Durante lo scorso inverno, in un baretto di provincia, ho sentito un remix dance/cassa dritta/tunztunz di Tuyo. Veramente terribile.
In quel momento ho realizzato che a) non c’è limite al peggio e b) niente di quello a cui noi diamo importanza, nella vita, è realmente importante.
Per me Rodrigo Amarante è sempre stato un artista importante.
Importante per la carriera che ha, importante per la qualità delle sue produzioni, importante punto di riferimento delle mie velleità artistiche e virgiliano traghettatore di un periodo, anch’esso importante, della mia vita.
Quando ho saputo che per DLSO si stava organizzando un’intervista con Rodrigo Amarante, in occasione della data al Siren Festival, ho sfruttato le mie conoscenze personali e fatto pressione alle più alte sfere del magazine per avere la possibilità di soddisfare le mie curiosità nei confronti dell’artista carioca e fare così il mio magico esordio come intervistatore su DLSO.
Quello che leggerete è uno scambio domande/risposta avvenuto via email, mezzo di sua natura freddo, ma che ha avuto il potere di farmi voler ancora più bene all’artista e all’uomo Rodrigo Amarante.
Il magico mondo di Google ci dice che questa è la tua prima intervista per il pubblico italiano. Vuoi cogliere l’occasione per presentarti? Penso che in Italia sia stata la colonna sonora di Narcos a farti conoscere al grande pubblico ma, credimi, qualcuno già da prima conservava gelosamente la tua musica come un gioiello (eccomi, lo confesso) e adesso non vede l’ora di ascoltarti in concerto dalle nostre parti.
Questo è molto lusinghiero e generoso, grazie due mille!
Sì, la canzone che ho scritto per la serie ha portato nuovo pubblico alla mia musica e sono molto grato per questo! Ok, ora mi presento: il mio nome è Rodrigo Amarante, sono di Rio de Janeiro, Brasile e vivo a Los Angeles da quasi dieci anni ormai. Scrivo musica così posso cantare.
La tua carriera è iniziata nei Los Hermanos, ed è proprio grazie alla tua militanza in questa band che mi sono avvicinato anche alla musica del tuo socio Marcelo (Camelo ndr).Mi piacerebbe sapere da te cosa i Los Hermanos hanno significato per la scena musicale brasiliana. Da così lontano, mi sembra di capire che siete più che una band di culto.
I Los Hermanos nel corso del tempo sono diventati un fenomeno gigantesco in Brasile, cosa che ovviamente non comprendo, e la fan base è diventata sempre più grande, con nuove generazioni di fan a seguire la band. Una cosa selvaggia.
Io e Marcelo abbiamo scritto le nostre rispettive prime canzoni nella stessa band, ma mai insieme (eccetto una canzone all’inizio del nostro percorso).
In questo modo ho iniziato a scrivere musica, lui mi chiese di far parte di quella band e io pensai di poter cominciare così a scrivere canzoni. Ciò che ci contraddistingueva al tempo del primo disco, agli inizi, era il suonare rumorosi e pesanti utilizzando accordi e testi teneri, ispirati dal samba lento degli anni ‘30 e ‘40.
Nel secondo disco invece abbiamo cambiato totalmente stile, ho iniziato a suonare strumenti come la chitarra o il basso (nel primo album mi era permesso solo di cantare le mie due canzoni, suonare il flauto o il tamburello… tutto ciò in una band punk!) o scrivere arrangiamenti per fiati. Questa trasformazione cambiò totalmente la scena.
Partimmo con l’essere una band punk e diventammo qualcosa di più strano, molto più interessante.
Confesso che negli anni 2000 I just wanted to be one of the Strokes
ed ammetto di aver fatto la tua conoscenza grazie al meraviglioso disco dei Little Joy (con Fabrizio Moretti e Binki Shapiro). Cosa ha significato per te quel periodo? E’ davvero un peccato che non ci sia stato un secondo album!
Haha! Allora gli Strokes erano grandi! E concordo con te, è stato un peccato.
