Chi scrive ha sempre visto Jon Hopkins come il naturale erede – fatti i dovuti distinguo stilistici, sempre che sia necessario precisarlo – di quella scuola elettronica britannica che grazie a nomi quali Underworld, Chemical Brothers o Leftfield ha permesso, in un preciso momento storico, all’underground di emergere alla luce del sole e raggiungere un vasto pubblico. Anche in questo caso gli elementi per la riuscita di questo salto di qualità ci sono tutti, come pure l’aderenza con le più interessanti e moderne contaminazioni tra elettronica, musica classica, colonne sonore ed ingegnoso ed ultra moderno sound design mentre una consumata sensibilità melodica fa il resto. Questo suo “Singularity” parte dove il precedente “Immunity”, uscito la bellezza di cinque anni fa, si era concluso e non presenta grandi sorprese. Le qualità dell’inglese si ripresentano comunque completamente intatte in queste dinamicissime tracce in cui abbaglianti luci e misteriose ombre si inseguono, tutte piene di musicalità e pathos, dai massicci beats di Singularity, Emerald Rush, Neon Pattern Drum e Everything Connected alla filigrana sonora di C O S M e Recovery o alla fragilità della pianistica Echo Dissolve.