Raccontando del suo primo incontro con Sun Ra, durante una audizione al Warren Smith’s Jazz Loft di New York, il leggendario sassofonista Knoel Scott disse, «era il 1979, c’eravamo io, Kenneth Williams e Henry Mitchell. Sun Ra si sarebbe esibito con noi, e prima di cominciare ci avvertì: “se cercate soldi, fama o fortune, non volete davvero lavorare con me. Questa è la band del Creatore e io lavoro per il Creatore. Il Creatore vi pagherà, ma se volete soldi, fama o fortune, questa allora non è la band per voi”.
Scott non era, evidentemente, alla ricerca né di soldi né di fama né di fortune se da quel giorno non ha mai più lasciato l’Arkestra diventando il braccio destro dell’attuale direttore del formidabile collettivo. Collettivo formato da Sun Ra negli anni ’50, subito dopo aver cambiato il suo nome legale in Le Sony’r Ra e aver cominciato il percorso che lo porterà ad affermarsi come una delle figure più influenti, carismatiche e controversi del free-jazz, capace di applicare alla musica i suoi studi di filosofia e teoria cosmica, e le decine e decine di libri letti e divorati. La stessa nascita della parole Arkestra è particolare. La racconta bene John Szwed nel suo libro “Space is The Place” – unica biografica in commercio di Sun Ra – utilizzando una sua stessa definizione: «Ra si può scrivere Ar o Ra, ed entrambi i limiti della parola formano un’equazione speculare: il primo e l’ultimo sono uguali. […] Questo è equilibrio fonetico. A metà c’è kest che equivale a kist, come in Sunkist, infatti all’inizio si scriveva Arkistra. Ho letto che in sanscrito kist significa “bagliore del sole”. Ecco perché chiamo “Arkestra” la mia orchestra. Inoltre, è così che i neri pronunciano la parola orchestra».
Con la morte di Sun Ra l’Arkestra è passata nelle mani di Marshall Allen, 93enne contralto di Louisville, che continua a dirigere i membri di quello che resta un collettivo variabile. L’esibizione della Sun Ra Arkestra è uno degli highlights della edizione 2017 del Jazz Mi. Per il concerto viene scelta la location intima della Santeria Social Club, uno spazio che non tarda a riempirsi di un pubblico – come spesso accade con la Arkestra – misto, anagraficamente parlando. L’Arkestra conosce bene il suo pubblico, che Danny Ray Thompson aveva descritto come un mix di “old folks” che li seguono da sempre, e ragazzini che non hanno idea di cosa stanno ascoltando fino a quando non lo ascoltano. E se ne innamorano.
Ancor prima dell’inizio della prima nota, l’impressione che si ha è quella che la Sun Ra Arkestra non stiamo portando in giro un concerto, ma piuttosto una esibizione, una esperienza. Due dei membri (tra cui si riconosce Thompson) dell’orchestra dialogano con tutti i presenti e vendono magliette e dischi di Sun Ra, in una strana crasi di sacro e profano che sembra un piccolo riassunto dell’esistenza stessa di Ra. Il primo brano a venire eseguito è “Interplanetary Music”, registrato da Sun Ra durante il suo periodo chicagoano, e cantato da tutta la band, tra cui spicca la voce decisa di Tara Middleton. Ci sono le pailettes, i colori accesi, i copricapi particolari, per usare un eufemismo. Ci sono, insomma, tutti quegli elementi, musicali e non, che hanno reso la Arkestra un fenomeno di costume.
Tutte le esibizioni sono molto fisiche, accompagnate da lunghi sguardi di intesa, contatti e spostamenti dei diversi membri. Knoel Scott aiuta il maestro Allen nella direzione, ma la capacità di fiato di Allen non sembra essere diminuita neanche con l’età. Per due volte, a metà del concerto, Dave Davis e altri due membri scendono tra il pubblico, improvvisando una processione musicale che è perfettamente in linea con quanto Allen aveva detto in una intervista a The Fact: «Questo è uno show. Devi ballare, devi cantare, devi essere un attore. Non puoi startene seduto come un musicista tradizionale. L’immaginazione è un tappeto magico – con esso puoi raggiungere terre lontane ma, come diceva Ra, per farlo, devi creare. Devi giocare con l’intuizione e la creatività e questo significa uscire fuori dalla regole». E con questa attitudine che Allen e la sua Arkestra costruiscono uno spettacolo mai banale, mai ripetitivo, mai noioso. Le imprecisioni rendono più terrena una esperienza altrimenti aliena, il free e cosmic jazz si alternano però a momenti di esecuzione impeccabile, lasciando ampio spazio agli assoli – così come Sun Ra aveva sempre voluto fare – che vengono chiamati in maniera quasi plateale. E poi quell’intrattenimento di cui parlava Allen, che sta tutto nelle capriole di Scott, nella sua maniera unica di tenere il pubblico in tensione.
Le circa due ore si concerto si concludono in maniera celestiale, quando Allen introduce l’EVI, un sintetizzatore a fiato che simula il clarinetto e il sassofono consegnandoli quel suono celestiale che ha caratterizzato la produzione artistica di Sun Ra. Gli ultimi pezzi suonati sono stralci da “Second Stop Jupiter” e “Next Stop Mars” e confluiscono in una chiusura ritualistica che coinvolge il pubblico confermando sia l’esistenza di uno spazio per fare jazz – la miglior notizia per Jazz Mi – sia che, dopo più di 50 anni di attività, Space is still the Place.