Quattro anni fa l’indie era l’indie e il rap era il rap.
Comparti stagni collegati da ponti tibetani fatti di featuring ancora un po’ sperimentali e criticati spesso da entrambi le parti. Ma i tempi corrono e le cose cambiano.
A quel tempo Frah non era solo Frah, bensì Fratelli Quintale, che già spaccavano, anche senza riempire il Magnolia. La fotta non passa da un giorno all’altro e così oggi, a distanza di quasi un lustro, quel ragazzo di Brescia sta facendo il giro dell’Italia con il mano il mic, solo che ci canta dentro al posto di sputarci le barre.
Abbiamo intervistato Frah Quintale in occasione dell’uscita dell’edizione speciale in vinile di “Regardez Moi”.
Ciao Frah, ti ascolto dai tape con Merio e dal pezzo in “Rock the Block” [“Avrai la tua parte” per chi non la conoscesse, ndr]. Quando avete preso strade diverse, la cosa mi ha un po’ destabilizzato. Ma oggi sono qui a intervistarti, perché qualcosa è cambiato e forse anche in meglio. Mi sai dire tu cosa?
Forse proprio il modo di fare musica. Non è più la gara di “chi c’ha il cazzo più lungo”, ma più lo sfizio, la volontà di dire: facciamo della roba figa! Il fatto è che c’è meno competizione dell’ambiente rap e che io stesso sono passato dall’idea di fare una strofa / una traccia al concetto di progetto vero e proprio.
Sarà per il fatto che sei di Brescia (ed io il nemico bergamasco) [ride, ndr], ma posso dire che la tua musica non solo parla, ma fa parlare quelle città che come la tua e la mia hanno avuto sempre comunque meno spazio rispetto alle metropoli in termini di opportunità, tanto più in generi quali rap e R&B. Confermi?
Guarda, sono super felice che questo discorso sulla provincia venga fuori. In fin dei conti Brescia, come Bergamo, è una città che ha un po’ più di realness rispetto ad altre più grandi. Ne parlavo proprio ieri: essere di Brescia e andare a Milano a suonare, all’inizio viene già considerato come traguardo, mentre ovviamente chi è di Milano lo dà quasi per scontato. Ciò che caratterizza la provincia è proprio questo, la voglia di rivalsa, il fatto di “spingere come un disperato” per farcela. E poi quando ci si arriva, si apprezza anche di più dove ci si trova. Fare così tante persone a Milano per me ha proprio questo valore aggiunto: quando andavo a cantare le prime volte mi sentivo quasi uno sfigato, super provinciale, perché tutti erano più ferrati nell’ambiente e io ho dovuto dimostrare che la roba nostra valeva. Aver avuto 5000 persone davanti al MiAmi è stata una vittoria proprio per il fatto di aver fatto un percorso e di aver avuto la conferma finale che sì, alla fine ne è valsa pena.
A proposito, ogni volta che esce il tuo nome in un discorso, non ti si riesce ad affibbiare nessun genere, un po’ come fu e vale ancora per Coez… Come vivi il fatto che la vostra musica, il vostro percorso (un passato rap per un futuro più pop e R&B) sia in qualche modo parallelo, dallo stile all’etichetta? Può essere peso o stimolo…
Silvano è stato uno dei primi a farmi capire che l’attitudine rap poteva rimanere anche facendo un qualcosa di diverso e comunque più aperto e soprattutto per me è stato come un fratello maggiore, mi ha insegnato tanto ed io gli devo tantissimo. In un periodo dove “o rappavi o ti vendevi” lui è stato uno dei primi a trovare quella via di mezzo che consiste nel creare un prodotto potenzialmente radiofonico, ma comunque fatto bene, bello. Se prima andare nelle major significava sottostare a dei diktat, noi siamo riusciti a ritagliarci uno spazio indipendente non solo musicalmente, ma anche di pensiero.
A prescindere da chi ti possa assomigliare musicalmente parlando, è indiscutibile il fatto che tu ti stia costruendo un universo tutto tuo, fatto di pupazzi macrocefali e sofferenze amorose. Per semplificare facciamo un gioco: dimmi un luogo, una canzone (non tua) e una persona che rappresenti te e la tua musica adesso.
Il luogo adesso è Barcellona, che raggiungo tra una settimana. È stato davvero importante per me, perché io ho quel mood lì, un po’ summer, fatto di birrette per strada… Di canzone invece non ce n’è una in verità, in sto periodo mi sto gasando per della musica africana di cui non so neanche il nome dei pezzi, ma senza dubbio l’ultimo progetto che mi ha preso è stato “Kids see ghosts” di Kanye e Cudi. Per la persona non saprei… ti dico… me? [Ride, ndr] Chi meglio di me può rappresentare la mia musica in questo momento?
Su Spotify tra l’altro hai creato un progetto (si può chiamare così) molto figo: sfruttando la dote delle playlist di poter essere aggiornate e man mano modificate, ne hai creata una (Lungolinea.) che stai riempiendo con canzoni, provini, strumentali e vocali whatsapp (un po’ come negli album 2.0 del tipo “Because the internet”, “Channel Orange” o “MTV1987”). È più simile a un diario che a un libro. Da dove viene l’idea? E soprattutto avrà un proseguo o è un percorso conclusosi con l’uscita del nuovo vinile di “Regaredez Moi”?
