Ascoltare un buon disco, ogni tanto, è come tornare a casa dopo tanto tempo: apprezzi le sensazioni familiari, mentre assapori le novità. Il mio rapporto con Adieux au Dancefloor è esattamente così. L’ultima fatica di Marie Davidson – franco-canadese classe 1987 – è stato pubblicato ad ottobre dello scorso anno su Cititrax, sotto-etichetta della Minimal Wave di Veronica Vasicka, ed è un perfetto connubio tra sonorità no-wave, disco e ambient. Traccia dopo traccia Marie ci racconta un po’ del suo mondo sognante, completando una sorta di percorso introspettivo iniziato nei due album “Perde d’Identité”
(2014 – Weyrd Son Records) e “Un Autre Voyage” (2015 – HoloDeck)
In occasione del suo live per Electropark Exchange, che si terrà ai Bagni Misteriosi di Milano il 4 luglio ho intervistato Marie.
Ciao Marie! So che sei in tour in questo periodo, come sta andando? Qual è il tuo ricordo più bello di un live?
Ho suonato al Berghain per la prima volta tre weekend fa nella loro nuova stanza ed è stato veramente emozionante. Mi sono divertita moltissimo, le persone erano molto coinvolte e non lo scorderò mai. Sarò in tour ancora per due mesi e tra pochissimo andrò a suonare a Tel Aviv (Marie si è esibita lì il 24 giugno) e sono molto curiosa di andarci. Non sono mai stata in Medio Oriente e sarà tutto nuovo per me.
Abiti in Canada, ma suoni molto spesso in Europa e, durante i tour, sei di base a Berlino. Che realtà pensi che ti abbia influenzato di più?
Non credo che ci sia una nazione che mi abbia influenzato maggiormente. Al giorno d’oggi internet ci fornisce un rapido accesso a diverse culture, e a me piace trarre influenze da ognuna di essere. Ovviamente, sono ispirata dalle città in cui vivo, ma più che altro dalle persone che ci abitano. Non mi sento parte della scena berlinese o di quella canadese, ora che viaggio traggo molti più spunti dalle conversazioni con le persone che incontro. Più che dai posti in cui mi trovo, mi piace analizzare le culture. Per esempio trovo davvero affascinante la cultura italiana, la vostra lingua è la più bella del mondo.
Essendo bilingua – Marie viene viene da Montreal e parla inglese e francese – come decidi quale linguaggio utilizzare nelle tue canzoni?
Mi baso principalmente sull’accento e sulla melodia. L’inglese è più imponente, quindi è meglio per parlare di sentimenti immediati o azioni; è anche una lingua più internazionale e comprensibile a tutti. Per esempio, lo utilizzo se voglio dire “io voglio fare così” oppure “voglio che tu faccia qualcosa”. Il francese è più calmo, lo uso per esprimere sentimenti più profondi e poetici.È’ molto più aperto all’interpretazione, quindi è perfetto per i brani personali. Sono madrelingua francese, quindi penso in francese e mi esce più facile.
Oltre alla tua carriera da solista, fai anche parte del duo Essaie Pas con tuo marito. Quanto cambia il tuo iter creativo nelle dinamiche del duo?
Non cambia moltissimo ad essere sincera. Quando compongo come solista decido tutto io, quindi il risultato finale è molto più intimo e personale; mentre quando lavoro con mio marito – Pierre Guerineau – ci scambiamo molte idee e ci influenziamo a vicenda. Quello che facciamo insieme è molto più concettuale, specialmente per il nostro nuovo album che ispirato dal libro “A Scanner Darkly” di Philip K. Dick. Anche se il disco suonerà più “complesso” degli altri, manteniamo sempre il nostro modo personale di comporre musica.
Adieux au Dancefloor è il tuo terzo LP in tre anni. A che disco senti di essere più legata? Quale credi che sia stata l’evoluzione più grande nella tua musica?
Nessuno mi ha mai chiesto questo e francamente non so quale sia il mio preferito. Quello che mi rappresenta meglio è ‘Un Autre Voyage’, è nel mezzo e l’ho composto in un periodo per me molto importante. Descrive al meglio le due parti della mia produzione, infatti si tratta di un’alternanza di pezzi dance e ambient. In ogni caso, sono molto legata a tutta la mia musica e tutti i miei lavori mostrano lati diversi della mia personalità “musicale”. Penso che l’ultimo sia quello prodotto meglio e di qualità maggiore; mentre il primo è quello più personale e poetico. I miei album sono la storia di chi sono realmente e dell’immagine che voglio comunicare di me stessa.
Mi piace pensare alla parte cantata delle tue produzione come a delle poesie che incontrano una melodia elettronica. Quanto pensi che queste due arti si fondano nella tua produzione artistica?
È naturale per me, non ci penso molto. Onestamente, non penso che l’arte debba essere un qualcosa di ragionato. Ho scritto la mia prima poesia quando avevo dieci anni, ed è lo stesso periodo in cui ho iniziato a fare musica. Non sono particolarmente virtuosa, ho iniziato a studiare la musica classica troppo tardi; i professionisti iniziano a studiare musica a quattro o cinque anni, io ero decisamente in ritardo. Ho studiato violino per sei anni e ho imparato bene le basi e a suonare alcune composizioni più semplici, ma mi piaceva di più scrivere le mie canzoni. I miei primi lavori erano piuttosto basici, solo un paio di note in fila, però mi rendevo conto di essere un’artista e non un interprete. Non sono la migliore in quello che faccio adesso, non sono la più veloce a programmare una sequenza né la più brava a produrre melodie, ma la vera forza della mia produzione è la capacità di scrittura.
Ascoltando la tua discografia viene il paragone con Lizzy Mercier Descloux – di cui potete trovare la storia qui. Oltre alla no-wave anni Settanta, quali altre scene o artisti influenzano la tua musica?
Adoro Lizzy Mercier Descloux anche se, per quanto sembra che mi sia ispirata molto a lei, ho conosciuto il suo lavoro solamente due anni fa con la ristampa di Press Color su Light in Attic. Ho iniziato la mia carriera solista quattro anni fa, ero molto influenzata dalla carriera solista di Nico dei Velvet Underground. Successivamente mi sono avvicinata alla musica elettronica perché sono una grande fan della disco-music. Lavorando con Essaie Pas, mi sono avvicinata ai sintetizzatori e ho scoperto la scena di Detroit, i Kraftwerk e Chris & Cosey. Tutte queste sonorità dance primordiali mi hanno affascinata moltissimo. Amo anche le colonne sonore dei film, Angelo Badalamenti è una delle mie principali influenze. Ultimamente sono stata influenzata molto da questa ragazza italiana, Cicciolina, così come da molte altre cose. Cerco di non limitare la mia ispirazione alla musica.
Concludendo, quali sono le tue prospettive per il futuro? Hai qualche desiderio che ti piacerebbe realizzare?
Ho moltissimi piani per il futuro. Il prossimo anno inizierò a lavorare con una band: voglio continuare a portare in giro Marie Davidson, ma con una nuova luce. La componente elettronica rimarrà comunque molto importante, ma mi piace molto l’idea di poter collaborare con altri musicisti. Ho sempre lavorato con mio marito, io scrivo la musica e lui produce i miei album e continueremo a farlo, anche con altri musicisti. Penso che il mio suono rimarrà lo stesso, ma mi piacerebbe diventare più sofisticata negli arrangiamenti. Voglio mantenere i sintetizzatori e le percussioni digitali, ma anche introdurre più strumenti analogici, come la chitarra.