Non è mai piacevole riordinare la propria camera quando qualcuno ti ordina di farlo.
Sistemarla di propria spontanea volontà, invece, è appagante e infinitamente costruttivo.
È ciò che ha fatto Tyler, The Creator: i suoi poster in riga, le scarpe pulite, i tappeti sbattuti e ristesi con calma.
I poster allineati al muro simboleggiano due traguardi fondamentali. Innanzitutto, il do-it-yourself di Tyler ha ora pieno senso di esistere, ed è trasformato in prodotto finito. In secondo luogo, gli idoli dipinti e imitati si trovano ora sullo stesso piano della figura di Tyler, che li rispetta e li costeggia fissando i suoi obiettivi.
Se fino a Cherry Bomb i momenti più coinvolgenti della sua opera sembravano prolungamenti logorroici di antiche idee dei N.E.R.D., adesso è tutto perfettamente a fuoco.
È a fuoco lo scarafaggio di Yonkers, è a fuoco il synth distorto, da sempre dichiarazione di stranezza; è a fuoco il dolce Rhodes, è a fuoco la voce cavernosa di un adolescente geniale.
Non abbiamo più di fronte un adolescente, tuttavia, bensì un artista maturo e totalmente enciclopedico.
Scrive cartoni animati per Adult Swim, disegna vestiti per il suo brand e ne progetta la presentazione, organizza un festival già storico come Camp Flog Gnaw. Da ormai cinque anni lancia tendenze senza chiedere credito; ora, riesce a guardare se stesso dall’esterno, in modo da crescere con il tempismo che più gradisce.
La sua maturità si percepisce dalla capacità di dirigere un’orchestra da lui stesso assemblata.
Da Kali Uchis a Lil Wayne e Austin Feinstein, passando per Steve Lacy, Jaden Smith e Rex Orange County, il fattore comune dei collaboratori di Scum Fuck Flower Boy è la creatività cristallina. Ognuno di essi è affascinato dalla propria mente, e l’universo estetico di Tyler è l’ambiente ideale per portarla all’estremo.
Lo si sente dall’umore di ogni dettaglio: chiunque entri nello studio di Tyler abbraccia lui e il suo progetto, letteralmente e non.
“Work hard, be somebody, be something more than what you see in the mirror. Let the world be your mirror, don’t let them judge you, cause the mirror can’t judge you. You judge what you see in the mirror.”
– Lil Wayne nel documentario Cherry Bomb
È ormai un artista in grado di collocarsi temporalmente e gerarchicamente. Il 2006, lo dice, è stato il suo November, ovvero l’età che più ha idealizzato. Invece di rinnegare o superare a piedi uniti la sua eccessiva adolescenza, continua a restarvi ammollo ed assorbirne i colori: semplicemente, ora è più accurato mentre sceglie quali toni riutilizzare. C’è il verde fluorescente di Who Dat Boy, cacofonico sfogo usato da Tyler per rompere il suo silenzio; l’azzurro semplice di 911/Mr Lonely, con Frank Ocean e Steve Lacy sinceri interpreti delle malinconie di un genio; rosa leggero in See You Again, arancione deciso a contornare Where This Flower Blooms; Boredom è panna, come un senso di noia interessante solo al microscopio; Glitter è cosparsa di brillantini imprevisti. C’è spazio per ogni sorta di fiore, e l’appellativo Flower Boy è l’ennesima scelta estetica azzeccata.
Il disco ha due copertine, e due sono le direzioni emotive del contenuto; le soffici tastiere, le percussioni ben spaziate e gli strati di voce femminile (Estelle, Anna Of The North, Corinne Bailey Rae) contribuiscono alle fondamenta solari del disco; i synth scaleni, i bassi 808 rovinati e le rime affilate servono a cospargere di dubbio la narrativa. Le riflessioni sulle fasi della sua vita caricano Tyler di un’aura superiore rispetto ai lavori passati, e tutto sembra risplendere senza paura.
La meraviglia grottesca di cui si è sempre fatto pioniere è ora al centro della poetica di Tyler. Si tratta della sensazione ben resa dal video di Perfect, tratta dal disco precedente: farfalle appiccicose, inquietanti al punto giusto. Col senno di poi, siamo felici che non se ne siano andate. Non se n’è andata nemmeno la sua zampillante ambizione: lungi da limitarsi all’essenziale, il losangeleno costruisce strutture non semplici, ma logiche.
È più Creator che mai, e la virgola nel nome d’arte rappresenta l’ordine creativo che il ventiseienne ha definitivamente trovato.
Come nei suoi frequenti post sui social, Tyler vuole infondere nel pubblico una positività illimitata. Finalmente, anche la sua musica è in maiuscolo.