A quasi trentacinque anni di distanza dall’uscita del loro album d’esordio, ritornano The Waterboys o meglio il fondatore ed unico membro stabile della formazione, Mike Scott.
Tanto quanto la line-up della band è stata caratterizzata negli anni da fuoriuscite e nuovi arrivi, così anche il percorso sonoro che lo scozzese Scott ha voluto intraprendere al suo timone ha toccato innumerevoli latitudini sonore, dal rock anthemico ispirato da punk e new wave dei primi tre album all’immersione nel folk celtico e nel country del leggendario “Fischerman´s Blues”, alla più intima ricerca spirituale e poetica di lavori più recenti come “Dream Harder”, “Universal Hall” e “An Appointment With Mr. Yeats”.
Il suo nuovo doppio “Out Of All This Blue” è contraddistinto da una forte carica positiva ed umana e da una voglia di cambiamento e sperimentazione che non contraddice il fatto che questa sia la raccolta di canzoni più immediate ed orientate verso il pop della sua intera discografia.
Ad alimentare questa voglia di novità il corso che la vita di Scott ha preso da qualche anno, contrassegnato dal recente matrimonio con l’artista giapponese Megumi Igarashi e l’esperienza della paternità.
A questo si aggiungono l’entusiasmo e l’amore che il songwriter ha sempre nutrito per la black music, vecchia e nuova.
Abbiamo colto l’occasione per parlarne con lui in collegamento dal suo studio/quartier generale di Dublino. Ecco a voi il resoconto.
Oltre ad avere ottenuto attestati d’apprezzamento da parte di musicisti del calibro di Prince ed degli U2, alcune delle tue canzoni sono diventate a tutti gli effetti parte integrante del repertorio della musicale folk scozzese ed irlandese a fianco di classici immortali ed ancora oggi eseguiti dalla miriade di musicisti che tengono viva quella grande tradizione. Cosa si prova quando ci si rende conto di avere composto delle canzoni di quella portata, di aver raggiunto un traguardo del genere?
Beh è molto difficile rispondere, anche se a pensarci, in realtà hai già risposto tu stesso alla domanda. Non mi resta davvero niente che possa dire o aggiungere a questo riguardo. Quello che posso dire è che ho cominciato a farne un’abitudine già da molto tempo, fin dai tempi in cui le mie canzoni hanno cominciato ad essere eseguite dai musicisti di strada, specialmente in Irlanda e Scozia ma anche in altre parti del mondo. La prima volta che ho ascoltato un busker cantare una delle mie canzoni è stato nel 1986.
Titoli come Fisherman´s Blues, When We Will Married, Bang On The Ear ed altri brani che ho contribuito a comporre assieme a Steve Wickham sono entrati a far parte del repertorio folk da molto tempo, per cui ci sono abituato. Non ci faccio più molto caso. È una cosa molto bella e sono naturalmente molto felice che queste canzoni vengano ancora eseguite, a prescindere dal tipo di versione, che sia folk, pop, rock o country.
Ascoltando il tuo nuovo disco si ha proprio questa impressione, cioè che tu non voglia dormire sugli allori guardando troppo al tuo passato musicale:
Esattamente! Penso sempre piuttosto alle prossime canzoni, al prossimo disco.
Interessante anche notare come tu abbia preso ispirazione dalla tradizione musicale black, dall´hip hop, dal beat making. Ci racconteresti qualcosa a proposito?
Trovo la musica rock attuale molto noiosa. Amo tutta la musica rock degli anni 60 e parte dei 70 ma quella del ventunesimo secolo è retrograda. Anche gente come The Black Keys, in grado di comporre veramente belle canzoni con melodie vincenti, portano avanti un sound retrò. Lo stesso vale per gli Arctic Monkeys: sono una buona band, il cantante è brillante ma il sound è vecchio, è una mistura di glam rock decadente dei primi anni 70. Potrebbe pure andare bene così, ma non mi entusiasma. Dall’altra parte c’è l’hip hop, che rappresenta ancora una frontiera inesplorata. Al suo interno c’è ancora gente che esperimenta soluzioni inaudite, nuove combinazioni di suoni, nuovi arrangiamenti. Questo è quello che mi eccita. I dischi di Kendrick Lamar mi entusiasmano perché sono cosi originali e diversi e mi danno idee musicali fresche.
Mi piacerebbe sapere qualcosa di più riguardo alla tua passione per i beats ed i loops, quando hai cominciato ad incorporarli nella tua musica per esempio.
Mi è sempre piaciuto lavorare con loops e drum machines. Ho realizzato album dove la musica era completamente suonata dal vivo, come “Fisherman Blues” o il penultimo “Modern Blues”, ma in molte occasioni nel passato sono ricorso a drum machines e campionatori, specialmente nell’album “A Rock In A Weary Land”, uscito nel 2000. Mi piace lavorare con quel tipo di tecnologia. Nel nuovo “Out Of All This Blue” ci sono andato ancora più a fondo, ed è stato molto divertente.
È interessante notare il tuo entusiasmo per le nuove tecnologie, considerando il tuo background. Mentre si può notare come ci sia ancora questa idea preconcetta in giro, per cui molti considerano la musica prodotta con strumentazione elettronica meno onesta e “vera” rispetto a quella invece suonata con strumenti acustici.
Beh sono certamente in disaccordo con questa tesi. Tutti questi strumenti, campionatori, sintetizzatori, sono appunto strumenti come tutti gli altri. Che siano questi chitarre, armoniche e organi. Sono tanto efficaci quanto è capace la persona che li usa… e naturalmente l´immaginazione che ci sta dietro.
Alla luce di questo, non temevi una reazione negativo da parte dei tuoi fans di vecchia data verso la tua nuova direzione musicale?
Oh Dio no! Non sono assolutamente preoccupato di ricevere reazioni del genere! Quando compongo una canzone e ad essa aggiungo un bel beat ed il risultato suona cosi bene, l´ultima cosa che mi passa per la mente è l´immagine di un nostalgico uomo di mezza età che commenta “Ma non suona come The Big Music…”.
Il nuovo album arriva in un momento decisamente cruciale della tua vita personale. Sei sposato da poco e sei anche diventato padre per la seconda volta. Credi che tutto questo abbia avuto un riflesso sul sound solare, disteso e sensuale delle canzoni che lo compongono?
Sì, tutto questo ha avuto sicuramente un riflesso nei miei stati d´animo e di conseguenza nel modo in cui ho composto le nuove canzoni. La mia vita è cambiata in maniera drastica negli ultimi cinque-sei anni e sono molto felice di questo. Vedere i miei figli crescere, avere una moglie di cui sono molto innamorato, sono cose che mi entusiasmano. E naturalmente tutto questo viene espresso nella musica che faccio.
In alcune delle nuove canzoni d’amore si nota anche una semplicità nell’esprimere questo tipo di sentimento che mi sembra sia il riflesso di una personalità che ha raggiunto quel certo grado di pace interiore ed quella maturità che solo una persona che ha vissuto tanto ed a lungo può provare. Che ne pensi?
Non sono d´accordo con te su questo. Pensa ad Holland-Dozier-Holland, che scrivevano le canzoni per la Tamla Motown negli anni sessanta. Erano tutti ventenni ed erano comunque in grado di scrivere canzoni d’amore molto mature. In generale in quell’epoca c’era una grande maturità nel songwriting nonostante la giovane età di molti di quei compositori. Però in effetti, forse le cose oggi giorno sono cambiate.
A proposito di quell’era musicale. Ho trovato molto intrigante il fatto che tu abbia preso ispirazione dalla soul music di fine 60s o inizi 70s. Gli arrangiamenti degli archi e dei fiati mi ricordano le atmosfere del Philadelphia Sound, per esempio. Ci racconteresti qualcosa a proposito dei musicisti che hanno collaborato con te?
