È uscito lo scorso 11 maggio Redline / Greenline, il nuovo EP di Big Hands.
Ce lo siamo fatti raccontare traccia dopo traccia.
«Nel mese di Febbraio ho lasciato la mia casa milanese, mi sono licenziato da un lavoro fisso voltando le spalle ad un periodo di stress nel quale avevo vissuto in maniera frenetica e sregolata. Producendo molto materiale già nei mesi precedenti e dedicandomi principalmente al resampling e alla mia tastiera DX7 ho accumulato idee e sketches nel quale intravedevo un filo conduttore: dopo essermi trasferito nel mio vecchio studio / mansarda fuori Milano ho cominciato a comporre consapevole che nel mese successivo mi sarei trasferito a Londra e, di conseguenza, sarei stato impegnato nel risolvere i primi numerosi problemi logistici e che quindi non avrei avuto la possibilità di fare musica. Ho lavorato di getto, carico dell’esperienza di Sobborghi – che è stata ed è ad oggi un team di persone a mio parere in grado di aggiungere un punto di vista alla scena elettronica italiana ed internazionale.
A conti fatti credo di aver ottenuto un suono scarno, ma non minimalista, che si ricollega alla cultura del sound system, della quale alcuni valori stilistici saranno riconoscibili da tutti, come ad esempio i riferimenti alla Jungle nella prima traccia. Di fondo, questo EP è legato a luoghi, persone e spostamenti: siccome parlare di Musica è come danzare ascoltando Frank Zappa è successo che ho parlato più che altro di Milano, Londra e del contorno di questo EP. Credo che sia giusto così.»
COLOGNO NORD
“Colgono Nord” è la traccia più “narrativa” dell EP, fluita naturalmente da un iper-classico resampling di “Funky Drummer” di James Brown, che è un disco che non ha età e non ha genere, un disco per il quale vale la pena spendere soldi. Spesso accade di partire pensando: “ora taglio un break, faccio un pezzo dritto e cattivo”, ma la musica ha vita propria e in questo caso mi ha condotto in direzione quasi opposta. Non si può controllare tutto, il più delle volte bisogna lasciarsi andare e ascoltare senza prendere troppe decisioni. D’altronde anche nella vita non si ottiene quasi niente impuntandosi, si matura con il tempo e per quanto si possa razionalmente aver compreso una determinata questione il corpo e la testa devono metabolizzare le esperienze prima di poterle governare. Allo stesso tempo bisogna essere pronti a compiere nuovi tentativi avendo i propri obbiettivi limpidi in mente, per questo motivo che non credo molto negli artisti che progettano troppo il loro lavoro. Di base consiglio di innamorarsi perché è il modo più rapido di capire le cose.
In sostanza questa traccia richiede un grado di abbandono anche nell’ascolto. Un amico mi ha detto che non trova le note del pezzo. Se avete voglia mandatemi la partitura delle note, neanche io la conosco, d’altronde se sapessi scrivere la musica non farei quella che faccio ma sarei a casa a sul mio pianoforte a fumare “sigari di Bisanzio”.
JOURNEY 1
“Journey 1” è il primo viaggio, quando si sa dove si sta andando e si sente nell’aria l’aspettativa, ma nella consapevolezza del dover ripercorrere la stessa strada prima o poi, per ritornare. Infatti il sample vocale ripete un palindromo.
La traccia funziona per il motivo opposto alla precedente: è diretta e rapida, senza troppe decorazioni. Come altre in passato, è stata creata di getto, carica di un’ansia particolare, sfogata. Mi ci sono affezionato perché pur essendo una traccia “d’azione” e non di pensiero credo mantenga un carattere narrativo e una certa atmosfera intima. Mi da grande grinta quando la riascolto qui in metro a Londra, che checchè se ne dica è un posto incantevole in cui le persone sono molto educate. Parlando di educazione e di questa traccia, mi viene in mente Alighiero Boetti, uno dei miei artisti preferiti: anche lui amava giocare con le parole, credo che questa cosa del palindromo gli sarebbe piaciuta. In fondo solo gli stupidi credono ci sia tanta differenza tra il fare musica e gli altri tipi di arte, penso sia importante dirlo.
LORETO’S BENCH
“Loreto’s Bench” è una tarantella, o una pizzica rallentata. Dovrei chiedere ad un esperto di musiche etnico-popolari che cosa ne pensa, io personalmente ho sempre trovato similitudini con i ritmi legati alla dub e alle sue declinazioni step. Questa affermazione è probabilmente tanto scontata quanto complessa. Il brano evoca la mia Loreto, la sua giovane multi-culturalità , i mille odori per la strada, gli studi degli artisti. Ho percorso la scalinata che conduce dalla metro verde fin sopra in piazzale Loreto tutti i giorni con il cuore in mano, adoro pensare alla sua storia legata all’anti fascismo e quello che NOLO possa diventare nei prossimi anni. “Loreto’s Bench” è un pezzo di attesa, rimane sospeso un’istante prima che qualcosa accada, è una fermata che porta ad un qualcosa d’altro, che credo poi si concretizzi nella traccia successiva. Il sample vocale sembra dire “damage”, quindi mettetela in cuffia amici writers e mentre scendete in tunnel schiacciate play.
JOURNEY 2
Come nel caso di “Journey 1”, “Journey 2” lavora su un’idea di accumulo e rilascio di energia. Ho usato un vecchio delay analogico, uno per chitarra, e la mia cara dx7. Adoro i mercatini di seconda mano, compro spesso li i miei gear, ci compro anche tanti vestiti di vecchi brand anni 90 e dischi in vinile. Mi piacciono i gear rovinati, mi impongono soluzioni alternative a all’uso dell’ingegno, così un vecchio delay si trasforma in un distorsore, il riverbero crea i pad e via discorrendo. Ultimamente va più di moda usare i quattro vst dal suono “corrente”, ma personalmente non mi interesso molto a quel tipo di workflow. Ricordo di aver pensato “ora faccio una tune pesante, scarico l’aggressività che ho oggi addosso”: credo che in questo caso di esserci riuscito.