Provammo a NY per un po’ di tempo ma sembrava che i Little Joy avessero senso di esistere solo a Los Angeles. Poi Fab era rapito dagli Strokes e più tardi lui e Binki si sarebbero lasciati.
È stato davvero un bel periodo. Quella band, quel disco. Un tempo d’oro per noi, fatto di spensieratezza, gioia, amore ed eccitamento. Io ero stato totalmente sradicato dalla mia precedente carriera per poi ritrovarmi in un posto dove nessuno mi conosceva. È stato rinfrescante e stimolante. È stato bellissimo.
Una parte importante della tua vita artistica, e immagino personale, è legata a Devendra. Mi fai un commento su questa esperienza, magari qualche aneddoto, e sul tuo rapporto con lui?
Hai ragione, incontrare Devendra ha cambiato la mia vita in molti modi.
In primis mi ha trascinato a Los Angeles per registrare Smokey Rolls Down Thunder Canyon, questo mi ha portato ad essere un membro della sua band oltre che un suo amico e occasionalmente un suo coinquilino.
Ma soprattutto ciò ha coinciso con il periodo a Topanga dove ho iniziato a frequentare Fab (che avevo conosciuto in precedenza a Lisbona, dove con i Los Hermanos condividemmo il palco con gli Strokes) e Binki.
Anche i Little Joy sono stati il prodotto di quel viaggio, del mio incontro con Devendra.
Ho imparato e sono venuto a conoscenza di molte cose grazie a lui, non solo nella musica ma anche nell’arte in generale e nella poesia.
Una bella amicizia è un bel dialogo e con lui il dialogo è sempre ricco e tenero.
Se non fossi andato in California nel 2007 la mia vita sarebbe radicalmente diversa ora.
Ho conosciuto Devendra nel 2006 a Londra, mentre io ero in tour con la mia altra band Orquestra Imperial ed entrambi eravamo impegnati al Barbican per un festival.
Quando è uscito il tuo primo lavoro da solista, non ho ascoltato altro per un anno! Un viaggio intercontinentale (tre lingue), sonorità varie tra di loro (ci ho sentito Chico Buarque e i Velvet Underground, Leonard Cohen e Caetano Veloso) e un secchio di sentimenti in cui tuffarsi quando si è soli. Come è nato questo lavoro?
Grazie mille, posso rispondere a malapena a parole così carine! A proposito di ciò che ha ispirato il lavoro – anche se ho fatto parte di qualche band, anche se ho scritto musica per i miei gruppi e anche arrangiamenti per dischi di terzi – Cavalo è stato il mio primo disco da solista, quello con il mio nome stampato su e con il mio sound.
Per questi motivi esso presenta un tema che non posso e, credo non dovrei, evitare: è l’autoritratto di un alter ego, è una sfaccettatura figlia del guardare un qualcuno, dell’invenzione di ciò che si definisce sé stessi.
In questo modo si crea un doppio, si arriva ad avere due personaggi. Uno che guarda a sé stesso e l’altro che fa finta che il primo non esista ma che cerca in tutti i modi di trovarlo.
Ero lontano da casa, estromesso dalla mia giungla tropicale e messo lì, in una vasta città desertica, mentre imparavo la loro lingua e sulla mia pelle sentivo la vastità del West, le sue distanze, i suoi silenzi, la sua secchezza e il suo freddo. L’America e il suo impressionante isolamento.
Il disco parla da questa terra, a volte parla di questa stessa terra, e sicuramente è stato influenzato da questo luogo, ma è come se gli avesse dato le spalle per ammirare all’orizzonte la terra da dove vengo (non il Brasile in quanto cultura ma la mia storia al suo interno) e il cammino che impone questa maestosa distanza. Questo è il tema del disco e ciò definisce il suo stesso carattere.
Il tuo trasferimento negli USA non deve essere stato semplice, avevi una carriera avviata in Brasile e ricominciare da capo, dopo aver costruito qualcosa di importante, non è banale. Cosa ti ha spinto a prendere questa decisione? In che modo ne ha risentito la tua arte?
