Se penso a Ketama penso al rosa. Non ci sono santi che tengano. Rosa è il colore di una donna, quella Nina che fa impazzire il rapper romano nell’omonimo pezzo. Rosa è il colore della lacrima tatuata sul viso di Pretty Solero, fratello più che amico di Ketama, nonché colore simbolo del concetto di Lovegang. Ma rosa è soprattutto il colore della maglia che Marco Pantani portò a casa per la prima volta alla fine del Giro del 1998. Quella maglia quasi maledetta che per un qualsiasi ciclista significherebbe l’inizio di una carriera in discesa, ma che per Marco, così forte in salita, valse l’inizio di un incubo.
Ovviamente non sto citando il Pirata a caso. Chi sta leggendo questo articolo sa bene che Ketama ha scritto un pezzo intitolato proprio “Pantani”, in cui il ragazzo di Monteverde inneggia all’atleta romagnolo.
Troppo facile esaltare le doti di Michael Jordan e le gesta di Maradona. Ketama si è scelto un alter ego scomodo, un mito che ha spaccato in due l’Italia dopo i fatti di Madonna di Campiglio.
Tra i due però non c’è in comune solo un semplice pezzo.
Innanzitutto Ketama rappresenta una realtà musicale unica e originale. Come Pantani ha riportato l’Italia in auge in un sport nostrano come il ciclismo, così Tama rappresenta quella Roma che senza compromessi sta diventato epicentro di tutte le novità sonore del Belpaese. Come si può intuire di video in video, non è stata (e non è) un’impresa facile; la storia di Ketama è costellata di cadute e forature (lui stesso in “Santamuerte” parla di quando era solito “vendere la droga nei cessi di Berlino”, mentre nella biografia che compare su Internet si parla di un lutto che nel 2014 lo ha colpito molto da vicino), ma il suo percorso ha tutto l’aspetto di una scalata. Pezzo dopo pezzo, live dopo live, il traguardo del giovane artista sembra farsi sempre più vicino. Il ciclismo è uno sport in cui per vincere servono tappe su tappe, ma per perdere basta un attimo. Non così diversamente dal mondo della musica. Vinto il metaforico “Giro” a Roma, ormai rapita da questo interessante personaggio, Ketama si appresta ad uscire dai confini dell’Urbe e prendersi pure la “maglia gialla”, rappresentata da Milano, che sta al rap italiano come il Tour de France sta al ciclismo.
Tornando a Pantani e alla sua vita, bisogna per forza parlare della sua storia con la danese Christina Johnsson e di come prima la relazione sia stata importantissima per il cesenate e poi la separazione da lei sia stata letteralmente decisiva per il tracollo finale. Il Pirata è uno dei pochi atleti leggendari al cui fianco si può associare una precisa figura femminile e anche qui nasce spontaneo un collegamento con la figura del cantante romano, la cui crew segue quella che potremmo definire la filosofia Lovegang, dieci anni dopo il “Solo amore” dei Colle.
Christina ad un’intervista a Panorama inoltre racconta di come l’ex fidanzato passasse ore e ore a curare maniacalmente la propria bici e di come si occupasse personalmente di ogni faccenda dell’ambito ciclistico. Modus operandi non troppo dissimile da quello di Tama e delle sue autoproduzioni, alla cui base c’è il concetto che nessuno meglio di noi stessi può occuparsi di ciò che ci sta a cuore.
L’ultimo, per certi versi tragico, elemento in comune tra queste due figure è la droga. L’inizio e la fine. Al di là del mero gossip, pettegolezzo, quello che resta sono le doti incommensurabili dei due, connessi quasi indissolubilmente.
Per chi se lo fosse chiesto, 126, il nome della crew di KTM, proviene dal numero dei gradini della scalinata (luogo di ritrovo del collettivo) che separa Trastevere da Monteverde. Io Ketama lo vedo quasi in cima a questa scala. Sta salendo, non senza fatica, com’è normale che sia, ma lo sta facendo. Proprio come il Pirata.
Per me sei già Pantani126.