Gli arrangiamenti di alcune delle nuove canzoni, Love Walks In per esempio, sono stati curati da Trey Pollard della Spacebomb Production, di Richmond in Virginia. Una label che vanta anche una house-band che, tra gli altri, ha suonato nei dischi di Matthew E. White e Natalie Prass. Trey è fantastico. Per me quegli arrangiamenti più che ispirarsi al Philadephia Sound vanno ancora più indietro, ai dischi di Marvin Gaye, Isaac Hayes o Curtis Mayfield, intorno al 1969, 1970-71.
Il clima politico e sociale che si respira di questi tempi negli Stati Uniti -e per certi versi anche in Europa- mi ha fatto pensare a come l’inclusione di influenze black nella musica pop abbia riacquistato quasi la valenza ben precisa di statement anti-razzista.
Penso che la musica black abbia influenzato la cultura popolare in maniera cosi profonda e completa e cosi da tanto tempo che non c’è artista pop che possa fare musica senza venire condizionato in una maniera o l’altra dagli artisti di colore. Anche razzisti dichiarati come Kid Rock e Ted Nugent producono musica che è piena di influenze black, e non c’è modo che lo possano evitare. Che gli piaccia o no.
Il problema forse è che quegli artisti non sono mai stati abbastanza onesti da ammettere questo tipo di influenza.
Potranno pure essere disposti ad ammetterlo ma sempre in maniera tale da presentare con aria di superiorità l´artista di colore, sotto la luce della novità alla moda, usa e getta, senza valore. Ma se non fosse stato per Chuck Berry, nessuno di noi farebbe questo lavoro ora.
Visto che hai menzionato Chuck Berry, mi viene in mente ora che nel disco hai anche incluso una canzone dedicata a Keith Richards, intitolata Mr. Charisma. Che ne pensi del modo in cui alcuni dei tuoi idoli musicali, Bob Dylan piuttosto che Neil Young o Patti Smith, stanno affrontando l’invecchimento pur continuando ad esprimersi in una forma d’arte giovanilistica per eccellenza come il rock?
Ogni artista o band invecchia diversamente. Per quel che riguarda i Rolling Stones, per me gli ultimi grandi dischi della loro discografia risalgono alla metà dei 70. L´ultima canzone loro che ho veramente amato è stata Fool To Cry, del 1976. Dopo di che, non hanno più rappresentato qualcosa di importante per me. Culturalmente sono ancora importanti, ma non hanno più prodotto nulla da allora che mi sento di dover prendere in considerazione con attenzione.
A confronto, artisti come Bob Dylan o Leonard Cohen sono invecchiati in maniera differente. In una fase avanzata della loro carriera hanno entrambi prodotto dischi e si sono esibiti in concerti importanti, continuando a fare qualcosa di nuovo, di unico. Poi c`è un artista come Iggy Pop. Ad un certo punto della propria carriera si deve accorto della propria “Iggyness” e di quanto sia figo essere Iggy e da quel punto in poi ha deciso di continuare a fare esattamente quello. Ma è un performer potentissimo, ora come allora. Non so esattamente cosa faccia Patti, non la seguo più, ma in generale è sicuramente affascinante osservare come quella generazione di artisti stia invecchiando.
In confronto ad altri, non sei un musicista che cerca ad ogni costo l´attenzione dei media o l´adulazione del pubblico. O almeno questa è la mia impressione. Che ne pensi?
Ho sempre creduto nella “Legge dello sforzo rovesciato”, che viene dal Buddismo Zen. Le cose che non cerchi di ottenere, prima o poi verranno a te. Credo di essere un buon songwriter, come molti altri della mia generazione, ma non vado là fuori cercando disperatamente un po´di pubblicità. Faccio quello che so fare, cerco di produrre dei dischi e di esibirmi sul palco al meglio delle mie possibilità e aspetto che sia il mondo a venire verso di me.
Mi piacerebbe sapere a questo punto quali sono i tuoi progetti futuri. So per esempio che stai per partire per un tour, non è vero?
Sarò in tour questo autunno per poi ripartire la prossima primavera per arrivare fino all´estate. Molte delle canzoni in scaletta saranno proprio estratte da “Out Of All This Blue”. Oltre a questo, gran parte del prossimo album di The Waterboys è già pronto, e continuerà ancora più decisamente in questa nuova direzione musicale.