Prendere questa strada è stato il regalo migliore che potessi farmi. Se dovessi solo badare alle difficoltà, darei ragione a chi, a casa, credeva io avessi perso la testa e stessi fuggendo da qualcosa, come la famiglia o qualche amico. Beh, anche il mio management. Perché io ho mollato un’intera impresa. Ma è stato tutto così magicamente fluido e fortuito che mi è parso incredibilmente facile capire ciò che dovevo fare.
Come ho detto, gli eventi sono cambiati radicalmente quando venni in California ma, allo stesso tempo, i Los Hermanos erano sul punto di sciogliersi e l’Orquestra Imperial poteva andare avanti senza di me, perché era una band di 22 membri e quattro cantanti ed io potevo raggiungerli quando volevo – così decidemmo di impostare la band: ognuno poteva essere sostituito – per cui ho potuto vedere chiaramente quali suggerimenti mi stava dando il fato ed io li ho colti sentendomi meravigliosamente bene. Ho iniziato tutto da capo, in un nuovo ambiente e in un modo che è stato una grande prova per me.
E questo, per un artista, è oro.
Mi sono liberato di tutte le mie cose, dai mobili alla macchina. Praticamente quasi tutto ciò che possedevo. Ho conservato solo i dischi e gli strumenti, che ho spostato qui nel corso degli anni.
Per un paio di anni ho posseduto solo una piccola valigia e una chitarra, era bellissimo.
A posteriori ho realizzato che il passo importante per me, in quanto artista, non è stato solo l’esposizione maggiore che ha avuto la mia musica (evento grandioso di per sé) ma è stato il poter iniziare da zero, scrivere in una lingua che stavo ancora imparando o in altre che parlavo a malapena.
Questo è stato davvero un input che mi ha dato grande ispirazione nella scrittura.
Oltre alla musica, so che utilizzi anche diversi linguaggi espressivi per parlare di te. Dipingi, fai illustrazioni e hai girato i tuoi videoclip per Cavalo (a proposito, l’artwork di quel disco è stupendo). Ho dimenticato qualcosa? Aggiungo che tua madre era un’insegnante di pittura e tua sorella lavora nel mondo del cinema, il DNA non mente. Quale lato di Rodrigo esce fuori da ognuna di queste forme espressive?
Sono un bambino questo è quanto! Con questo intendo dire che l’arte è far credere, è invenzione, è il creare regole per rivelare eccezioni con la gioia di riflettere il mondo. Prima di tutto questo, è capire sé stessi.
I principi sono gli stessi, le vene sono le stesse e perciò io sono interessato a tutte le forme d’arte. Ho provato a suonare qualsiasi strumento mi passasse tra le mani!
Da bambino volevo essere un pittore (scusa la mia autopromozione, ma ho appena pubblicato il mio primo libro con dipinti fatti in risposta al nuovo lavoro del poeta Daniel Castanheira – il libro è intitolato Jacarepaguá, Lábia Gentil 2018 e all’interno ci sono le sue poesie e i miei dipinti), ma da teenager decisi di voler essere un regista, al college intrapresi anche alcuni studi dedicati. Ma non ho frequentato propriamente una scuola di cinema, perché era lontana dalla città, quindi mi sono messo a studiare scrittura fino a quando non ho mollato gli studi per far parte della mia prima punk band.
Così la musica è diventata il mezzo per esprimermi, ma continuo a credere che le mie canzoni siano quei film che non ho diretto. Dirigere i video (come se sapessi farlo) è inventare ciò che vorrei essere in grado di fare. Le mie ambizioni sono assurde come quelle di un ragazzino.
La domanda è d’obbligo e non ci giro intorno, a quando un nuovo disco? Cosa ci puoi anticipare?
