Per cercare il ritmo ti immagino ad un passo da me, e se guardo avanti con la testa dritta vedo soltanto la fetta di te che parte dal pomo d’Adamo sul collo, scende dai nervi tesi che si tuffano dentro la maglietta e si incaglia nell’angolo ottuso della tua spalla. Involontariamente mi accorgo che questo è il pezzo di te che ho visto più spesso, e su cui ho posato la mia guancia, i miei occhi stanchi, il mio orecchio che sentiva in lontananza il battito del tuo cuore rimbombare tra i fili di cotone. La copertina del disco di Germanò è un posto in cui tutti siamo stati, e in cui tutti abbiamo portato qualcuno. E’ un disco senza volto, una storia che abbiamo vissuto e in cui ci ritroviamo. Un amore finito soltanto per uno dei due, come in un racconto di Dino Buzzati o in una canzone di Enzo Carella.
Ti aspetto ancora sveglio
con il motore acceso
questa è – per me – la frase che sintetizza tutto l’album, l’attesa per una cosa che potrebbe non accadere mai – il suo ritorno – ma che non riusciamo ad affrontare a motore spento, senza riscaldamento, ad occhi chiusi. “Per cercare il ritmo” è il brano che apre l’omonimo album del cantante romano Alex D’Andrea, disco d’esordio da solista dopo l’esperienza delle band Jacqueries e Alpinismo, uscito il 29 Settembre per Bomba Dischi.
Un giorno ho letto una cosa bellissima di Sándor Márai, diceva che “noi siamo ciò su cui manteniamo il silenzio”. Siccome io sono una persona che fa delle liste per tutto, ne scrivo una brevissima di cose su cui manteniamo il silenzio:
– gli amori finiti
– gli amici morti negli incidenti
– tutte le volte in cui ci rimaniamo male
– le sigarette che fumiamo quando siamo da soli
– la solitudine che proviamo quando fumiamo le sigarette.
Ci accorgiamo di questo soltanto nei momenti in cui qualcuno interrompe il silenzio, e fa partire i nostri pensieri velocissimi come macchine in autostrada quando la sbarra del casello si alza. Allora ci ricordiamo chi siamo davvero, persone che mantengono il silenzio ma che vorrebbero condividere il cuscino, i viaggi in macchina verso qualsiasi posto, i conti, i racconti. Germanò rompe il silenzio, sottovoce.
Ci sentiamo come se tutto avesse bisogno di venire messo a verbale da un Carabiniere che ci ferma e in cui cerchiamo confidenza quando superiamo il limite soltanto per gettare via dal finestrino un po’ di nostalgia.
E’ semplice lasciarsi e poi,
no non è così.
sentiamo le note della tastiera spingerci le costole, i capelli accarezzati come corde di una chitarra dalle dita, ogni colpo sul rullante è un pizzicotto che ci risveglia dal nostro stato di calma e felicità apparente in cui facciamo finta di essere comunque soddisfatti dal lavoro e dalle insicurezze nelle relazioni in cui ormai non ci impegniamo più.
Ogni frase cantata da Germanò è un secchio d’acqua gelida sulla faccia, e poi gli occhi che di scatto si aprono su una persona a cui vogliamo davvero bene e che ridendo dice che voleva soltanto farci uno scherzo per svegliarci, per risvegliarci.
Grace è il nostro risveglio, la nostra rinascita traumatica.
“Per cercare il ritmo” è un disco suonato benissimo, che spazia con sapienza ed eleganza tra il pop e il jazz, ricordandoci quanto davvero amiamo la musica. E’ un album malinconico e reale, che termina con il pensiero di speranza che
un giorno noi
conquisteremo il mare,
un giorno noi
seguiremo il cuore.