The Comfort Zone è il disco d’esordio di Makai che uscirà nelle prossime settimane per INRI / Metatron e anticipato già dai singoli Clara e Lazy Days.
Di lui ti avevamo accennato ai tempi suo primo EP Hands, per ritrovarlo poi qualche settimana fa per parlare dei suoi ascolti fondamentali.
Perciò, ora che siamo in confidenza, ci ha regalato il terzo assaggio dal suo nuovo album. Si intitola Fire Fall ed è secondo noi il manifesto più esplicito della scrittura raffinata che attraversa tutto il disco.
Lo ascolti in anteprima qui sotto e poi scopri di più su MAKAI in una manciata di domande.
Il tuo primo EP, Hands, usciva due anni fa. Cosa è cambiato nel frattempo?
Ho suonato tanto e lavorato alla produzione di molti dischi, mi sono dedicato parecchio al lavoro per altri, dalle produzioni agli spot pubblicitari.
Dopo circa un anno dall’uscita di “Hands” ho dimenticato la vita per qualche mese e ho terminato “The Comfort Zone” a casa, la stessa casa che mi ha accompagnato negli ultimi 5 anni e che ho
deciso di lasciare dopo questo disco.
Il tuo album di debutto s’intitola The Comfort Zone. Ma la comfort zone di cui parli è quella degli altri. Perché?
Più che altro racconto il mio tentativo di uscire dalla comfort zone, e anche se inevitabilmente si potrebbe dedurre che gli altri ci
restino, no, non sono così presuntuoso nel parlare della comfort zone degli altri.
La mia è un’analisi sulla trasformazione delle cose, sullo spingersi oltre, è un invito alla ricerca, alla sperimentazione, alla curiosità.
E il tutto è raccontato con molta nostalgia.
Penso a “Lazy Days” il singolo uscito qualche giorno fa: ha un testo tristissimo ma è cantato in maniera delicata, quasi
contraddittoria rispetto alle parole, e termina con un’atmosfera estremamente festosa.
Credo che tutto il disco sia un inno alla trasformazione.
Veniamo alla traccia Fire Fall, mixata da Andrea Suriani. Da dove viene fuori? Ci sono degli ascolti particolari che ti hanno ispirato nella scrittura di questa traccia, come del resto dell’album?
Non utilizzo spesso strumenti convenzionali nei miei brani, o meglio non solo.
E’ la prima volta che utilizzo il pianoforte in una traccia e il brano è nato proprio dal giro di ritornello finale di piano.
Sul finire del 2016 un disco che mi ha colpito molto è stato “The party” di Andy Shauf, (di questo ne avevamo già parlato qui) e probabilmente mi ha influenzato nell’utilizzo del pianoforte, ossessivo ed estremamente semplice.
Gli elementi percussivi sono creati da incastri di moltissimi suoni, ci sono anche dei sample vocali registrati con il mio iphone, così come dei campionamenti da Raga indiani.
Andrea Suriani ha letto il brano in una vena più pop, ha spostato il fuoco sulla voce, credo che lui sia incredibilmente efficace nel rendere tutto estremamente leggibile.
Potrei parlare di cosa ha ispirato un suono ma non riuscirei mai a riassumere gli ascolti che mi hanno influenzato, preferisco approcciarmi alla scrittura in maniera sinestetica, con lo sguardo rivolto all’immagine, esattamente come si fa nel cinema. Mi lascio guidare dalla sensazione che mi provoca una sequenza di accordi piuttosto che un suono.
Ho ragionato così per tutto il disco.
Al testo invece ho lavorato con Orson, un cantautore che stimo moltissimo oltre che un caro amico.
Hands ti ha portato al Sziget Festival. Dove ti aspetti che ti porterà The Comfort Zone?
Mi piacerebbe suonare tantissimo, che sia in un luogo enorme piuttosto che un club da 50 persone.
Mi interessa entrare in connessione con chiunque mi permetta di farlo, con qualsiasi essere umano decida di lasciarmi entrare nel suo immaginario.
Sarei felice anche di scrivere per il cinema, molto.