di terzi ci siamo trovati – sotto la guida di Bob Brodhead and Barbara Sealy, che è diventata anche la nostra manager- costantemente a suonare assieme in performance live. Contemporaneamente ci siamo trovati a studiare la musica suonando in gruppo, tutti quanti assieme. Ho dato il nome di West Coast Get Down al gruppo quando ci siamo trovati a suonare come resident band in un locale di Hollywood. Il nome è rimasto e l’abbiamo usato regolarmente fin da allora. Il legame che ci unisce è unico e solo raramente è stato catturato in tutta la sua singolarità, come invece abbiamo fatto realizzando quegli albums. Mi sento veramente fortunato di avere degli amici che sono anche dei musicisti di talento come Tony Austin, Cameron Graves, Ryan Porter e Kamasi Washington.
Ci racconteresti qualcosa delle session che hanno portato alla registrazione di “UPRISING”? Le stesse session che, come sappiamo, hanno anche dato vita anche a “The Epic”.
La lavorazione all’album è iniziata dello studio di Tony Austin (batterista di WCGD ndr.). Io e lui abbiamo co-prodotto l’album di Barbara Sealy. Volevamo realizzare un disco che fosse intimo, viscerale ma allo stesso tempo di ampio respiro. Proseguendo nel lavoro altri membri di WCGD hanno deciso di voler realizzare i propri progetti discografici. A questo punto abbiamo deciso di raccoglierci come gruppo ed andare in studio a registrare assieme. Barbara Sealy, Tony Austin, Kamasi Washington ed io abbiamo organizzato queste massicce sessions che hanno portato a registrare centosettanta canzoni in trenta giorni. Ha richiesto molto lavoro e concentrazione ma alla fine abbiamo realizzato qualcosa che rappresenta una tappa importante delle nostre esistenze. “UPRISING” è stato realizzato in maniera molto metodica, ci abbiamo messo molta cura per fare in modo che suonasse naturale ed emozionante, e per fare si che il messaggio delle canzoni attivasse forte e chiaro agli ascoltatori.
Tornando ad i tuoi testi, ed in particolare a quelli di Sky High: c’è un constante sentimento di sfida, la volontà di raggiungere un obiettivo a tutti i costi. Cosa ne pensi?
Sky High è una canzone che cerca di descrivere quel momento nella vita di tutti noi in cui si realizza che le facoltà fisiche e quelle mentali sono arrivate ad incontrarsi. Invecchiando il corpo comincia a cedere, ma la mente diventa più forte. C`è un momento in cui le due facoltà si incontrano sullo stesso livello, a parità di potenziale. Sento di avere accumulato una certa quantità di esperienze nella mia vita, dolore e confusione ma anche grandi gioie ed amore. Mentalmente mi sento in un momento di grande forza. Il contrabasso è uno strumento molto fisico. Il mio corpo è ben equipaggiato per resistere alle torture alle quali mi sottopone ma, la velocità e l’intensità con la quali suono, non possono durare per sempre. È fisicamente impossibile. Questo tipo di consapevolezza mi porta a provare un certo tipo di emozione che penso anche altri provino, anche se non so come esprimerla veramente. Il vivere al meglio ogni momento, il riconoscere le proprie potenzialità e sfruttarle fino in fondo sono la dimostrazione di una presa di coscienza. Riuscire a mantenere il controllo di queste abilità per una vita intera è un atto di sfida verso la natura stessa.
I tuoi testi sembrano ancora più attuali e cruciali se guardiamo alla situazione politica degli ultimi tempi negli Stati Uniti. Quale è la tua opinione a proposito?
Io sostengo ogni azione di protesta, senza differenziare da quale parte delIo spettro politico questa proviene. Penso sia importante che le persone possano esprimere liberamente ciò che sentono e discutano riguardo alle proprie idee pubblicamente. Abbiamo la fortuna di vivere in tempi in cui ad ognuno di noi è data la possibilità di dare sfogo alle proprie preoccupazioni grazie ad una grande varietà di canali di comunicazione. Gli Stati Uniti stanno attraversando un periodo di risveglio politico ed è entusiasmante vedere come la gente prenda posizione in difesa di ciò in cui crede. A volte ci vuole lo shock di un’elezione, o un argomento di discussione intorno al quale si concentra un certa protesta, per fare si che la gente si senta coinvolta. Fortunatamente, come artista, ho a disposizione lo strumento della musica. Posso esprimere le mie emozioni ogni volta che scrivo una canzone, o quando mi esibisco sul palco. L’arte è una forma di protesta in sé ed è importante per garantire una stabilità emotiva ad una società. Penso che impareremo molto, riguardo a noi stessi, nei prossimi anni.
Quali sono i tuoi programmi per il 2017? Suonerai anche in Europa ed in particolare in Italia?
Sto progettando di portare i WCGD in giro per il mondo, specialmente in Europa, a supporto di “UPRISING”. L’Italia è sempre stata generosa con noi. È una delle culture che preferisco al mondo. Spero di aver la possibilità di suonare da voi molto spesso quest`anno, ed anche in futuro.
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