L’8 Settembre 2017 usciva Solchi (Fresh Yo / La Tempesta International), il terzo disco di Godblesscomputers a sei anni dall’inizio di questo progetto.
“Legno, metallo e microchip”: partiamo da questa definizione coniata dallo stesso Lorenzo tempo fa.
Il disco Solchi, così come i precedenti, è uno storytelling musicato, un percorso autobiografico in cui i suoni hanno sapori, profumi, colori e sensazioni che appartengono a Godblesscomputers e a lui soltanto. Noi ascoltatori siamo visitatori attratti, incantati e a volte imprigionati in queste bolle di ricordi in cui ci piace cercare qualcosa di noi e al tempo stesso immaginare qualcosa di lui.
Lorenzo, per gli amanti della scena elettronica made in Italy, non è certamente un nome nuovo, direi piuttosto un’autorità.
Nada nasce a Ravenna, passa da Bologna, dopo una parentesi berlinese di cui poi ci parlerà lui stesso, per poi tornare nel capoluogo emiliano.
Il suo mondo fatto di elettronica, hip hop e black music piace agli addetti ai lavori, al pubblico e alla stampa. L’Italia nel suo live ha trovato un prodotto musicale completo, raffinato e puro. Senza fronzoli e sovrastrutture, senza finzioni o adattamenti.
Al telefono riconosco lo stesso ragazzo educato, disponibile, chiaro e preciso che aveva descritto Francesco Abazia tempo fa, sempre su dlso.it.
Veleno era nostalgico, Push and Safe era il disco sull’ossessione umana di controllare ogni singolo segmento della nostra vita, Solchi invece è l’album dei ricordi, un bilancio sul presente e passato.
Qui di seguito la nostra chiacchierata.
Ciao Lorenzo,
quasi un mese fa hai pubblicato Solchi. Ci aiuti a capire cosa c’è dietro a questo disco?
In questi due anni ho ascoltato poca elettronica e mi sono concentrato su roba vecchia, ascolti passati. Molto jazz per esempio.
Ho riscoperto molti classici della Golden Age, gli anni Novanta; mi hanno influenzato e ispirato parecchio nell’attitudine.
Ci sono dischi fondamentali che fanno parte della mia collezione come quelli di Mobb Deep, Tribe Called Quest. Quel sound molto monolitico ed essenziale che poi da ragazzino non ascolti veramente bene. Ho anche acquistato molti classici se non li avevo.
E’ un disco eterogeneo però nonostante abbia toccato vari territori, il modo di comporre e alcuni elementi sono ricorrenti e caratteristici del mio processo creativo.
Nei miei pezzi cerco sempre di condensare le mie emozioni e sensazioni. L’elettronica è il mezzo che più mi aiuta a trasmetterle, anche se in realtà preferisco parlare di produzioni piuttosto che di elettronica. Elettronica vuol dire tante cose, io preferisco parlare di elementi sintetici, perché poi quello che faccio contiene anche tanta roba che appartiene ad alto, che poco centra con l’elettronica; bassi, chitarre e fiati.
Elementi suonati e samples in stile hip hop.
Chi è Lil O?
E’ una persona che mi conosce molto bene. Intorno a me. Le ho chiesto di scrivere io qualche riga su quello che ha visto e sentito ascoltando Solchi e le ho inserite nella traccia Brothers, la prima. E’ una poesia ma anche un manifesto che si amalgamava benissimo nel brano, che contiene tutti gli elementi ricorrenti nell’album, quindi ritmiche hip hop, samples, pianoforte elettrico… E’ un brano che mi rispecchia tantissimo e volevo renderlo un punto di riferimento nel disco inserendo questa poesia.
Descrivendo la traccia Adriatica, ti sei immaginato una scena di un film girata lungo il litorale. Questo disco secondo me si presta molto al mondo cinematografico, sei riuscito a visualizzare il tipo di film al quale Solchi si presta?
Il disco ha tanti momenti e tante storie. Più che un unico film, riesco a visualizzare diversi videoclip per ogni brano.
Adriatica è un pezzo con suggestioni non tanto cinematografiche secondo me. Io mi immagino più un videoclip girato con un drone su questa spiaggia deserta, nel tardo pomeriggio.
Con Just Slow Down mi sono immaginato invece un viaggio nel tempo ed è poi quello che abbiamo cercato di realizzare nel videoclip.
Ti posso dire che ci saranno altri contenuti in uscita legati ai brani e non ti nascondo che mi piacerebbe lavorare molto in questa direzione per il futuro; insonorizzare le immagini per esempio. Sarebbe un’esperienza del tutto nuova e partire dalle suggestioni delle immagini per arrivare alla musica è una cosa che mi affascina molto.
Hai coinvolto molti artisti per questo disco. Ci parli della collabo con Inude?
