Sono passati ormai un po’ di mesi da quando 4:44, l’ultima fatica discografica di mister Shawn Corey Carter aka Jay – Z, ha visto la luce e questo venerdì appena passato Hov ha dato alla luce tre nuovi visual.
Un album uscito a sorpresa, senza campagna pubblicitaria di nessun tipo, tranne qualche indizio buttato qui e lì nei giorni precedenti il rilascio. Un album a lungo atteso, che ha sorpreso ed è stato accolto in modo trionfale, come si addice al più grande rapper di tutti i tempi.
Prima che cominciate a saltarmi alla giugulare no, non è una mia opinione, ma quella di Mtv nel lontano (lontano?!) 2006. Vi sento che ridete.
Insomma dopo aver vissuto gli ultimi anni all’ombra della magnifica consorte, averle concesso il suo spazio ed avendola supportata nella realizzazione di quel capolavoro pop che è “Lemonade”, il buon Jay ha deciso che era arrivato il suo turno, di raccontare la sua versione della storia.
Ciò che scriverò di seguito non vuole essere una recensione fuori tempo massimo, se vi interessa quel tipo di taglio ne troverete a decine sparse per il web.
No, 4:44 non può essere letto come un semplice “album”, come un prodotto discografico di un’artista da esaminare in modo tradizionale per diversi motivi.
Prima di tutto Jay-Z da tempo non corrisponde più al semplice grado di rapper, così come non corrisponde a quello di musicista, di businessman, o a quello di manager di atleti professionisti, o di presidente di etichette discografiche che decidono le regole del gioco, o ancora come marito di Beyoncé.
Jay-Z è tutto questo e anche altro (un fresco padre di due gemelli ad esempio), è un mix letale fra un ragazzo cresciuto in mezzo a difficoltà da cui pochissimi riescono ad emergere e tramite un percorso incredibile un uomo che siede sulla vetta del mondo. Ma questo lo sappiamo bene.
Quello che a volte si tralascia e che non si sottolinea è quanto lui stesso sia conscio di ciò, di quanto ne tenga conto in ogni minima mossa che fa in tutti gli ambiti in cui ha le mani in pasta.
Alla luce di questo ragionamento, sono tornato a sentire l’album in modo diverso, mettendo da parte l’aspetto musicale e concentrandomi solo sulle liriche.
Questo perché fin dal primo ascolto mi aveva accompagnato questa sensazione particolare, quasi di ruoli invertiti fra ascoltatore ed artista.
Sì insomma perché quando ascoltiamo un album in modo consapevole ed attivo, quello è solo l’ultimo passaggio di una serie di importanti decisioni ed azioni che abbiamo svolto: abbiamo scoperto che è stato rilasciato, abbiamo trovato lo streaming o il download del disco, gli abbiamo dedicato più ascolti attenti, parlandone con gli altri, facendolo scoprire a persone, consigliandolo o bocciandolo.
E ovviamente, di solito, un artista ci viene incontro in questo processo, cerca di rendere accessibile l’ascolto, fa una campagna pubblicitaria degna, ospitate in televisione o in radio, insomma le “solite cose” che accompagnano l’uscita di un nuovo prodotto discografico.
Jay-Z non ha fatto NULLA di tutto ciò, anzi, ha rilasciato il disco con un preavviso praticamente inesistente ma soprattutto, ufficialmente è tutt’ora possibile ascoltarlo su un’unica piattaforma la sua, Tidal.
Vista in questo modo la situazione tende a capovolgersi, e ci si potrebbe chiedere perché scegliere un percorso così tortuoso. Sarebbe facile rispondersi che abbia fatto il tutto in preda ad un delirio di onnipotenza, contando sul suo status di mostro sacro, ma Jay-Z non è arrivato dov’è prendendo decisioni autocelebrative o d’impulso, c’è una ragione più profonda.
Intanto per il discorso vendite che poteva essere penalizzato dalla ridotta disponibilità di ascolto/vendita si era già sistemato grazie ad un accordo con la compagnia telefonica Sprint che ha fatto sì che 4:44 diventasse platino dopo soli sei giorni.
Ma il vero motivo sembra essere un altro.
L’album racchiude quello che Jay dirà, quando avranno la facoltà di capirlo, ai suoi tre bambini, i consigli sull’amore, sulle relazioni, sui soldi e come gestirli, sulla vita e società in generale.
In un certo senso lo scambio di ruoli avviene perché Jay non ha interesse a vendere milioni di copie con questo lavoro, vuole insegnare una lezione, mettersi seduto e con calma spiegarci perché fare questo e perché fare quello, allo stesso tempo mettendo sul piatto in bella vista i suoi errori più grossolani, tipo il tradimento di Beyoncè, o questioni di tipo finanziario; anche perché quando si cerca di far evitare brutti errori a qualcuno, si finisce sempre che per prima cosa si prende piena coscienza dei propri, facendo mea culpa.
Ci sta concedendo di prender parte ad un discorso del tutto privato, di imparare.
Non è lui, come detto prima, che viene a cercarci, siamo noi che se ci teniamo andiamo a prenderci le sue perle di saggezza. Anche per questo durante tutto lo scorrere del disco la sua voce non ha praticamente mai alterazioni degne di nota, non si inasprisce, non si intristisce, mantiene un tono di voce neutro, quasi asettico, che incoraggia non l’ascolto ma la comprensione. Anche le produzioni non sono mai sopra le righe, alcune sono eccellenti, altre di meno, ma hanno comunque in comune una sobrietà generale.
“What’s up, Jay Z? You know you owe the truth
To all the youth that fell in love with Jay Z” — (Kill Jay-Z)
Insomma, realizzato tutto ciò mi sono messo alla ricerca di quali sono le cose più importanti che Jay vuole insegnarci, alcune sembrano scontate, altre lo sono di meno. Molte non sono in grado di capirle ora, perché vengono da un uomo fatto e finito di più di quarant’anni con tre bambini, ma possiamo custodirle gelosamente per quando serviranno. Di seguito ecco cosa ho estrapolato: