Sono tornato una decina di giorni fa dall’ultima edizione del Primavera Sound di Barcellona e in questi giorni non ho fatto altro che pensare a cosa mi è rimasto addosso e in testa di quel grande lunapark musicale che ogni anno anima il Parc del Fòrum.
Negli occhi, l’immagine della scritta mobile luminosa che riporta il nome del festival, ingresso trionfale il primo giorno e malinconica uscita di scena ogni sabato alle prime luci dell’alba, sperando di rivedersi l’anno successivo.
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Ero già stato al Primavera Sound per tre anni di fila, dal 2014 al 2016, e oggi, alla luce di quanto visto pochi giorni fa, mi chiedo perché abbia colpevolmente balzato l’edizione dell’anno scorso.
In fondo il Primavera è così: una volta che ne respiri l’atmosfera, poi non puoi più farne a meno.
Ogni anno ci si divide sulla line-up, ci si lamenta di questa o quella assenza salvo poi ritrovarsi a invocare il dono dell’ubiquità, a scoprire tanta nuova musica e a guardare quella band che aspettavi di vedere da secoli: sono questi i momenti che ti fanno innamorare del Primavera Sound. Anche quest’anno, nonostante l’ennesimo headliner saltato all’ultimo minuto (maledetti Migos), il Primavera ci ha conquistati.
Ci rivediamo l’anno prossimo!
Eterni
La mia top 3 è composta da nomi storici ma, miei cari, non si può essere giovanilisti per forza quando ti trovi dinanzi agli Spiritualized, a Nick Cave e agli Slowdive.
Il concerto degli Spiritualized con coro e orchestra all’Auditori Rockdelux è stato il primo che ho visto di questa edizione e di certo il migliore. Avrei potuto anche tornarmene a casa subito dopo. Uno spettacolo di pura magnificenza che ha ricompensato la fila sotto il sole più torrido per accaparrarsi il biglietto fatidico e farsi ammaliare da Jason Pierce.
Cosa dire poi dell’ennesimo incredibile show di Nick Cave, sempre più messianico, sempre più legato in modo viscerale ai suoi fan: bramati, benedetti, ricercati con slancio e infine accolti sul palco. Tra una Loverman riproposta dopo quasi 20 anni di assenza e i classici recenti di Push The Sky Away, il rituale dell’artista australiano e dei suoi Bad Seeds va visto almeno una volta nella vita (ma non replicare è un peccato mortale).
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Gli Slowdive, infine, hanno espresso il miglior sound del Primavera e hanno dimostrato che la loro reunion è stata una delle più azzeccate, attuali e necessarie di sempre. Mettete la title-track del loro album dell’anno scorso accanto ai classici di inizio anni Novanta: non noterete differenze qualitative. Dal vivo, poi, questo concetto è ulteriormente amplificato, e quando dico “amplificato” intendo proprio reverberi, echi ed effetti stupefacenti.
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Le conferme
Ogni volta che vedo live i Beach House li trovo migliori, e anche con i nuovi brani di 7 Victoria e soci non si sono smentiti. Il miglior concerto per le ore notturne, lo show perfetto per uscire a riveder le stelle.
Non importa quale disco presenti e con qualche formazione si esibisca: Ty Segall è un animale. Punto.
I Grizzly Bear sono una delle miglior band degli ultimi quindici anni e, nonostante un concerto un po’ sottotono nella parte iniziale, mi hanno ricordato del perché Painted Ruins è stato uno dei dischi che più ho ascoltato nel 2017.
Rispetto ai dischi, anche il live dei War On Drugs mantiene le promesse e regala emozioni. La nuova Americana passa per la voce e la chitarra di Adam Granduciel (che vince anche il premio per il più bel cognome del Primavera).
Le sorprese
Sotto la top 3 di cui sopra, per me ci sono gli IDLES. Post-punk fiammante, un’onda d’urto incredibile per uno show energico e rigenerante, dove sono i chitarristi a fare stage-diving. Se vi capita, non perdeteli. Le chitarre sono vive e lottano insieme a noi.
Rispetto alla reunion quasi classic-rock di pochi anni fa, i Ride sembrano aver privilegiato il lato shoegaze della loro musica, con la gioia del sottoscritto e degli avventori del nuovo Hidden Stage. Spiace aver perso Thundercat, Ibeyi e Jorja Smith in contemporanea, ma l’unica linea di basso di cui avevo bisogno in quel momento era quella di Leave Them All Behind.
Se gli Shellac sono onnipresenti nelle line-up del Primavera Sound, i Deerhunter sono poco sotto per record di presenze. Mai come quest’anno però la band di Bradford Cox è apparsa così in forma: sound pazzesco. Pensavo di guardarne solo pochi minuti prima di andare a vedere ABRA e Jon Hopkins: non me ne sono mai andato.
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Le scoperte
Al Primavera Sound è sempre bello affidarsi al caso per alcune scelte di time-table o lasciarsi rapire da qualche esibizione mentre si è di passaggio tra un palco e l’altro.
Quest’anno mi sono fatto conquistare dai ritmi maliani di Oumou Sangaré e dal jazz scomposto dei brasiliani Metá Metá, o ancora dal groove irresistibile di Tom Misch.
Che meraviglia tornare a casa con una lunghissima lista di nuovi artisti di cui approfondire la conoscenza.
Giovani rampanti
Yellow Days non è solo la fusione ideale tra King Krule e Mac DeMarco, ma ha talento da vendere e mi aspetto di rivederlo su uno dei palchi più grandi nelle prossime edizioni.
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Nick Hakim è il presente e il futuro del nuovo soul, e anche dal vivo sa difendersi egregiamente.
Nonostante alcuni passaggi un po’ posticci, lo show di SEVDALIZA è audace e promette bene. Con un po’ di naturalezza in più, potrebbe diventare davvero grande.
Non ho ancora capito invece se i Superorganism siano bravissimi o fastidiosissimi, ma data la giovane età perdoniamo la logorrea a Orono Noguchi e do ragione a quella parte del mio cervello che continua a canticchiare da giorni Everybody Wants To Be Famous.
Ni
Alcuni palchi continuano a mostrare qualche problema di resa sonora (Pitchfork, Primavera with Apple Music, Seat e Mango in certi momenti), mentre il Ray-Ban continua a vincere la palma di miglior palco del festival.
I Dead Cross di Mike Patton e Dave Lombardo meritavano adorazione a prescindere, ma hanno patito dei suoni parecchio squilibrati. Ciononostante, hanno accennato Raining Blood degli Slayer e tanto mi basta per essere felice e riverente.
La sfiga che ha colpito Ariel Pink la domenica all’Apolo è stata sovrannaturale: set di 45 minuti interrotto 6 volte per problemi di impianto.
I Belle & Sebastian sono sempre più innocui e forse non è un bene.
Migos. Migos. Migos.
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L’altro festival
Avrei potuto scegliere Arctic Monkeys, Tyler The Creator, ASAP Rocky, Father John Misty, ho volutamente ignorato Björk (not my cup of tea, per dirla con gli inglesi), mi mangio le mani per Fever Ray sovrapposta a Nick Cave., avrei voluto fare overdose di francese con Jane Birkin e Charlotte Gainsbourg.
Il Primavera Sound è come la vita: tocca fare delle scelte. A differenza della vita, però, caschi quasi sempre bene.
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P.S.: anche quest’anno non ho visto gli Shellac e non sono stato a Park Güell.