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Tra la poesia e il passato – Intervista a IZI

Devo confessarvi una cosa: a me la trap, intesa come espressione musicale e il ricambio generazionale che ne consegue, non dispiacciono affatto ed è per questo ho cercato di analizzarne e promuoverne il “fenomeno italiano” sulle pagine di DLSO in tempi non sospetti. Il tassello mancante forse nei vari percorsi artistici che compongono questo ormai sconfinato movimento, era un progetto che fosse unitario ma anche abbastanza variegato da poter competere con il rap più tradizionale ed avvicinarsi ad una certa classicità, quell’ esigenza e quell’ introspezione tipiche del cantautorato italiano. “Pizzicato” è riuscito proprio nell’intento di unire i due mondi senza però cedere alla deriva commerciale o peccare di originalità.

Se dovessi definirlo con un aggettivo sceglierei “spiazzante”, anche perché Fenice, il suo primo album ufficiale, come poi dichiarato anche da Izi stesso, non convinceva a pieno e la fretta di pubblicare un disco in fretta e furia, trainato dalla visibilità ottenuta dal film diretto da Cosimo Alemá (Zeta), si è rivelata un’arma a doppio taglio. Per questo non vi nascondo come, prima di approcciarmi all’ascolto, fossi in realtà molto prevenuto.

Pregiudizio accantonato definitivamente subito dopo la prima sessione d’ascolto. Lo abbiamo raggiunto al telefono per fargli un paio di domande in occasione del Touch the Woodstock.

In che modo secondo te Pizzicato si discosta dai dischi trap che sono usciti fino ad ora in Italia e cosa invece lo accomuna ?
Secondo me si distacca abbastanza per la sua umanità, per la “non superficialità” e per la  voglia di andare oltre. Diciamo che è più una ricerca di un qualcosa. Parlo molto di me, quindi è un disco molto personale; inoltre anche dal punto di vista del sound ho utilizzato delle sonorità insolite, introducendo ad esempio degli strumenti a corda (da lì anche “pizzicato”). È un po’ l’esatto contrario di quello di cui ci accusano, ovvero di saper parlare solo di soldi, donne e gioielli.

Nella prima strofa in Distrutto racconti di come in certe giornate ti piaccia ricordare vecchie cose (Quando entravo in casa di mia nonna mi gasavo quando lei faceva il sugo) in una specie di ode alla spensieratezza del passato. Qual è il tuo rapporto con il passato? Non pensi che in quest’epoca si viva in modo eccessivo una sorta di celebrazione di ciò che è stato e che questo possa rivelarsi un limite nel viversi appieno il presente?
Secondo me non è un limite, anzi, forse un motivo e un aiuto in più per capire come affrontare il presente. Come dico anche nell’ultimo pezzo del disco – Se vuoi essere leggero non puoi dimenticare (4GETU) – quindi anche nel presente ti devi ricordare da dove vieni e di cosa facevi. Questo inoltre è un disco molto più introspettivo rispetto al precedente perché negli ultimi mesi ho lavorato molto anche sul mio passato e sui miei ricordi ed è per questo che alla fine è uscito così.

Quello che mi ha colpito subito di te guardando e leggendo alcune tue interviste è stata la rara limpidezza ma anche il coraggio con cui hai raccontato i tuoi trascorsi e la struggle legata ad alcune vicende private. Come hai raggiunto alla tua età una consapevolezza e una padronanza di se tali da poterti permettere di essere sincero al 100% ?
Cercando di avere fiducia in me stesso, avendo fede che le cose prima o poi cambino. Cercando di essere distaccato, non nel senso di apatico o che non me ne frega niente delle cose, bensì lasciando che le cose negative mi scivolino addosso. Secondo me ho raggiunto anche grazie al diabete delle capacità nel controllare il mio fisico tali da essermi d’aiuto nel controllare anche l’aspetto mentale. Un lavoro che comunque sto ancora cercando di fare.

La prima volta che andai ad un instore fu in occasione dell’uscita di Vile denaro dei Club Dogo ma l’affluenza di allora era imparagonabile e il rapporto con il pubblico più distante. Quanto costa emotivamente incontrare centinaia di persone in poche ore, molte delle quali ti reputano un idolo e un esempio da seguire ?
Io in realtà sono molto chiuso e timido, ora rispetto all’inizio sono molto più abituato, mi interessa essere me stesso e  provo ad instaurare un minimo di rapporto vero con chi mi segue. Il periodo dell’instore per come sono fatto io, è bello pesante però allo stesso tempo è una cosa molto figa perché capisci quanto piaci al pubblico e in che termini. A me non piace molto stare sui social, mi piace di più fermarmi a parlare per strada ma è anche fondamentale ricaricarmi dal periodo di promozione non appena ne ho la possibilità.