Con loro ho un rapporto d’amicizia e di stima. Non abbiamo mai realmente condiviso lo stesso palco, ma sono venuti a sentirmi spesso e io ho fatto lo stesso.
Quando c’è feeling, se c’è una bella energia come in questo caso, ha senso sfruttarla per fare qualcosa. La loro musica è molto distante dalla mia: è un sound più freddo, acido, evocativo. Io ho sonorità più soul ma sono persone con cui mi trovo bene perché credono davvero in quello che fanno quindi chiudersi insieme in studio è stata una conseguenza naturale.
Il brano che abbiamo composto forse si distanzia leggermente dagli altri, anche per
questo ho deciso di metterlo per penultimo.
Una figura importante nella stesura di Solchi?
Giulio Abatangelo, bravissimo musicista con un background jazz. Suona chitarra e basso. Sarà con me sul palco per il nuovo live concepito per questo tour, in cui suoneremo sia brani nuovi sia quelli degli anni precedenti. Saremo un trio, a tutti gli effetti una band.
Abbiamo trascorso l’estate in saletta ad aprire i brani, smembrarli e donare loro anche una nuova energia proprio in chiave band. E’ una direzione naturale del progetto Godblesscomputers.
Mi sembra che dietro al disco e in generale al progetto intorno a questo, ci sia uno sforzo maggiore rispetto gli anni precedenti.
C’è molta più attenzione al groove, intendo lo scheletro proprio del disco; le batterie, i giri di basso. In Plush and Safe erano più dei sub bass che ti colpivano allo stomaco, lavorati con i compressori. In Solchi molti bassi sono suonati, anche con sintetizzatori, sviluppando una linea armonica all’interno di ogni giro di basso e questa è una novità per me, non mi ero mai concentrato più di tanto su questo aspetto.
Riccardo Cardelli in questo mi ha ispirato tantissimo; è un artista incredibile con un approccio molto fisico alla musica.
Riccardo Cardelli lo seguo anche io. Un musicista molto talentuoso ed un tuo caro amico vero?
Certo. Ho citato lui, prima Giulio ma tutti gli artisti coinvolti in generale, sono persone con le quali mi trovo benissimo in primis a livello umano. E’ questo quello che conta quando vai in studio. Io sono una persona tesa di mio quindi ho bisogno di essere a mio agio con chi condivido lo studio.
Solchi è un’altra testimonianza della tua collaborazione con Fresh Yo. Ma alla luce anche di quanto detto prima, ti piacerebbe anche trovare qualcosa fuori dall’Italia?
In realtà ho avuto contatti all’estero, realtà anche parecchio grosse. Ci ho parlato a lungo con queste persone. Volevo capire cosa avevano in mente loro.
Alla fine ho preferito continuare con persone con cui ormai un rapporto vero, genuino.
Fresh Yo comunque sta spedendo copie del disco in tutto il mondo.
PIù che un discorso di etichetta però, a mio avviso sono importanti la comunicazione e la distribuzione del disco ed è proprio per questo che avevo bisogno di persone vicine e che mi conoscono bene.
E’ triste pensare che se si voglia uscire dall’Italia, sia necessario appoggiarsi a realtà straniere. Io cerco di produrre la mia musica qui, tessere rapporti veri con le persone con cui lavoro e crescere tutti insieme.
E’ vero che all’estero ci siano realtà più radicate, in Italia a volte gli addetti ai lavori sono scollegati tra loro…
Comunque i risultati stanno arrivando: avremo una data molto importante a Londra, a Dicembre.
Più volte mi sono chiesto perché la tua musica si sia avvicinata poco alla dimensione del club. Per me questa tendenza è da rimproverare alla scena italiana.
La tua musica si presta a concerti, ma anche a molte altre situazioni.
Io sono soddisfatto dei risultati ottenuti e ti dico non mi sento tanto da club. Sono un artista da palco, da concerto. Penso che la mia musica non possa piacere neanche più di tanto a chi frequenta i club, poi magari mi sbaglio. Io mi sento da un’altra parte, ecco.
Le mie ambizioni sono solo quelle di fare musica sempre migliore, non seguire le mode e fare cose che mi rispecchino. Questo per dire è un disco che non avrei mai fatto quando ho composto Veleno.
Chiudiamo tornando indietro nel tempo. Cosa facevi a Berlino nel 2011, quando hai iniziato il progetto Godblesscomputers?
Ero programmatore informatico presso una Web Agency, fresco di studi. Sono partito perché avevo questo aggancio lavorativo, ma anche spinto dalla curiosità di vivere in un contesto particolarmente creativo. Ci ho vissuto quattro anni ed è stata una bella esperienza.
Ripensamenti?
No, è stata una mia scelta, dettata da motivi personali. Una volta tornato mi sono concentrato sulla musica e poi è iniziato tutto…