Il grande pubblico avrà conosciuto Lucariello per Nuje Vulimme ‘Na Speranza, il brano che sin dalla prima stagione chiude tutte le puntate di Gomorra, la serie tv italiana più acclamata di sempre.
Per fortuna, in tanti già conoscevano da tempo il rapper di Scampia. D’altronde, Luca Caiazzo ha cominciato a fare rap nei centri sociali e nei locali di Napoli a metà anni Novanta, quando non aveva nemmeno 20 anni. La sua militanza negli Almamegretta e le collaborazioni con i Co’Sang hanno fatto il resto.
A fine 2017 sì, pochissimo tempo fa – Lucariello è tornato con un nuovo album, emblematicamente intitolato Il Vangelo Secondo Lucariello, che contiene anche gli altri pezzi scritti per la nuova stagione di Gomorra.
Abbiamo intervistato il rapper partenopeo, partendo proprio dal titolo del disco.
Come mai hai pensato al riferimento evangelico per il titolo dell’album?
Perché nei concerti e nella musica di oggi c’è più spiritualità che nelle chiese.
L’unica opera di Banksy è a Napoli e tu hai deciso di utilizzarla come copertina. Come è nata questa scelta?
Amo la delicatezza e la forza di Banksy: nell’opera dedicata a Napoli c’è una pistola adorata da una Madonna. È un’immagine che racconta bene quello che ho scritto nel disco: la strada e la preghiera.
Possiamo dire che Il Vangelo secondo Lucariello segna la tua svolta trap?
Non sai quanto odio le etichette: usavo autotune, vocoder e 808 già nel 1999 quando feci l’EP Malafemmena. Per me esiste la musica e basta. In quella che chiamano trap sento degli elementi che sono vicini alla musica del Mediterraneo, le scale arabe che usano i maghrebini di Parigi non sono diverse da quelle napoletane. I PNL vengono a girare a Scampia, io potrei girare un video nelle banlieue. L’importante è l’emozione: mi sfonda il cuore ascoltare Mobb Deep oggi come 25 anni fa, ma mi stanno sul cazzo i puristi dell’hiphop. Mi sono stati sul cazzo da sempre.
Oltre a Ntò, nell’album hai collaborato con Fabri Fibra: com’è andata con lui?
Mi ha detto che attraverso le immagini di Gomorra ha capito veramente le cose che dicevo nei testi. Mi ha chiesto di fare uno skit per il suo penultimo album Squallor e io gli ho chiesto una strofa per Vittoria. È uno dei pochi in italia che stimo.
Nel disco appare anche Raiz, con il quale ai tempi di Sciuoglie ‘e cane vi eravate passati il testimone alla voce degli Almamegretta. Cosa ricordi di quella esperienza e com’è stato ritrovarvi insieme?
È stato traumatico, all’epoca ero un fan degli Alma e mi chiesero di fare un featuring con loro. Ero al settimo cielo, poi scoprii che Raiz aveva abbandonato la nave.
I primi live furono tragici, mi sentivo la controfigura indegna del leader di una band che amavo. Non mi sono arreso però: è stata un’esperienza incredibile calcare centinaia di palchi con un pubblico da conquistare ogni sera. Con Raiz all’inizio un po’ di malelingue ci mettevano l’uno contro l’altro, ma poi un giorno ci siamo incontrati ed è nata un’amicizia indelebile. Credo sia la voce più bella che abbiamo in Italia.
Il brano con Raiz è peraltro frutto di una collaborazione con i ragazzi del penitenziario minorile di Airola. Ci parli di questa esperienza?
Il testo è nato da un laboratorio durato 4 mesi sui “mestieri della musica”: non volevamo vendere facili illusioni da “star” ai ragazzi ma lavorare su dei mestieri concreti, come l’autore. Hanno vite interessanti e assurde, scrivono cose da un punto di vista diverso. Sono loro gli autori e riceveranno i proventi SIAE.
Con Nuje vulimme ‘na speranza prima e altri brani poi, sei parte attiva del successo straordinario di Gomorra: com’è stato lavorare a questa serie e cosa pensi delle accuse che riceve in merito a una supposta influenza negativa sui giovani napoletani?
Ho iniziato a raccontare con il rap Gomorra assai prima che Roberto Saviano scrivesse il libro. La serie è un prodotto di altissima qualità e sono fiero di farne parte. La questione delle influenze è tutta una cazzata di chi non sta arrivando a prendersi la responsabilità di aver abbandonato migliaia di ragazzi nelle mani della camorra senza seguirli, senza dargli un’educazione. Quando a 15 anni prendi in mano un kalashnikov e inizi a sparare non può essere colpa di una serie.
Di quali altre serie tv sei fan?
Narcos, Vikings, Breaking Bad, Game of Thrones.
Sei parte della scena rap praticamente da un ventennio: in che modo l’hai vista evolversi, a Napoli e in Italia?
Adesso è popolare, è più vicina al movimento mondiale. Prima era solo un’élite ad ascoltare il rap, adesso si ascolta nelle case popolari dove siamo cresciuti: un sogno che si avvera.
Ci sono nuovi rapper che apprezzi particolarmente? Cosa ne pensi della nuova ondata trap? E del fenomeno Liberato?
Mi piace Capo Plaza, i Moderup, ma anche il sound della Dark Polo Gang, che hanno sfondato dei limiti esprimendo il degrado di una generazione. Dal mio punto di vista sono punk che vestono Gucci. Osservo, mi incuriosiscono molti, purtroppo sembrano tutti uguali. Liberato mi piace molto, usa la lingua napoletana che per troppo tempo dall’Italia stupida del Nord era considerata come un dialetto sfigato. Quando Napoli si muove bene diventa un fenomeno mondiale. Considera che Nuje vulimme ‘na speranza è il pezzo rap italiano più ascoltato nel mondo: basta leggere i commenti del video. Tornando a Liberato, credo sia geniale il fatto di togliere dove tutti mettono. Dove tutti vogliono farsi vedere, nascondersi è vincente. Ho pensato spesso di creare un progetto sotto mentite spoglie, ma poi alla fine non ho mai avuto il coraggio di farlo… forse in futuro lo farò.
Nell’album c’è un brano intitolato Lasse Tutte Cose: hai mai pensato di smettere con la musica?
Ogni giorno. Ma da 20 anni non mi sono ancora arreso.