Molti non se lo ricordano, o fanno finta di non ricordaselo ma con la seconda ondata mainstream del rap, intorno al 2005/2006, molti artisti vennero aspramente criticati per essersi dei venduti. Oggi i vari preconcetti si sono spostati su di voi ma la storia, forse con dinamiche differenti, si ripete. Come la vivi tu questa denigrazione della trap a prescindere?
Ti rispondo premettendo che io non è che mi senta “trap”, mi piacciono le sonorità trap ma io mi vedo più come un artista, faccio musica e faccio quello che mi sento di fare. Non è che mi sento denigrato in quanto paladino del rap, in realtà non me ne frega niente. Secondo me poi questa situazione qua è stata sdoganata. Io anche ho fatto delle robe un po’ più classiche in passato ma l’unica cosa che mi interessa veramente ora è far crescere la scena, il resto non mi interessa.

Come ti sei avvicinato ai testi di Samuel Taylor Coleridge ? In che modo hai trasferito la tua passione per la poesia nella musica ?
Io ho iniziato con la poesia a dodici anni, non erano proprio le classiche poesie romantiche, bensì più simili ai testi che scrivo ora in cui descrivo ciò che mi sta attorno. Più tardi poi ho cominciato a scaricare le basi americane e a rapparci sopra. Io ho fatto il liceo linguistico e studiando letteratura inglese, in inglese, mi sono appassionato ad esempio al racconto dell’albatro (La ballata del vecchio marinaio ndr) o a Kubla Khan, ce ne sono tanti, mi affascinano molto i racconti dei suoi viaggi. Un altro autore che mi piace molto è Cervantes. Ci sono periodi in cui leggo di più e altri di meno ma mi piace molto leggere, ultimamente anche i testi sacri.

Proprio in relazione a questa tua passione c’è spesso un fraintendimento che riguarda la comprensione dei testi. Questo binomio tra flusso di coscienza e licenza poetica(e/o metrica) è un approccio istintivo o più un tentativo di creare un linguaggio inedito ?
No, è istintivo, tante cose vengono vengono da come parlavamo in zona prima ancora di essere popolari, tante cose vengono dal passato ecco.

Come sono evoluti in termini stilistici il tuo modo di scrivere e di reppare da Macchie di Rorschach (2013) ad oggi?
Si sono evoluti tantissimo, Macchie di Rorschach era una sorta di raccolta dei primi pezzi, dal 2011 al 2013 . Allora ero più incattivito, più insoddisfatto della vita ma è stata una roba quasi terapeutica. Secondo me Pizzicato è un disco più maturo anche perché nei due precedenti (Kidnapped Mixtape e Julian Ross) ho avuto l’opportunità di sfogarmi un bel po’. Ora è arrivato il momento di fare qualcosa di più ricercato e di sfogarsi il giusto, non so se mi spiego.

Quali sono dischi i italiani recenti, al di fuori del rap che più hai assimilato e ti hanno influenzato negli ultimi anni ?
Sicuramente Canzoni della Cupa di Vinicio Capossela (2016), altri dischi interi non ti so dire. Di artisti ho ascoltato molto Calcutta ma in realtà ultimamente sto ascoltando molta poca musica che in realtà è un errore, dato che ho poco tempo, infatti mi manca un po’ l’ispirazione.

Pizzicato dopo la prima settimana di vendite, è salito in vetta alla classifica FIMI. Come hai reagito quando hai visto il tuo nome al primo posto?
Non ci credevo quasi perché comunque, anche se non è il primo disco: prima settimana, primo in FIMI, è stata una sorpresa, anche la seconda in quarta posizione e buoni nella terza. Per essere un disco così pregno e cupo sono molto contento del risultato.

Al di là di questa, immagino, enorme soddisfazione, se dovessi segnare una meta da qui ai prossimi anni, quale ulteriore traguardo sogneresti di raggiungere?
Portare un’intera band sul palco e far crescere molto l’aspetto del live, aggiungendo anche delle idee che ho già in testa. Per il resto utilizzare più strumenti e  collaborare con più musicisti senza il bisogno di commercializzarmi.