Abbiamo chiesto ai Black Tail di raccontarci il loro secondo album, One Day We Drove Out of Town, uscito proprio ieri per Mia Cameretta Records e Lady Sometimes Records.
Se siete a Roma non perdete il release party a Le Mura.
Questo disco inizia insieme allʼestate.
Il primo giorno che abbiamo iniziato a scriverlo cʼera un sacco di sole, poca gente in giro e per andare in sala prove ho guidato sulla Pontina con Third dei Big Star nello stereo e una maglietta a maniche corte dei Flying Vaginas. Speravamo potesse essere una buona istantanea.
Spazi esterni o spazi interni, in senso ampio, luoghi emotivi, fisici,
distanze cosmiche, spazi urbani, spazi naturali: gira tutto intorno a questo.
Quando hai a che fare con gli spazi, ti rendi conto che gran parte di essi esiste
in relazione alla tua capacità di attraversarli e misurarli. Anche coi finestrini un
poʼ abbassati quando fa caldo, o i riscaldamenti accesi dʼinverno per spannare
il vetro. Sempre in senso ampio.
Ciononostante, in copertina ci sono finite mani che spezzano un biscotto della
fortuna. Come è possibile? Che diavolo cʼentrano? Cʼentrano. Coi biscotti della
fortuna può succedere di trovarci cose un poʼ a caso e vagamente umoristiche,
oppure una discreta percentuale di verità cosmiche assolute. Dipende dai casi,
e tu devi essere bravo a stabilire un peso giusto per tutto, perché, insomma, se
ti capita un biglietto che ha quellʼumorismo lì, e lo interpreti cercando di trovarci
chissà quale verità, allora rischi di essere tu la macchietta.
Suonare ti insegna più o meno le stesse cose. Ma qui torniamo un poʼ al punto: hai una maglietta dei Flying Vaginas e un disco dei Big Star, cosa diavolo vuoi che importi di cosa cʼè scritto sui biscotti della fortuna?
Sleepy Volcano
La prima traccia è stata anche il primo dei nuovi brani ad essere scritto. Lo
abbiamo lasciato in apertura, perché parla di come a volte si lascino stazionare
i bisogni in attesa del momento giusto, e il tema del momento giusto fa da
gancio con Springtime, il disco precedente. Parla di quando per un sacco di
tempo fai i conti con aspirazioni e aspettative inespresse, per cui le cose
tendono a restare immobili, in attesa di un momento che sembra non arrivare
mai. Poi, invece, un giorno in maniera del tutto spettacolare e devastante salta
tutto e non ti fermi più. Forse ci aveva già pensato Dino Buzzati, però senza
metterci la vulcanologia di mezzo. E sicuramente senza Farfisa.
Spider / Galaxy
Questa è una canzone fatta di due parti. La prima parte è un poʼ metafisica, in
una dimensione più macrocosmica – come se Eraclito avesse avuto un
telescopio Hubble invece del fiume – parte dallʼuniverso che cambia
costantemente forma, per arrivare ad una seconda parte del tutto scellerata e
onirica. Un giorno guidavo ascoltando Kevin Morby, era il tramonto, cʼerano i
campi bianchi e secchi. E i corvi sui rami degli alberi. Sembrava tutto un enorme
incendio con lʼestate a crepitare via. Il microcosmo intimo delle cose preferite.
Che non sono gli incendi, ma tutto il resto. Una sera lʼho raccontato a Roberto e
lui senza una parola, si è seduto alla batteria e ha iniziato a tracciare quelle
linee secche. Eʼ un brano che parla di come ci si renda conto della fortuna.
Text Walking Lane
Biscotti della fortuna, ci risiamo. La copertina ha un richiamo lirico tratto da
questo ricordo di una camminata per Roma, mentre attraversavo il quartiere
cinese rispondendo ai messaggi di un amico, al cellulare. Hai presente quando
cammini un poʼ in disparte e a rilento come se avessi una corsia tua, sul
marciapiedi, innervosendo tutti? A pranzo il mio biscotto della fortuna mi aveva
detto “sarai intervistato dalla televisione”. Ho pensato che avrei dovuto
prepararmi qualcosa da dire. Ad esempio che i negozi di dischi sono dei templi,
e se ci vai cantando canzoni, è come se pregassi. Detto col peso giusto, senza
troppa sacralità e più umorismo, con la giusta leggerezza, potrebbe funzionare.
Il motivo delle chitarre che si arrotolano come le code di drago nel carnevale
cinese, è del tutto colpa dei biscotti.
Campfire
Io non sono stato uno Scout, ma mi sarebbe piaciuto tremendamente.
Ciononostante, di serate intorno al fuoco ne ho trascorse anche io. Quando
avevo diciassette anni, durante il campeggio con gli amici, ho letto lʼEstate
Incantata di Bradbury, e se ripenso a quel senso di magica sospensione, posso
individuare esattamente il momento in cui le cose hanno preso a trasformarsi
ed io a imparare altri significati. Inoltre, mi piaceva lʼidea un poʼ nerd di infilarci
dei numeri, per la gioia della numerologia (occhio al discorso dei biscotti però).
