Ok, belle la trap, il grime, etc. ma poi? Cosa ci sarà dopo tutto questo? Il baratro? Il vuoto? No. Nonostante il rap italiano (se vogliamo generalizzare) stia assistendo al più che normale, ancora impercettibile periodo di declino dei sottogeneri che hanno caratterizzato la scena negli ultimi due anni, ci sarà sempre qualcuno pronto a proporre musica nuova e fresca. E questo qualcuno risponde al nome di Coma Cose. Anzi, questi qualcuno, visto che Fausto e Francesca rappresentano la novità a partire dalla composizione del duo, un ragazzo e una ragazza, che piuttosto che scimmiottare gli americani, preferiscono prendere ispirazione da Battisti, “uno dei più grandi artisti hip-hop italiani”. Siamo andati a intervistarli, in una fredda serata milanese a pochi chilometri dalla “loro” Porta Ticinese:
Ciao ragazzi, come prima cosa: complimenti per il botto. Su Viral 50 di Spotify vi siete presi il secondo posto, ma questo numero non varrebbe niente se dietro non ci fosse tutto l’impegno che avete messo nel progetto, dal giorno zero. Dico bene?
È una bella domanda, perché va a premiare il lavoro di questi mesi. La nostra più grossa soddisfazione è il fatto di essere arrivati a questo EP, che ha dei colori molto diversi dalle cose che abbiamo fatto prima, senza che nessuno si sia minimamente stupito del cambiamento, e la cosa che ci gratifica è proprio l’idea di aver creato un marchio, che si basa innanzitutto sulla sinergia tra noi due, un immaginario talmente forte che intorno ad esso può gravitare qualsiasi cosa, musicalmente parlando. Quindi se da una parte il salto è stato anche permesso dalle sonorità più pop di questi tre pezzi rispetto ai precedenti, essi sono comunque la più naturale continuazione del nostro percorso.
Sempre parlando di novità, se vogliamo mettere un paletto tra voi e la miriade di ragazzi che saltano fuori ogni giorno da YouTube, esso consiste nella vostra storia passata e al vostro bagaglio di esperienza, che si legato o no al mondo del rap. Cosa c’era prima di Coma Cose? Chi eravate?
[Francesca] Allora, io vengo più da uno scenario musicale fatto di techno, rave, drum & bass, nonostante sia sempre stata appassionata al rap, che è stato il genere della mia adolescenza. Comunque ho sempre ascoltato cose di tutti i tipi e mi sono approcciata alla musica per il fatto di aver sempre avuto amici che la facevano, ritrovandomi spesso in studio a registrare il ritornello di una canzone, minimal, per dire. Però posso dire di non aver mai fatto nulla musicalmente di mio fino a d’ora.
[Fausto] Per quanto mi riguarda, l’ultimo mio progetto era stato Edipo, croce e delizia, visto che è stata una figata finché mi ha rappresentato. Poi finalmente l’approdo nella major, che speravo fosse la strada giusta per sviluppare al meglio le mie intenzioni, ma purtroppo qualcosa è andato storto e quindi, un po’ per la voglia di fermarmi e capire cosa avessi sbagliato, un po’ per la consapevolezza che era finito un momento della mia vita, ho smesso. Dopo aver finito la SAE, per cinque anni ho fatto il produttore, dal rock al punk, passando per il folk, e immagazzinando così sia capacità tecniche sia conoscenze sul campo. Dopo Edipo, avevo anche un poco ripreso con il rap, mia passione da ragazzino, ma sempre limitandomi perché “in fondo ero cantautore”. Finché non ho capito che era un trappola e mi sono detto: fanculo, a me il rap piace. Ed in fondo è quello che facciamo oggi, con il surplus dell’esperienza negli altri campi.
“Inverno ticinese” a partire dal titolo parla di Milano, già al centro delle vostre liriche in pezzi come Deserto. Patria di big come i Dogo e Sfera, la città è quasi sempre stata vista attraverso le lenti del ghetto e dell’intelligangsta (cit). Nei vostri pezzi invece c’è spazio per la magia delle piccole cose, come il ventolone della Pam o le case di ringhiera. Cosa rappresenta Milano nel vostro immaginario?
