Non so come funzionino gli algoritmi di Youtube, che tra l’altro ha da poco cambiato filosofia ed interfaccia, ma è alla luce del sole quanto gli debba la nostra generazione, da un punto di vista musicale.
No, non solo perché permette a tutti di caricare i propri contenuti e tutta la tiritera che già conosciamo, ma perché tramite giri oscuri e meccanismi che conoscono solo nelle stanze blindate del colosso americano capita spesso un qualcosa di “magico”.
A tutti, negli anni recenti, è capitato di vivere un pomeriggio di quelli noiosi passati davanti al pc, ascoltando musica e cazzeggiando, notando per l’ennesima volta un pezzo od un album sconosciuto come suggerimento correlato di quello che stiamo sentendo.
Succede che ti capita di vederlo talmente tante volte lì messo fra i suggerimenti, nonostante anche poche visualizzazioni, una grafica che sembra intrigante ma insomma niente di pazzesco, che alla fine un giorno ci clicchi sopra e ti maledici per non averlo fatto molto prima.
È così che ho conosciuto Yellow Days (nome d’arte di George Van De Broek). Un giorno mi son deciso a cliccare su questa copertina dorata dal carattere evidentemente lo-fi ed i trenta (scarsi) minuti del suo primo album “Harmless Melodies” mi sono entrati subito sottopelle.
Alternative, nu-soul, indie e chi ne ha più ne metta. Diciotto anni o poco più ed una voce portentosa che sembra appartenere a quella di un soul-man che ne ha viste di tutti i colori nella vita, con una maturità ed un timbro di quelli che ti fanno riflettere veramente.
Una chitarra dal carattere allo stesso tempo vintage e moderno, fra tremolo, riverbero e suoni sporchi, che sorregge il peso specifico di quasi tutti i brani, anche di quelli in cui non sembra essere così fondamentale.
In più, come se non bastasse, è praticamente un modello, con un magnetismo tipicamente anglosassone ed androgino a metà fra la stereotipo della rockstar anni ’70 ed un A$AP Rocky qualunque dei nostri giorni.
Complice l’età, è quasi tenero il modo in cui in tutte le sue uscite dal vivo per ora reperibili quasi si nasconda dietro la chitarra, se la tenga stretta vicina anche quando non ce ne sarebbe così bisogno. Appena qualche giorno fa è uscito il suo primo album ufficiale “Is Everything Okay In Your World?” che non si allontana quasi in nulla dal suo breve predecessore (a partire dalla copertina).
Le strutture delle canzoni sono quelle, i suoni anche, è percepibile uno sforzo nel cercare una maturità diversa, che però ovviamente non si può possedere a diciotto anni. Ne esce comunque un album molto solido, lungo al punto giusto e che scorre più che bene, proiettandoci in un universo sonoro immaginifico, di quelli che curano i mali di una giornata pesante. C’è di nuovo da sottolineare come il lavoro della chitarra sia magistrale, con dei suoni curatissimi e delle progressioni di accordi a metà fra il blues il jazz e l’indie.
Che del suo immaginario facciano parte anche rap ed hip-hop ce ne accorgiamo da subito, anche se magari all’inizio non sappiamo bene perché. Poi arriva la sesta traccia “Lately I”, con il featuring del rapper irlandese classe ’93 Rejjie Snow, ed all’improvviso ci appare chiaro. Sì perché l’universo sonoro di Yellow Days si pone in un certo senso a metà fra altri due giovani prodigi chitarra-dipendenti: il connazionale King Krule e l’enfant terrible Steve Lacy. Se del primo troviamo quel feeling tipicamente inglese, quell’indie di matrice post-rock che risale fino ai progenitori Morrisey e co., del secondo invece abbiamo il blues, il soul sporco e tipicamente americano. Due anime diverse, una più riflessiva e cupa, l’altra più “muscolare” e “funk” (non come genere ma come attitudine).
L’incontro non può essere che una gioia per le orecchie ma soprattutto terreno fertile per incursioni liriche diverse dal cantato mellifluo e sognante del giovane, d’altronde gente come Kanye West, Beyoncé, Kendrick Lamar ed in generale tutto il mondo rap ed hip-hop hanno dimostrato di tenere in fortissima considerazione suoni di questo tipo, più “britannici” (James Blake, Mura Masa e Bon Iver anyone?)
Insomma sono pronto a scommettere su un futuro importantissimo per il progetto Yellow Days ed il buon George, perché l’entusiasmo nei confronti della sua musica è reale e non dovuto solo allo sgomento che si prova una volta appresa l’età: al contrario, poggia le basi su una musica perfettamente a suo agio nella contemporaneità ma infarcita con classe di nostalgia, così da risultare assolutamente irresistibile.
Sono pronto a puntare i miei soldi anche su come a breve termine arriverà la collaborazione con qualcuno di “inaspettato” e dal nome altisonante del panorama rap/hip-hop, che sia a stelle e strisce (Frank Ocean? Tyler, The Creator?) o suddito della regina (Mura Masa? Loyle Carner?).
Chiudiamo su Youtube. Il canale su cui ho scoperto Yellow Days si chiama PhoneSex ed a parte il nome bellissimo contiene un’infinità di band più o meno conosciute e tutte o quasi molto interessanti, ad esempio qui ho scoperto anche gli Homeshake, capendo solo dopo un’infinità di tempo che sono il progetto solista di Peter Sagar, il chitarrista di Mac DeMarco. Un altro canale sui generis è TheLazylazyme, che ha un attitudine ancora più underground ed è zeppo di artisti interessanti dalle grafiche bellissime, ma anche Korean Gatorade e [Bonzai Children].
Per gli appassionati di stoner/doom ed affini i canali non si contano, ma quello di Ana Mateus racchiude cose misconosciute di una qualità inaspettata. C’è poi 777tv che no, non è il canale della Dark Polo Gang, ma quello di un tipetto inglese chiamato Fabio in cui sono caricati contenuti abbastanza random e divertenti fra cui un’intervista sconclusionata a Tyler, The Creator e soprattutto alcuni video di una band che è finita anch’essa nel meccanismo dei correlati frequenti di youtube, i boy pablo, che con il singolo “Everytime” stanno sbancando.
C’è veramente un mondo sconfinato in cui perdersi, più si ascolta e si clicca e più YouTube ci porterà in giro per il mondo a conoscere artisti del tutto anonimi a livello di fama) e “vergini”. Basta prendersi un pomeriggio di tranquillità, carta e penna per segnarsi quelli fondamentali, e partire per un viaggio che ci lascerà decisamente arricchiti e molto soddisfatti.