Finalmente è arrivato: è uscito l’attesissimo secondo album in studio di ROSALÍA, El Mar Querer.
La ventiseienne catalana nell’ultimo anno ha conquistato a tempo di record la Spagna e subito dopo il resto del mondo, con estimatori d’eccellenza quali Pharrell Williams, Arca, J-Balvin, Romeo Santos, Khalid e addirittura Pedro Almodovar (il regista spagnolo la farà debuttare sul grande schermo nel suo prossimo film, accanto a Penelope Cruz)
Il suo debutto del 2015, Los Angeles, doveva musicalmente ancora molto alla tradizione cui ha dedicato tutti i suoi anni formativi, il Flamenco, ma mise subito in luce un tocco personale e contemporaneo che in Spagna fece storcere il naso a molti tradizionalisti del genere.
L’intero album suona decisamente “organico”, essendo composto quasi esclusivamente dall’interplay fra l’eccellente chitarra e la voce di ROSALÍA, un canto in tutto e per tutto assimilabile a quello delle sirene di Ulisse: stordisce e cattura, trascendendo spazio e tempo, malleando come creta la tradizione musicale con cui si confronta.
Rosalia è giovanissima, eppure la sua voce fin dal debutto discografico riesce già a raccontare tanto, quasi troppo; dalle sfumature, dal vibrato e il timbro, sembra quasi di ascoltare qualcuno con vent’anni in più di esperienze di vita sulle spalle: allo stesso tempo però la freschezza di una ventenne è tutta assolutamente ben percepibile. Va da sé quindi che l’esperienza finale sia esaltante, quasi stordente nella sua bellezza.
A partire dal video di De Plata, ROSALÍA ha anche cominciato a definire un’estetica ben precisa e accattivante, collaborando con un team di amici e famigliari (lei, la madre e la sorella si occupano dei costumi), dipingendo delle atmosfere quasi sempre notturne: una sensazione che ci rimane addosso anche durante le poche scene girate alla luce del sole. È come se i video di ROSALÍA fossero un sogno lucido in cui si vanno a mescolare moda streetwear, tradizione, folklore, simbolismo spagnolo e arte contemporanea; in tutto ciò emerge sempre lei, con la sua voce eccezionale e quel viso di una bellezza senza tempo, capelli e occhi scuri spezzati dalla carnagione chiarissima e dal rosa o rosso delle labbra.
Insomma nei suoi video ROSALÍA si erge a icona, nel senso religioso del termine: sembra mirare a incarnare fisicamente quell’unione fra vecchio e nuovo che ricerca nella sua musica, una cantante/ballerina di flamenco appassionata di streetwear e moderno R&B. È per questo che i tre successivi videoclip, che sono andati ad anticipare il nuovo disco, sono stati forse la chiave del successo acquisito in così poco tempo: Malamente, Pienso En tu Mirà e il recentissimo Di mi nombre.
Questi tre, come prevedibile, sono i brani più smaccatamente pop del suo secondo lavoro in studio, El Mar Querer, il che è tutto dire, esplodendo già questi di personalità e spunti interessanti. La qualità migliore di queste undici nuove tracce è probabilmente che ognuna mantiene altissimo il livello dell’attenzione, una caratteristica che ultimamente si stava quasi dimenticando nelle produzioni pop. Non ci si annoia mai, per diversi e vari motivi. Il flamenco fornisce quasi sempre la spina dorsale di ogni brano, in particolare grazie alla presenza onnipresente della tecnica delle palmas, ovvero il battito delle mani che va a identificare la compàs che si sta usando: compàs è il termine usato nel flamenco per identificare le diverse scansioni ritmiche, ognuna corrispondente a un palos, i diversi “generi” del canto flamenco. Partiamo alla grande con Malamente che già conosciamo e che possiede un tiro fortissimo, la perfetta opener insomma.
È però con Que no salga la luna che entriamo nel vivo: una chitarra di stampo classico, le palmas e qualche accenno elettronico oltre a un arrangiamento vocale da brividi, elemento comune a tutti i brani. È come se questo pezzo andasse idealmente a chiudere l’esperienza di “Los Angeles”: e infatti da qui in poi i brani esploreranno sonorità molto diverse e la chitarra scomparirà del tutto.
Ecco allora Pienso en tu mirà a condurre l’ascolto nel modo più agevole possibile, un altro brano che conosciamo, con quello che è forse il miglior ritornello del disco. Subito dopo la doppietta dei brani forse più sperimentali e audaci: De Aqui no sales, che ha l’intuizione geniale di utilizzare i suoni di motori e sirene per comporre il beat fino all’entrata delle solite palmas a metà brano, e alla voce in modalità scratch di ROSALÍA
E Reniego, costruito invece sull’esclusivo scambio fra i suggestionanti archi e la voce.