Per la verità non ci siamo mai imposti di dire qualcosa per il semplice fatto che non la dicessero altri. Ciò che c’è nei nostri pezzi è ciò che viviamo ogni giorno, un po’ come Marra e Guè fanno a modo loro. Ma con loro alla fine condividiamo solo il mezzo. Oggi sembra tutto improntato sul g’sta rap e onestamente inizia a suonare un po’ ripetitivo e quindi un po’ noioso. Per assurdo, cos’è da cambiato da Mi Fist ad oggi in quel tipo di rap? Solo la tecnica. Da parte nostra l’ultima cosa che volevamo era metterci a parlare delle storie che non abbiamo mai fatto: che senso aveva mettersi a parlare di buste? Ma siamo orgogliosi di abitare qui, perché ci sentiamo ancora le matricole universitarie appena arrivate nella grande città dal paese di provincia. Parlandone come facciamo nei nostri pezzi, vogliamo suscitare nella gente che ci ascolta quelle sensazioni che proviamo in modo che anche loro possano dire: ma sai che Milano in fondo è figa? Questo è un messaggio indiretto
Mi sorge spontaneo chiedervi a questo punto come vi piace classificare la vostra musica, etichettandola con un genere.
A noi piace chiamarla attitudine urbana, anche se suona un po’ una cosa anni Novanta [ridono, ndr], ma alla fine di quello si tratta, perché chi lo sa, magari il prossimo pezzo potremmo suonarlo coi cembali o le chitarre distorte. In fin dei conti l’hip-hop per noi è questo, è comunicare un disagio emotivo e fotografare una situazione fregandosene di tutti i cliché, lasciando stare le quattro discipline sacre e sticazzi. Come diciamo sempre, secondo noi Guccini e molti altri cantautori sono stati artisti hip-hop a tutti gli effetti, con quelle sonorità, in quegli anni, con quelle storie di vita. Purtroppo oggi invece il ragazzino che si approccia al rap adesso viene a contatto solo con la trap e ne consegue tanta forma e zero personalità.
Un altro aspetto che volevo analizzare era il fatto che il titolo evochi l’inverno, pur essendo uscito ad ottobre (e dubito che questa cosa sia stata lasciata al caso). Parlate del primo inverno passato qui a Milano o del prossimo a venire, quello in cui uscirà l’album?
In realtà le canzoni sono state scritte ad agosto/settembre e avevano un mood molto malinconico che sembrava fatto per le stagioni più fredde. “[…] L’autunno è soltanto un ideale da difendere” è tra l’altro una frase che ha senso in una situazione di passato, quindi è sempre presente una profondità temporale tra i mesi di autunno e inverno. Il nome quindi l’abbiamo scelto con la speranza di creare una mini-colonna sonora per l’inverno a venire, che non parlasse dell’inverno, ma dell’autunno.
La prima volta che ho sentito “Anima Lattina” mi è venuta in mente Loredana Bertè e la sua “In Alto Mare” specialmente per la ritmica. C’è un pizzico di lei in questo EP? Chi vi è stato d’ispirazione?
Per la verità alla Bertè non avevamo neanche pensato, ma in effetti ho letto molti commenti su questa somiglianza. Sicuramente fonte d’ispirazione prima è Battisti, che abbiamo voluto omaggiare. Proprio la sera prima della creazione del pezzo avevamo ascoltato “Anima latina” e constatavamo quanto cazzo fosse figo. Ci siamo guardati e ci siamo chiesti se poteva esistere questa cosa anche nella nostra musica. Il giorno dopo il pezzo era scritto.
Ed ora? Cosa c’è nel futuro prossimo di Coma Cose?
Allora, la cosa bella è che ci hanno scritto in tanti, non solo per farci i complimenti, ma anche per chiederci delle collaborazioni (artisti sia piccoli, sia grossi), a cui dobbiamo dire di no per il momento, perché vogliamo focalizzarci su di noi. In questi giorni siamo molto concentrati sui live (che partiranno tra poco in un tour piuttosto intenso), perché vogliamo che Coma Cose sia qualcosa che si possa ritrovare anche nei concerti. Nel frattempo sicuramente arriveranno dei pezzi nuovi, magari verso marzo e se dopo comunque prima dell’estate. Giusto il tempo di stare un po’ tranquilli e poi la musica verrà fuori da sola. Certo, magari far solo musica sarebbe più facile per la nostra carriera, ma essere due persone che fino ad oggi hanno vissuto la vita nella sua totale quotidianità è anche la forza del nostro progetto.
Ragazzi, grazie di tutto e a presto!