I just want everybody to have a good time
I really do
Parte con un augurio “Boo Boo”, il nuovo album di Toro Y Moi. Con un augurio e con il vento che accarezza le foglie basse delle palme nel video che accompagna il suo streaming su youtube. Un vento che ci spinge da dietro per tutta la durata del disco, quasi un’ora di quella gentilezza che solo l’aria può avere.
“Boo Boo” è il settimo disco di Chaz Beast – formalmente Chaz Bundick – e come possiamo aspettarci già dal titolo si porta dentro un sacco di significati: è allo stesso tempo dolce e tenero (boo è un modo informale di chiamare la propria ragazza) ma anche turbolento, spettrale, e un po’ simpatico (il suono con cui si spaventa qualcuno. Boo!) . E’ un booo urlato dagli spalti durante una partita che si sta perdendo, o un modo scemo per dire che si è sbagliato qualcosa. Boo-Boo. Un’ondata di synth anni 80 fa da sottofondo a storie di relazioni svanite, allucinazioni, amori perduti, crisi esistenziali, partenze e ritorni.
“what is wrong with this world? It’s got me thinking so much”
E’ un album electro-funk al rallentatore, un miraggio nel deserto che vediamo ondeggiare e che ci mettiamo 49 minuti a raggiungere, esattamente la durata del disco. Potrei dire vaporwave, chillwave, low-key, moody, ma dirò soltanto che ha lo stesso suono delle domeniche di luglio, quando sudando sdraiati sul pavimento ripensiamo lentamente a se stiamo davvero facendo la scelta giusta oppure no. E come i nostri pensieri si perdono senza fretta in posti sconosciuti della nostra mente, anche questo disco si avvicina alla schizofrenia e all’imperfezione, mescolando stili e suoni diversi che ora ci ricordano Frank Ocean (in Embracadero o Pavement ), ora i Phoenix o i Metronomy (in Mona Lisa), ora Travis Scott (nell’autotune di Windows).
Mirage, il primo brano dell’album termina con “Oh, hello, I didn’t see you there”, come se Chaz stesse facendo tutto questo per se stesso e non per noi, che diventiamo così spettatori silenziosi di un intimo spettacolo. Dopo trentotto minuti si sentono passare delle moto velocissime, dopo quarantadue una ragazza ride: sono gli unici due rumori che ci riportano alla realtà, staccandoci dalla catarsi terapeutica del disco, come quando durante un film qualcuno scarta una caramella e tutti si girano e poi devono subito riconcentrarsi di nuovo.
Possiamo immaginare questo disco come un lago: calmo in superficie, con i cigni e la tifa vicino alle rive e il riflesso del sole sul pelo dell’acqua, ma con i mulinelli che si creano in profondità e che risucchiano le cose, e uno spaventoso mostro lacustre a cui sembra non fare caso nessuno ma è lì nascosto sott’acqua chissà dove. (anche se a dire la verità a me sembra di averlo avvistato: il mostro si chiama Pavement e si trova esattamente alla traccia 4, tra queste parole “I saw you screamin’ / If only internally / You called me baby / You hit the pavement” ). Al lago il sale non rimane attaccato alla pelle e si sa sempre cosa c’è dall’altra parte, ci si tuffa (ma non di testa) dai pontili e le pietre grandi e lisce ti slogano le caviglie. Esattamente a metà del disco c’è questo brano strumentale, Embracadero. Lì le barche sono parcheggiate al molo, hanno tutte dei nomi scemi come Condor, Capitan Trinchetto o Queen Mama. Quando senza pensarci si rimane lì per dei minuti interi a guardare le barche ondeggiare ubriache è arrivato il momento di decidere se partire o ritornare.
“Boo Boo” non è un album meraviglioso, è un album “meravigliante”: ci sorprende, ci lascia pieni di stupore, ci stimola e ci dà l’ispirazione giusta per creare altre cose (meravigliose o anche loro “meraviglianti”). Il momento più bello del disco è You and I, quattro note che si imprimono nella mente in un attimo.
Oh, my god, it took a while
Oh, my god, it took too long for me to find out if
I really am for us or this.
E io penso alle macchie di insolazione sulla tua pelle dopo questo pomeriggio passato sdraiati su un asciugamano giallo a riva e le trasformo in fiori e foglie di un quadro di Matisse, ti guardo piano come se fossi un museo.
Chaz Bundick sa fare tutto (anche non solo sotto lo pseudonimo Toro Y Moi) e sa farlo benissimo: sa fare il soul di “Underneath The Pine”, l’indie rock di “What For?”, l’hip-hop un po’ trap di “Samantha”, l’R&B, e il jazz del suo penultimo album “Star Stuff” con i The Mattson 2. E tutto quello che fa ci dà continuamente la forza di essere creativi.
Quando termina il disco il sole è sceso dietro le montagne, lo stesso sole che prima ci faceva coraggiosi. Scivoliamo in macchina, teniamo un braccio fuori dal finestrino e ci annoiamo in colonna con tutti gli altri che come noi hanno deciso ostinatamente di ritornare. Io mi azzardo addirittura ad appoggiare i piedi scalzi sul cruscotto. I capelli ci gocciolano ancora sulle spalle, siamo pesci d’acqua dolce, soft water. Se chiudiamo gli occhi il riflesso del sole è ancora appoggiato sul pelo dell’acqua, brilla tutto.