Ha! Ti posso dire che ho alcune situazioni interessanti tra le mani. Due diversi modi di scrivere risiedono in questo disco, due diversi colori che sono spettralmente opposti: uno è quello che voglio dire, l’altro è quello che non posso fare a meno di dire. Uno solare, uno lunare e non so ancora bene se uno di questi due colori spingerà fuori l’altro, se invece si armonizzeranno o se si separeranno per sfidarsi tra loro… So che questo non dice molto in termini musicali ma parlare di musica è quasi sempre noioso. Beh, parlare di sound più che di musica è noioso. Se in Cavalo i personaggi guardavano a sé stessi, scrutando dietro e intorno per riconoscere il terreno, ora nel nuovo disco si guarda al presente, scrutando avanti e il contesto.
Fra qualche settimana sarai in Italia per una serie di 5 concerti, tra cui il bellissimo Siren Festival nella città balneare di Vasto. Cosa ti aspetti dall’Italia e cosa dobbiamo aspettarci noi dal tuo show?
Mi aspetto di avere tra le mani un perfetto pomodoro italiano ancora caldo per il sole. Mi aspetto che questo pomodoro sappia di sole, il succo vivo all’interno di questo divino frutto di stagione. Mi aspetto di mordere un pomodoro, chiudere gli occhi e sentire l’intera estate in un morso, con le sue dolci promesse, le sue meraviglie e la sua purezza, la sua spontaneità e la sua generosità. Mi aspetto di sentirmi come l’uomo più fortunato del mondo per avere, grazie a questa vita, il perfetto frutto estivo italiano nella mia bocca. Sarei davvero grato per questo.
Riguardo a ciò che potete aspettarvi da me, non c’è molto da dire se non che troverete un uomo con una piccola chitarra che canta canzoni di viaggio, di tristezza, alcune di gioia, provando a parlare italiano (magari anche vastese) e che è davvero felice di avere l’opportunità di fare questo.
Il Brasile e l’Italia hanno una forte relazione, sanguigna direi. Questa va avanti dalle prime emigrazioni italiane ed arriva ai numerosi futebolistas che passano dalle nostre parti. Anche nella musica, soprattutto negli anni 60 e 70, Italia e Brasile si sono incontrate, mescolate e ammirate a vicenda (tipo questa, non so se la conosci). C’è qualcosa che ti piace della musica italiana?
Concordo, c’è una relazione fraterna. E fortunatamente direi! La mia famiglia paterna ha origini italiane. Mandano avanti una scuola di samba nella quale sono cresciuto, in una piccola città costiera alle porte di Rio. Era una festa senza fine, tutti molto musicali e giocosi, sentimentali e romantici. Insomma, molto italiani. Le supercazzole tapioca prematuratta a destra per me sono state sempre familiari.
Amo profondamente Mina (e chi non la ama) e ho avuto una cotta adolescenziale per Rita Pavone. Anche il cinema italiano è stata una grande influenza per me. E non parlo solo della grande musica dei film italiani o dei compositori italiani di colonne sonore per film stranieri.
Intendo il modo in cui si raccontano le storie, quello spirito generoso e sublime, generoso e insolente di natura, allegorico, iperbolico, drammatico, romantico, epico, Antonioni, Visconti, De Sica, Scola, Fellini, Monicelli… ma soprattutto la destra supercazzole prematuratta tapioca sinstra!! Amici Miei!!
Ed invece, cosa stai ascoltando in questo momento? Ci consigli un disco brasiliano ed uno internazionale?
Mi piacciono molto Negro Leo, Domenico Lancellotti e Moreno Veloso.
Grazie mille Rodrigo per questa intervista e per la tua musica!
Grazie mille per le tue parole, mi rendono orgoglioso e mi fanno pensare che questo viaggio in Italia sarà indimenticabile.
Ci vediamo in Italia e non dimenticare di chiedere qualche arrosticino quando sarai a Vasto!
Oh, ecco di cosa parlavo! Restiamo in contatto perché, come avrai capito, il cibo per me è una delle grandi gioie della vita. Ci vediamo a Vasto, potrei anche stare un giorno in più in città. Grazie Due Mille e auguri!
Intervista a cura di Filippo Maria.