L’idea di fare degli album che sono più che altro dei concept è abbastanza casuale o meglio naturale per la verità. Ai tempi dei Fratelli Quintale o più in generale in qualsiasi gruppo i sentimenti escono a metà, perché ognuno vuole un determinato spazio. Fare musica da solo è molto più personale e quando mi sono trovato davanti a un foglio è divenuto più facile raccontare i cambiamenti che stavo vivendo, non perché la ritenessi la cosa migliore, ma quasi per sfogo. A me piacerebbe continuare Lungolinea, magari a cadenza, facendo dei “parte 2”, “parte 3”. Sono sempre stato infottato con i bootleg e i tape, ma per adesso abbiamo chiuso il progetto con l’uscita del vinile, in cui abbiamo anche messo pezzi che non erano mai finiti su CD, come “Colpa del vino”.
Dietro un Frah Quintale c’è praticamente sempre un Ceri, o sbaglio? Che tu abbia trovato la persona giusta con cui collaborare non penso ci sia neanche bisogno di chiederlo, ma c’è la possibilità di vedere i vostri nomi legati indissolubilmente come è stato per JM & Big Joe? Chi è Ceri per te? C’è un altro produttore nel panorama italiano con cui avresti piacere a lavorare in questo periodo?
Con Ceri si è creata una sorta di magia. Ci sta che siamo legati, ma ad entrambi piace variare. È figo il fatto che lavoriamo assieme, ma senza che diventi un qualcosa di indissolubile. Per me lui è un mezzo fenomeno, sa farti capire in che direzione sta andando un brano e ha la forza di aggiungere quei particolari che te lo ribaltano. Abbiamo lavorato davvero tanto assieme ed ora il feeling è molto più facile da trovare. Certi pezzi sono partiti da me, che sinceramente non sono un pro con Logic, etc, e lui li ha arrangiati, altri sono proprio nati da lui, ma dove ha messo le mani sono sempre nate hit. Tra gli altri produttori vorrei suonare con Giorgio Poi e c’è già in ballo qualcosa, perché fare delle produzioni noi due a quattro mani e tirarci dentro anche un Ceri sarebbe molto figo. Ora che c’è la possibilità di collaborare con nomi così interessanti vorrei fare pezzi più con un’attitudine stile Tyler, che piazza il coro di X, la chitarra di Y, perché sto notando che collaborare con diversa gente può essere di stimolo.
Sei stato scelto dal Carl per uno dei singoli di punta del suo album e contemporaneamente hai scritto un potenziale tormentone estivo proprio con Giorgio Poi. Hai pubblicato un primo pezzo (“Stupefacente”) che sembra presagire un nuovo disco. Sei in giro per l’Italia da mesi. Oltre al fatto che ne avrai alzati un bel po’, quando intendi fermarti? Hai già in mente qualche pezzo del disco nuovo / hai già il disco nuovo?
No, in verità non ho il disco nuovo. Ho fatto un paio di brani che abbiamo deciso di mettere in Lungolinea., ma dal momento che siamo in tour da novembre non ho molto tempo per stare in studio. Quando avremo finito credo che mi prenderò una pausa, anche di scrittura, per godermi il momento, per poi a settembre ripartire e vedere un po’ cosa succede. È stancante, ma chi cazzo si lamenta? Per fare quello che sto facendo ho sofferto, ho sputato sangue, ho vissuto momenti non troppo felici e quando ho cominciato a vedere un po’ di luce in fondo al tunnel ho capito di che figata si trattasse. Tra dieci anni voglio pensare al 2018 come una grande annata.
C’è una scena rap che va davvero tanto in questi mesi, quella che Spotify ha deciso di chiamare Graffiti Pop, e tra questi ovviamente ci sei anche tu, che come dimostra il pezzo con Cock Dini non ti sei mai veramente stufato dell’hip hop. Ad esempio. Willie Peyote e Dutch Nazari sono due artisti che sembrano essere sulla tua stessa linea di pensiero e di concezione della musica, anche se la loro è completamente diversa dalla tua. Perché vi siete trovati?
Eh ma Graffiti Pop l’ho inventato io, vecchio! Una sera ero con Tommaso Naccari di Vice e parlavamo del fatto che facessi Ghetto, anzi Street Pop. Poco dopo Spotify se ne era uscita con questa playlist e nella descrizione c’era scritto “un omaggio allo Street Pop” o qualcosa del genere… In quel momento mi sono dato una pacca sulla spalla [ride, ndr]. Comunque, con Dutch ci conosciamo dai tempi delle battle e Willie l’ho conosciuto tramite Dutch. Ci siamo trovati, perché condividiamo un punto di vista simile e lo stesso concetto di Graffiti Pop lo abbiamo costruito assieme.
L’ultima news che hai rilasciato è che aprirai il concerto di Calcutta allo stadio di Latina. Quando ho letto ho subito pensato al concerto a Milano dei Cani aperto proprio da Calcutta, che da lì a pochi mesi è spopolato in maniera dirompente. Sorvolando il fatto che già hai ottenuto un notevole livello di successo, quale è il tuo concerto da sogno e a chi lo faresti aprire?
Mah credo che lo farei in un tempio sacro come il Madison Square Garden, magari con Pharrell in apertura. Sinceramente non mi è mai interessato troppo l’aspetto del dove… anche se un concertino al Coachella me lo prenderei volentieri. Sarebbe un po’ per me il modo per dire: guardate che cazzo ho fatto!
Per finire vorrei farti una domanda personale, che in quanto la tua musica molto intima un po’ mi sento giustificato a porti, forse a torto. Nei tuoi pezzi più recenti parli di una ragazza, anzi, più che altro sembra che occupi prepotentemente il palcoscenico della tua vita. Lungolinea. avrà un lieto fine o una drammatica conclusione?
Ahiaaaa! [ride, ndr] I miei pezzi parlano di lei come di altre relazioni che ho vissuto. L’ultimo pezzo di Lungolinea. ha un risvolto negativo, perché descrive la mia situazione più recente, in cui ho avuto una rottura, ma con un’altra ragazza. Ma va bene così in fondo…