“Dove siamo stasera? Roma? Pazzesco amico”
La prima volta che Micah Davis, in arte Masego, parla con il pubblico dell’Alcazar di Roma è per fare questa constatazione. Ed effettivamente per un classe ’93 jamaicano-americano ritrovarsi nel bel mezzo di un tour mondiale dev’essere un’esperienza forte, destabilizzante ed adrenalinica.
Ma non illudiamoci, sarà l’unica volta che Masego mostra il volto del ragazzo dietro la maschera meravigliosamente costruita della superstar e del possessore di un talento indiscutibile e purissimo. Un passo alla volta però.
La presentazione fornita da chiunque quando si deve descrivere la sua musica è la stessa che ha contribuito lui stesso ad alimentare e creare: “trap house jazz”.
Insomma, è un bell’impatto già solo dal nome e lascia sicuramente abbastanza curiosi. Con “The Pink Polo EP” e “Loose Thoughts” ci ha chiarito un po’ questa definizione che come sempre accade rende forse il dieci per cento del suo suono.
Andare a vederlo dal vivo è quasi un obbligo, perché intanto non siamo abituati in Italia a ricevere le visite di artisti così giovani e “fresh” che sono sempre una scommessa per chi organizza i concerti e poi perché fin qui Sego ha dimostrato un percorso personale ed originale di tutto rispetto che è solo all’inizio.
Qui a Roma vi anticipo che la scommessa è stata ampiamente vinta.
L’Alcazar è un locale “nuovo” (recuperato da un vecchio cinema abbandonato in quel di Trastevere) ma che si è affacciato sulla scena concertistica romana con una sicurezza ed una scelta a livello di proposta musicale quasi inedita nel circuito romano.
Il posto è meraviglioso: la sala da concerto è ricavata in tutto e per tutto da quella del vecchio cinema, rispettandone la conformazione ed i dictat architettonici, quindi struttura incassata a mezzaluna per il palco e “platea” in pendenza che verso l’alto sfocia nel bellissimo bancone del bar. Sopra, a sovrastare il tutto, una “balconata” protetta da spessi vetri, in cui hanno spazio i tavoli del ristorante.
È tutto incredibilmente raccolto, curatissimo in ogni dettaglio ma allo stesso tempo niente affatto asfissiante o pedante nel cercare di far rivivere fuori tempo massimo degli spazi nati per un altro scopo decine e decine di anni fa. Come se non bastasse siamo nel cuore Trastevere, uno dei quartieri ed in generali luoghi più belli di tutta Roma. Questa si rivela poi un’arma a doppio taglio: per quanto sia meraviglioso uscire dal concerto e perdersi nei bellissimi vicoli, è allo stesso tempo tutto meno che un luogo pratico per organizzare un concerto, a partire dall’incubo del parcheggio.
Arrivati davanti all’ingresso c’è una gran quantità di gente che tuttavia viene smaltita in un tempo non troppo elevato. Dentro la sala (che non è enorme ma comunque molto spaziosa) è assolutamente strapiena, sembrerebbe esser stato raggiunto il sold-out.
Il concerto inizia in ritardo di un’oretta per permettere a tutti di entrare, così sul palco appena si spengono le note del dj-set che fino a quel momento ha tenuto banco, fa il suo ingresso Emmavie, rapper e producer inglese che per una ventina di minuti scalda gli animi (i corpi non ce n’era decisamente bisogno). Un’esibizione non supportata molto dall’impianto che pompa poco le basi ma che lascia decisamente trasparire un’idea musicale ben precisa, con un nu-soul intriso di hip-hop ed elettronica godibilissimo e ben interpretato, rinvigorito anche da una presenza scenica importante e che coinvolge dal primo minuto tutti quanti. Insomma un’apertura molto gradita e che lascia tutti con un sorriso più grande di quello con cui sono entrati.
Bastano cinque minuti perché entri sul palco Anthony Alston, dj e spalla del buon Masego per tutta la durata del concerto. Per circa dieci minuti si avventura in un dj-set schizofrenico a tratti divertente a tratti sinceramente abbastanza incomprensibile ma che comunque ha solo la funzione di sparigliare il banco e preparare l’improvviso ingresso in scena di Masego, che salta sul palco all’improvviso mandando in visibilio la sala.
L’energia è tanta ed attraversa tutto il pubblico, è come sempre dovrebbe essere: lui ce ne fornisce moltissima e noi ne forniamo tantissima a lui, in uno scambio che è la materia prima di qualunque concerto che aspiri ad essere grande. Occhiali scuri e camicia dalla fantasia hawaiana, massa di capelli che sfida qualunque legge gravitazionale e la voglia di conquistarsi tutti i presenti (con una predilezione niente affatto nascosta per le signore). Non c’è un secondo di pausa fra una traccia e l’altra, interrotte solo dai ringraziamenti e dai siparietti divertenti fra Sego ed Anthony A. che sanno di coreografato e naturale allo stesso tempo.
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Come dicevo all’inizio la forza che esprime nel voler affermarsi ed uscir fuori come un fuoriclasse è espressa non solo dall’esibizione assolutamente impeccabile, ma anche direttamente dalle parole pronunciate: quanto siano espressione della personalità di Micah Davis o del personaggio Masego non lo sappiamo, ed è giustissimo così. Parliamo comunque di uno che a 22 anni ha affermato in modo candido ad XXLMag che il suo obiettivo è quello di innovare ed ispirare, di spingere la cultura sempre più in là e di essere la prima persona a realizzare qualunque pensiero creativo gli passi per la mente.
Il nostro danza fra il microfono, il sassofono ed il pad per creare beat sul momento in modo elettrizzante e perfettamente naturale mantenendo sempre il livello d’attenzione, di un pubblico meraviglioso e perfettamente eterogeneo, sempre altissimo. Quando arrivano le hit come “Tadow”, “Girls That Dance”, “Navajo” o l’inaspettata quanto gradita cover di “Dirty Diana” di re Michael, canta e balla tutta la sala in un modo che sembra sorprendere lo stesso Masego, che prende quell’energia e la spinge più in là ancora, in un climax che sembra non raggiungere mai il suo punto di arrivo.
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Il concerto è durato all’incirca un’ora e mezza e non ha lasciato scampo, la sua voce e presenza scenica è un mix particolare che include note di Pharrell, Anderson .Paak, Michael Jackson, così come gli amici e collaboratori Sango e Goldlink; il tutto mantenendo comunque un timbro personale. In conclusione veramente un bellissimo concerto, in cui si è respirata un’aria di festa costante e partecipe, in una location bellissima. Si sarebbe raggiunta l’apoteosi con un dj-set finale all’altezza della “barra” posta così in alto, purtroppo così non è stato (non ci si è neanche avvicinati). Ciò non scalfisce comunque un’esibizione che rimarrà a lungo con chi ha avuto la fortuna di prendervi parte e che si spera possa fare da apripista, visto il successo, ad altri mille di questi concerti.