Ci sono almeno due cose che mi restano dei video di Francesco Lettieri: una è il sapore della città (qualsiasi essa sia), che ora si accompagna a un sentimento di ironia, ora alla nostalgia, ora alla decadenza, ora al riscatto.
L’altra invece è lo stile, ormai inconfondibile. E non parlo solo della color del Lettieri, della poetica della strada, dello sguardo basso che guarda città come Napoli (nei video di LIBERATO) o Roma (in quelli dei TheGiornalisti, Calcutta o Carl Brave x Franco126).
Parlo specialmente dell’estetica vintage, delle scelte di styling sempre appropriate che ti descrivono una storia o un luogo a partire dal suo costume, senza mai sfociare nell’eccesso. Anzi, è uno stile capace di raccontare lo street e il colore locale, amalgamandoli alle ispirazioni provenienti dai nomi internazionali.
La ricerca, la selezione dei costumi, lo styling dei video di Lettieri è a cura di Antonella Mignogna che ho incontrato in una Napoli assolatissima qualche giorno fa per fare quattro chiacchiere sul suo lavoro, i progetti, il suo dopo-LIBERATO.
Quella con Francesco Lettieri è ormai coppia fissa e super fortunata. Ci racconti com’è nato il vostro sodalizio e soprattutto com’è lavorare con lui? Ci immaginiamo un regista molto presente anche in materia di stile.
Io e Francesco eravamo amici da molto prima che iniziasse la nostra collaborazione lavorativa. Credo di poter affermare che ho visto nascere la sua “vocazione” alla regia. Quando mi confidò di voler fare il regista, avevamo appena finito il liceo ed io ero solo una ragazza con la passione per la “moda”. All’epoca non avevo ancora idea che su questa passione avrei costruito un lavoro, ma Francesco, che conosceva la mia passione, mi chiese aiuto per girare il suo primo cortometraggio “Sgrall”, (ormai praticamente introvabile) in cui io, oltre a procurargli vestiti e accessori, interpretai anche una piccola parte (devo dire quale??? e vabbè… quella della “vrenzola”).
In seguito le nostre strade si sono un po’ divise perché lui si è trasferito a Roma per frequentare il Dams, mentre io sono rimasta a Napoli a studiare comunicazione e a fare la mia gavetta come stylist. Ovviamente siamo rimasti amici e abbiamo continuato a vederci e quando ha iniziato a fare i primi videoclip un po’ più “importanti”, abbiamo cominciato a lavorare assieme.
Si è creato un gruppo molto coeso, anche con il direttore della fotografia Gianluca Palma, e siamo cresciuti, lavorativamente parlando, influenzandoci a vicenda e creando una vera e propria “estetica” che ci appartiene.
La mia visione dello styling si è incastrata con il loro mondo cinematografico (anche con la scenografa Marcella Mosca), tanto che ormai viaggiamo all’unisono, siamo sulla stessa lunghezza d’onda, senza bisogno di troppe parole.
Quello che posso dirti rispetto al lavorare con lui è che nulla è lasciato al caso.
Ogni video è preceduto da un’accurata preparazione: dai sopralluoghi sfiancanti per intere città, alla scelta degli attori. Per Gaiola (Portafortuna, ndr), ad esempio, io e Francesco abbiamo trascorso tante serate di agosto a girare per i bar di Porta Capuana per conoscere la gente della Comunità latino americana napoletana, per Me staje appennenn’ amò abbiamo passato un Natale LGBT.
L’impostazione è davvero real, street, amiamo definirlo un approccio “punk” e Francesco, che è una persona molto aperta ma anche molto presente, non delega nulla, pur lasciandoci una grandissima autonomia.
foto di Glauco Canalis
Che si tratti di LIBERATO, o di Calcutta o Giorgio Poi, l’immaginario a cui sembrano riferirsi le tue scelte di styling hanno quasi sempre un sapore vintage e, oserei dire, decadente (di una decadenza attraente, sia chiaro). Volevo chiederti se c’ho preso giusto e quali sono le tue ispirazioni, da dove nasce la tua ricerca.
Sì, ci hai preso giusto. Fondamentalmente nelle mie scelte c’è sempre il desiderio di non dimenticare, di raccontare, attraverso abiti e accessori, nuove storie reinterpretando ciò che ha caratterizzato un’epoca. Adoro girare per i miei fornitori di vintage e mixare i look con i pezzi dei brand più in trend.
Come ti dicevo prima, c’è un mood generale e io collaboro sia con il direttore della fotografia, Gianluca, che con Francesco per decidere l’impatto d’immagine e capire cosa del costume può caratterizzare al meglio il personaggio. Diciamo che più che decadenza, la definirei un’estetica realista che ci accomuna. Ovviamente, lavorando con loro, ho dovuto smussare alcune mie tendenze un po’ estreme che venivano dal fashion per trovare un’unità estetica in grado di mediare la realtà. L’intento è quello di riproporre l’estetica vintage dell’Italia che fu, rendendola attuale ed internazionale, caratterizzandola, per distinguerla sia da quella della massa che della sottocultura. Le nostre ispirazioni sono comunque internazionali: l’anno scorso ad esempio, guardavamo video di Major Lazer, The Blaze, Princess Nokia, Kali Uchis.
