Dopo “Dasein sollen” l’unica necessità per Rkomi era quella di affermarsi: continuare a mischiare sapientemente Mirko con la sua musica fino a rendere ancora una volta impercettibile la differenza, ma tracciando una linea retta che arriva fino ad oggi senza mai cambiare binario.
Indubbiamente Rkomi è l’artista moderno che più riesce ad attingere da un immaginario talmente vasto ed originale da risultare piacevole a moltissimi o, nella peggiore delle ipotesi, interessante da ascoltare per moltissimi.
Il motivo è molto semplice: Rkomi ha gusto nel fare musica e non ha perso occasione per dimostrarcelo, ma senza strafare.
Ascoltando “Io in terra” c’è una considerazione che può essere fatta immediatamente: il disco potrebbe anche non piacere, ma non si può assolutamente dire che non sia un prodotto decisamente curato in ogni suo aspetto.
Potrebbe non piacere perché Rkomi non fa nulla per diversificarsi: si può dire che ci sono degli elementi che ampliano il suo parco musicale come le chitarre di “Mai più” o la larga varietà delle strumentali scelte, ma bisogna aggiungere che finora Rkomi aveva fatto soltanto una quindicina di canzoni, almeno considerando le tracce dalla sua “esplosione” in poi, quindi, fondamentalmente, da “Sissignore”.
Dunque “Io in terra” più che essere il solito disco etichettato come la maturazione dell’artista è più che altro una precisa affermazione di se stessi, con molta più consapevolezza che in passato.
Per l’esordio con Universal, Rkomi ha preferito andare sul sicuro e non lasciare assolutamente nulla al caso: rimanendo asciutto (ma non carente) nel numero delle tracce, scegliendo pochissimi featuring ma molto azzeccati (soltanto una strofa di Noyz ed una di Marra) e soprattutto affidando le strumentali ad una cerchia di producer del giusto numero e con stili decisamente variegati.
In “Io in terra” troviamo alcuni tra i migliori producer d’Italia come Shablo, Fritz, The Night Skinny (superlativo come sempre) che vengono affiancati da altri beatmaker recentemente molto in vista come Carl Brave e Nebbia.
Il risultato è generalmente ottimo e in alcuni episodi le produzioni sono di assoluto livello e la fanno da protagonista: è il caso di “Maddalena Corvaglia”, “Brr Brr”, “Origami” e della titletrack.
Anche dal punto di vista grafico il disco non delude affatto: la cover è di forte impatto e i video di Mirko si confermano ancora confezionati con una qualità ed un’inventiva invidiabili:
E Mirko? Mirko è sempre il solito: riesce mantenere per buona parte dell’album un tono liricamente cupo e vivo che non ha mai il coraggio di sfociare nella reale tristezza se non in rare occasioni comunque sapientemente mascherate dall’aria di chi, in quei momenti, sa come si vive.
O almeno è bravo a farcelo credere, insomma: d’impatto il verso “Sto costruendo il mio castello di carte / e mi diverto di brutto”.
Rkomi dal punto di vista tecnico si prende pochissimi rischi e rimane decisamente abbottonato facendo ciò che sa fare. E’ dal punto di vista delle tematiche trattate che si possono apprezzare delle novità: “Farei un figlio” è quel momento in cui lo scherzo si macchia di essere nient’altro che una verità, quel pezzo con cui inevitabilmente Mirko dovrà rifare i conti nella sua vita, così come noi tutti peraltro.
Il disco si chiude forse con il pezzo più bello, introspettivo, sentito e diretto ovvero “Mirko No” che lascia poi dare il saluto ad un’esibizione di Shablo in “4Z”.
La forza di “Io in terra” è che Rkomi riesce a rimanere esattamente se stesso senza mai risultare troppo ridondante e senza quasi mai annoiare: il disco non ha passaggi a vuoto e nulla di ciò che lo costituisce può rivelarsi superfluo.
“Io in terra” completa il percorso di prima affermazione di Rkomi che probabilmente, per continuare a rimanere su questi ottimi livelli, prima o poi dovrà riuscire anche a reinventarsi in modo convincente, ma per ora va più che bene così.