Comunque, questo spiega anche lʼandamento folk, le chitarre teenager
imbizzarrite e i cambiamenti cinematici di atmosfera, con la batteria che scende
e sale, per aggrovigliarsi allʼultimo intreccio scapigliato di corde e lʼincanto
estivo, che sembra sul punto di sbiadire, e invece, a dircela tutta, non va mai via
completamente.
Downtown
Sul lato della città di Cambridge, un giorno guardavo il traffico attraversare il
ponte in direzione Downtown Boston. Cʼerano dei grossi cartelloni, un poʼ
strappati. Faceva caldo e nonostante il fiume, nellʼaria immobile si notava la
presenza un poʼ ansiogena dello smog intorno ai grattacieli. Io avevo un demo
di un brano suonato con il piano elettrico, e lʼeffetto con il panorama cittadino
era piuttosto efficace. Eʼ diventata una canzone in cui tutto si muove
serpeggiando, e surreali corridori indifferenti scavalcano scene del crimine,
suonano le ringhiere dei parchi con il dito. Se il sole al tramonto illumina in
maniera giusta i cartelloni sopra i palazzi, sembra di vederli accesi, per cui il
finale elettrico e la batteria tirata contro lʼorizzonte sono puramente in onore di
questo.
A Fox
Il secondo richiamo alla copertina è la prima frase di questa canzone. Un giorno
siamo andati fuori città. Abbiamo visto una volpe, mi ha ricordato un sacco di
cose difficili e sfuggenti. E mi ha anche fatto pensare che ci sono costanti nella
nostra vita, che la rendono delicata e straordinaria. Roberto ha iniziato a
suonare il puntato di batteria sotto lʼidea dei passi lungo il sentiero, quando
senti che ne hai uno sotto i piedi. Quando Filippo ci ha messo il basso, ci siamo
sentiti nel bosco. Anche perché effettivamente, fuori dallo studio ce nʼè uno.
Slippery Slope
A volte sono fuori per lavoro. Pranzi nel ristorante dellʼalbergo da solo,
ascoltando casualmente i discorsi del tavolo dietro, non per farti gli affari loro,
ma perché cʼè un silenzio che hai paura persino a muovere le posate. Insomma,
una sera al tavolo accanto al mio decidono di risolvere i problemi del mondo
immaginando di fermare le guerre elargendo risorse illimitate a tutti. Illimitato
mi è sembrato un numero prossimo allʼimpossibile. Guardando fuori, in quel
momento aveva ricominciato a piovere, avevo il bicchiere di vino mezzo vuoto,
e la certezza matematica di non poter risolvere né i miei problemi immediati, né
quelli del mondo tramite quella teoria, destinata a scivolare lungo il crinale della
realtà. Per dare questo senso di ebbrezza, in studio Filippo mi ha chiesto di
immaginarci un piano alla Silver Jews. Io ho suonato il minore sul maggiore, per
cui tutto ha iniziato a barcollare a mestiere. Succede, quando ti manca casa, i
tuoi amici e il tuo gruppo.
Wild Creatures
La mia dichiarazione dʼamore, lʼinno spregiudicato, per il senso radicale
dellʼessere indipendenti. Lʼho scritta immaginando il mio amico Tiziano di
Gusville, ma è anche per Filippo ed Ettore di Miacameretta, Lady Sometimes, e
tutte le persone che gravitano in circuiti analoghi. Quelle creature selvatiche,
che pensano a dedicarsi a ciò che amano, e che rifuggono dal bisogno di
sovrastrutture da gonfiare per cercare di piacere di più. Quelli che magari da
piccoli erano gli adorabili stronzetti che persino nelle foto dei compleanni
venivano sempre con gli occhi chiusi, rovinando gli scatti precisini alle mamme.
Quelli che non ballano alle feste, e quelli che non fanno la scenetta del bis a
fine concerto, e se lo fanno vuol dire che non è un trucco. Ho un video di Ettore
mentre registra la sua chitarra, ed è la cosa più selvaggia e adorabile del
mondo. Io ho un sacco di gatti, uno di loro mi soffia anche mentre si strofina,
perché ancora non sa se fidarsi di chi gli mette il piatto pieno sotto il naso. A
me quello lì sta un sacco simpatico.
Sycamore
Io e Roberto abbiamo sempre immaginato questa canzone come una suite,
strizzata in meno minuti. In molte canzoni del disco non ci sono ritornelli, meno
che mai qui. Avevamo in mente un suono marcato della stanza, e una canzone
in grado di muoversi in tre quattro stadi collegati, ma il cui clima fosse
leggermente diverso ogni volta. Per questo suona un poʼ più drammatica, più
elegiaca rispetto al resto del disco. Ci sono più tastiere, ed abbiamo giocato
con il nastro e lʼharmonium. Risolve lʼinquietudine in un salvifico ritorno a casa.
Era un poʼ un modo di uscire delicatamente di scena senza che il sole fosse
ancora alto.