A questo proposito ti racconto di una mega discussione che abbiamo avuto proprio sul video di Gaiola. Io venivo da Cuba, innamorata persa dei luoghi e della gente, del loro stile (tant’è che volevamo girare il video lì). Ho fatto una super ricerca sulla roba ambiente cholo, mondo trap queen spagnolo trash, mentre loro volevano una roba “povera”. E’ finita che abbiamo cercato Cuba a Napoli. Al di là delle divergenze, il risultato è stato un buon compromesso tra le due visioni ed è per questo che secondo me è stato uno dei lavori meglio riusciti a livello estetico.
Qual è il lavoro di cui sei più soddisfatta e quello in cui ti sei più divertita?
Il lavoro dell’ultimo periodo di cui sono più soddisfatta è quello di Noyz Narcos (Sinnò me moro, ndr). C’è stato un bel lavoro di ricerca sul grottesco e sui quei personaggi alla “Brutti, sporchi e cattivi” e anche lì ho usato abiti vintage molto particolari. Inoltre il bianco e nero, le grane, hanno reso benissimo i diversi tessuti e, insieme, i personaggi. Quello che più mi ha divertito degli ultimi anni è stato Gaiola: un video totalmente folle. Altro video super punk, come tutti i nostri lavori del resto, è stato Tu t’e scurdat’ ‘e me che ha visto macchine e case distrutte ma ci ha anche fatto divertire parecchio.
C’è chiaramente una differenza tra il progetto LIBERATO e gli altri lavori che ti vedono coinvolta. Nel primo si intravede il brand, un concept preciso, una serie di temi che appartengono alla tua città: Napoli. Il che potrebbe facilitarti il lavoro: guardare semplicemente la strada e riprodurne lo stile.
C’è stata una forte responsabilità, a dir la verità, per il progetto LIBERATO. Anche Edoardo (Calcutta, ndr) ha un’estetica ben definita e ha un legame con la provincia e con quell’Italia un po’ retrò ma con LIBERATO è diverso: Napoli è la fonte principale, l’occhio del progetto. C’è tanta ricerca, tanto calarsi, tanto guardare, tanto carpire e poi trasformare, internazionalizzare.
Alla base del progetto c’è questa visione: mostrare la realtà che ci circonda attraverso gli occhi di chi magari va all’estero, torna qui e vede tanto di quello che c’è fuori anche in Napoli.
C’è una forte voglia di riportare alla ribalta questa città senza falsarla, ma cercando di buttar fuori quello che noi per primi abbiamo vissuto: la cultura, la sottocultura, il talento di tantissime persone. Noi ci crediamo fortemente.
Rappresentarlo esteticamente è una grande responsabilità, perché cedere alla “estremizzazione” è molto facile, perché di Napoli non si conosce sempre la verità, sopratutto rispetto a come è rappresentata ultimamente in maniera massiva.
In questa città l’estremo convive con il dozzinale, ad esempio, se vai nei Quartieri, ti ritrovi gente in total look con una nonchalance da super star, total denim, cipria, e la cosa più difficile è proprio riuscire a rappresentare la mediazione tra il super trash e normalità.
foto di Glauco Canalis
Se dovessi definire Napoli con un capo d’abbigliamento.
Impossibile. C’è troppo di tutto. Veramente tanto: esistono colori e forme che non si trovano in altre città. Per me è davvero una fonte di ispirazione continua: Napoli ha un senso dello stile quasi superiore a tutte le altre città d’Italia. Dillo! (ride, ndr). Ma se proprio vuoi estorcermi una risposta, a primo impatto ti direi un giubbino di jeans, denim chiaro, anni ‘90. Non lo so perché…
C’è un artista di cui ti piacerebbe curare lo styling?
Mi sono molto divertita a vestire “Lo Stato Sociale” a Sanremo. E’ stata un’esperienza fantastica, e mi piacerebbe ripeterla con altri artisti, ma la mia fissa del momento sono le trap queen spagnole. Le amo, le amo! Ora che siamo stati al Sonar ho avuto modo di conoscere come artista Rosalia e dietro di lei c’è un lavoro stupendo di costumi.
Ecco: quella, ad esempio, sarebbe una sfida bellissima. Un progetto con quell’impronta, con quel giusto mix tra tradizione e nuova estetica, è, secondo me, anche molto similare al nostro. Collaborare a progetti del genere, anche fuori dall’Italia, mi renderebbe felice.
E comunque al più presto vorrei lavorare con un’artista donna.
foto di Glauco Canalis
Descrivici il tuo dopo-LIBERATO. Cosa è cambiato?
In me come persona intendi? Beh, c’è sicuramente una nuova consapevolezza di ciò che posso riuscire a fare. Trovo che godere della fiducia di una persona sia una sensazione impagabile e nello stesso tempo un tantino ansiogena. La nota negativa è lo stalkeraggio che, se non sei una persona che ama la popolarità (e io non la amo), un po’ ti secca. Però è chiaro che il progetto ha aperto la strada a cose più importanti, a collaborazioni con nuovi artisti, nuovi progetti. Questo è stato super bello ed è stata l’occasione che ha permesso a ognuno di noi di metter fuori il proprio talento.