Sia che li chiamiate Chk Chk Chk o che preferiate usare altri tre suoni affini, è evidente a tutti che i !!! siano una delle realtà meglio invecchiate tra quelle emerse durante il rinascimento musicale americano di inizio anni Duemila.
Più o meno a cadenza biennale la band statunitense pubblica un nuovo album e due settimane fa è uscito Shake The Shudder, il settimo nella carriera del gruppo dance/punk. Le buone notizie sono due: i !!! sono sempre incredibilmente in forma e sì, col nuovo disco torneranno nuovamente sui palchi di mezzo mondo a regalarci performance infuocate. I più fortunati questo weekend li beccheranno al Primavera Sound di Barcellona, proprio dove è iniziata la composizione di questo ultimo album. Abbiamo fatto il punto della situazione con Nic Offer, frontman della band dal nome meno googleabile di sempre.
Avete lavorato alle vostre nuove canzoni a Barcellona prima di tornare a Brooklyn per le registrazioni. In che modo vi siete lasciati influenzare dalla città catalana?
È sempre molto difficile percepire come vadano queste cose e in che modo i luoghi facciano capolino nella propria musica. Non abbiamo fatto le ore piccole perché volevamo essere freschi per le jam, anche se nel fine settimana ci siamo sbizzarriti. Sai, è sempre strano trascorrere una settimana in un posto in cui non vivi. Posso dirti di aver lavorato molto di notte sul terrazzo al computer editando le prime registrazioni e ragionando sui primi loop. In qualche modo comunque Barcellona è finita in Shake The Shudder.
Avete scelto Barcellona o è capitato per caso?
Assolutamente per caso, dovevamo essere lì per un festival e dovendo scegliere tra oziare in spiaggia e suonare abbiamo optato per la seconda possibilità.
Avevate definito il precedente As If il vostro “disco Ableton”, considerando i molti sample e la quantità di elettronica che conteneva. Come definiresti invece questa nuova opera?
Abbiamo usato molto Ableton anche su questo album, in realtà. Ogni volta che finisci un disco sai che potrai farne un altro migliore perché impari molto lavorando in studio. Abbiamo mantenuto le stesse premesse musicali di As If cercando di svilupparle ulteriormente. Credo che abbiamo trovato un’unione migliore tra le parti elettroniche e gli strumenti tradizionali. C’è molta più improvvisazione in Shake The Shudder, però.
Ci sono anche nuovi suoni per i synth.
Continuo a comprare sempre nuovi sintetizzatori e drum machine – dopo aver finito le registrazioni di Shake The Shudder ne ho già comprate due – e questo mi permette di avere più scelta in termini artistici. Quando abbiamo iniziato a lavorare sul nuovo disco avevo una tastiera con un suono orribile, avere una ricca strumentazione ti permette di poter scegliere e scoprire nuovi territori… ed è fantastico.
Dove è stata scattata la foto in copertina? È davvero azzeccata.
È una foto fatta a un nostro concerto che ci è stata twittata, mi ha colpito molto.
Trasuda l’atmosfera di un concerto dei !!!.
Vi ho visti dal vivo lo scorso anno a Roma e oltre a divertirmi molto sono rimasto stupefatto dalla vostra esibizione in apertura a mo’ di cover band degli Stereolab sotto il nome Stereolad. Come hai scoperto gli Stereolab e come vi è venuta in mente l’idea di fare la band spalla di voi stessi?
Ho scoperto gli Stereolab ascoltando un loro cd in un negozio di dischi in cui mi ero fermato durante un viaggio in autobus. Mi sembrava la colonna sonora ideale per il posto in cui mi trovavo: pop molto psichedelico. È stata la band che mi ha fatto scoprire nuovi universi sonori, a partire dalla batteria motorik. Ascoltandoli ho capito che c’erano determinate possibilità musicali da poter affrontare.
Per il resto, ci è capitato spessissimo di avere band insulse come apertura e ci siamo detti “beh, sarebbe fico se gli Stereolab aprissero per noi”. Così abbiamo deciso di fare questa cosa: per noi è un’esperienza di apprendimento utilissima, è una di quelle sfide da cui impari. Un grande esercizio per i !!!.
Sul vostro nuovo album c’è un brano che si chiama Dancing Is The Best Revenge. Non solo si tratta di un pezzo potentissimo, ma possiamo dire che il titolo racchiuda anche l’essenza stessa della vostra carriera, tra attitudine punk e forme musicali disco/electro?
Penso che tu abbia ragione. Se dovessero fare una biografia sulla band credo che sarebbe il titolo perfetto.
Constatazione stupida ma lasciamela fare: su disco più passa il tempo più le vostre canzoni si accorciano.
Ahahahaha sinceramente non lo abbiamo fatto apposta, però pensandoci forse abbiamo voluto cercare di evitare i momenti di noia. È capitato per caso però in effetti è la verità. Ricordo che quando abbiamo scritto le prime canzoni un po’ più brevi mi sono detto “hey, non serve per forza far durare certe parti troppo a lungo, è più facile così”. Cerchiamo sempre di metterci in gioco, certe cose succedono per caso e altre sono programmate. Questa cosa è successa inavvertitamente all’inizio, ma poi abbiamo capito che se ci siamo arrivati è stato il frutto del lavoro della band.
Cosa mi dici delle voci ospiti sul disco?
Abbiamo sempre più canzoni adatte a voci femminili, non a caso abbiamo scelto di aggiungere alla band una cantante per i tour europei e una per quelli americani. Ci hanno aiutato a scrivere i nuovi brani ed è venuto naturale incorporarle stabilmente nel gruppo e nel nostro sound. È anche un modo per proporre qualcosa di fresco a chi ci ascolta, piccoli tasselli per dare nuova personalità ai pezzi.
Nel singolo The One 2 ci sono influenze jungle. Pare che sia un genere di ritorno in questo periodo.
Ci sono momenti in cui certi suoni che sembravano dimenticati tornano in auge e riprendono a far parte del panorama musicale. Quando abbiamo cominciato a lavorare sul pezzo ci è parso che un ritmo jungle potesse dargli un tocco più sorprendente e abbiamo preferito azzardarlo piuttosto che mantenerci su basi ritmiche più canoniche. Vogliamo sempre sperimentare.
Com’è la situazione musicale a New York rispetto a quando vi ci siete trasferiti?
Ci sono sempre nuove band interessanti che sbucano fuori. Chiaramente è cambiato tutto rispetto a quando ci siamo affermati, non c’è più quella percezione di scena newyorchese che c’era invece dieci o quindici anni fa. È anche normale che sia così, però: ci siamo trasferiti a New York in un momento in cui sembrava che non stesse succedendo niente di niente, avevamo semplicemente voglia di abitare in una città grande ed entusiasmante. Credo che adesso siamo più o meno in una fase affine.