Lucio Dalla, Com’è profondo il mare
Mio padre era un dottore.
Era molto impegnato durante la settimana e la domenica era il giorno sacro che io mia sorella e mia madre attendevamo con ansia perché finalmente spolverava la sua Peugeot 405 (una modesta berlina degli anni ’90) per portarci in giro.
L’autoradio era naturalmente a cassette e ricordo nitidamente la grafia con cui mio padre annotava la tracklist delle compilation di cantautori italiani che amava fare.
C’è una canzone nello specifico che ogni volta che ascolto mi riporta sui sedili posteriori di quella Peugeot.
È domenica, tarda sera, si rincasa, fuori c’è il diluvio universale e sento partire un fischio malinconico accompagnato da una chitarra acustica, finché una voce intona: “Siamo noi, siamo in tanti, ci nascondiamo di notte…”
Avrò avuto otto anni più o meno, e diciamo che non era un testo facile, eppure sentivo già il peso e l’angoscia del brano, complice anche l’incedere apocalittico della metrica. Per la prima volta percepivo che il mondo lì fuori, in quella giornata di pioggia, non era così sicuro e confortevole come il tepore dell’automobile-sottomarino guidata dal mio papà che ci riportava a casa mentre ci abbandonavamo al sonno.
È grazie a lui se oggi so com’è profondo il mare.
Alfredo di Yombe