Viviamo in tempi di estremismo: opinioni ammassate e politici senza bilancia, imitazioni involontarie ed errori ripetuti a distanza di decenni. Onde cavalcate da troppi si surriscaldano e sciolgono il puro, tutti sudano come non ci fosse più tempo.
Alterniamo estati e inverni, senza l’onore delle foglie rosse.
Ogni cosa è ripresa, ritagliata, e riproposta: una filosofia ideale per l’ambiente, ma non infallibile per l’arte.
A tratti -tratti spessi ed espressivi, in questo caso- abbiamo bisogno di opere totalmente nuove, generate entro muri dipinti a mano, con la creatività eretta ad unico comandamento.
Archy Marshall -aka King Krule, aka Zoo Kid, aka Edgar The Beatmaker– guarda dentro se stesso per interpretare il caos del pianeta esterno. Nel suo pianeta, si circonda di individui di un’autenticità rara, annegando in creazioni altrettanto sincere.
Le metafore di cui scrive, canta, compone e disegna non sono semplici proiezioni: lui vive al loro interno, sfidandole ad un eterno Indovina Chi. Giocosa è l’atmosfera di A New Place 2 Drown, lavoro multimediale messo a punto con il fratello Jack. Se la musica e i testi raccontano i chiaroscuri complessi delle relazioni interpersonali, la parte visiva -fotografie, dipinti e un cortometraggio dei due Marshall- caricano di valore artistico la vita che intercorre tra l’idea e il frutto.
I generi che sfiora a livello sonoro -dall’hip-hop al uk garage, dal jazz al songwriting- testimoniano l’esposizione precoce di King Krule ad un ambiente variopinto e fluido. Ragiona per umori, per forme d’espressione, per strati di suono e colore. South London, per giunta, è fonte e foce di influenze infinite.
Archy Marshall sa rispettare il tempo: cammina sulle proprie opere, sa di doversi ascoltare. Lo sapeva a 19 anni, quando 6 Feet Beneath The Moon intingeva la concretezza in una tavolozza di astrazioni scure, con cui risultava ora semplice, ora impossibile relazionarsi. La sua maturità spaventava, come continua a spaventarci il mondo a quattro anni da quel disco perfettamente imperfetto.
Non si tratta di fingere che tutto vada bene, né di disperare. Si tratta di respirare, creare alla faccia di chi ghigna e distrugge.
La calma solitudine che richiama la musica di King Krule è tanto evidente quanto costruttiva: una terra in cui c’è sempre acqua, parole dolorose da sputare ma necessarie. Il circolo diviene automatico, e indiscutibilmente benefico.
L’arte di Archy non dà risposte dirette, ma ci guida -inconsapevolmente- a trovarle dentro noi stessi. Non ci dice chi stringere, ma ci suggerisce, come un ricevitore di baseball, quanto forte aggrapparci a quelle mani già intente ad accarezzarci.
Difficilmente possiamo comprendere ciò che accade oggi oltre le nostre mura. Le pareti di casa Marshall ascoltano audiocassette e vinili, sorreggono tele, fogli e fotografie. Non ci resta che studiare le nostre, per amare chi v’è dentro, e capire chi aspetta fuori.