Dopo l’intermezzo parlato di Preso ci si butta in Bagdad, brano che ospita un coro che arricchisce con un suggestivo controcanto un ritornello già di per sé incredibile. Arriva poi il terzo singolo, Di mi nombre che di tutti e undici è forse il più smaccatamente pop, mantenendo comunque il cante flamenco, ricoperto però sul ritornello da un autotune molto azzeccato che spunta ogni tanto all’interno del disco ma che qui ha un grande per specifico. Con Nana, la nona traccia, esploriamo più a fondo la dimensione religiosa, mistica, della musica di ROSALÍA. Sembra quasi di ascoltare dei canti gregoriani in versione aggiornata, fra armonie vocali artificiali e un colore vagamente arabo. Maldicìon inizia con un synth dal suono inaspettatamente british, anni’80, sviluppandosi in modo abbastanza canonico fino all’arrivo di campioni sonori spiazzanti. La fine del lavoro con A Ningun Hombre ribadisce il concetto principale di tutto il disco, già presente su “Nana”: la protagonista assoluta è la voce, è il cante flamenco.
Il risultato, in quest’ultima traccia, incanta, con un a cappella di un minuto e mezzo emozionante e quasi esoterico, perfetta firma alla fine di un lavoro d’autore.
Possiamo parlare di lavoro d’autore perché ROSALÍA non è solo l’interprete vocale di El Mar Querer, ma è anche accreditata come autrice dei testi e delle musiche, oltre che produttrice dell’album insieme a El Guincho. Sul disco, la stessa ROSALÍA ha affermato che “El Mal Querer rappresenta il modo in cui io intendo il flamenco oggi: ho lavorato due anni interi della mia vita su questo progetto, costruendolo senza fretta. Mi ha aiutato a migliorare e a crescere come musicista, compositrice e produttrice, e per questo sono grata. Il mio sogno è sempre stato quello di condividere la mia musica con le persone e queste sono canzoni create proprio per tutti”.
Forse su “canzoni proprio per tutti” ROSALÍA ha sottovalutato il peso del cante, uno stile canoro particolare e diverso da tutti gli altri. Ciò fa in modo che nonostante, o forse proprio perché, venga calato in situazioni classicamente “pop”, il risultato finale è spesso straniante, lontanissimo da riferimenti popolari da lei stessa citati come una Beyoncé. Piuttosto l’effetto ultimo ricorda molto da vicino, soprattutto nel mood generale, la produzione di Arca; non a caso Alejandro Ghersi è un suo fan e i bene informati dicono anche che i due abbiano passato tempo assieme in studio.
Se devo trovare un difetto a un disco interessante come pochi è che alcuni brani, quelli più sperimentali come i già citati De Aqui No Sales, Reniego o Maldicion, sembrano essere un po’ castrati, non portano a compimento il loro vero potenziale, come se per rispettare a tutti i costi un certo tipo di minutaggio e di forma canzone si siano posti dei limiti di sviluppo creativo che non rendono giustizia a delle idee e delle intuizioni che avrebbero forse meritato un’altra attenzione. Per concludere poi, è incredibile come tutti questi risultati siano stati raggiunti con una grammatica musicale molto semplice, composta da pochi elementi: voce, palmas, bassi, qualche synth, effetti di vario tipo ma mai eccessivamente invasivi.
“Per me c’è un tipo di dolore che si può esprimere solo cantando. […] Piango quando canto, piango dentro, e non so perché, non potrei piangere in questo modo parlando. Lo faccio solo quando canto, e non so perché.”
Proprio a proposito di grammatica: la distinzione fra verbi transitivi e intransitivi la impariamo a scuola da bambini.
Piangere è un verbo intransitivo; ciò vuol dire che l’azione che esprime si esaurisce nel soggetto che la compie, non cerca un complemento oggetto a cui farla subire. Il pianto di cui parla sopra la stessa ROSALÍA assume questo senso: è un pianto per sé stessi, intransitivo.
La meraviglia della musica però è che sfida in modo aperto qualsiasi rigorosa regola grammaticale. Pur essendo l’arte intransitiva in partenza, almeno nelle espressioni più sincere e profonde, in realtà poi chi ascolta diventa automaticamente un complemento oggetto.
La musica è una meravigliosa anomalia che se ne sbatte delle regole grammaticali, ne segue di proprie, al servizio di un’emozione urgente che va espressa in qualunque modo.
Questo disco di ROSALÍA condivide con il precedente una caratteristica che in pochi possono vantare: suona “completo” e appagante, ma allo stesso tempo come una tappa di un’evoluzione artistica e musicale appena agli inizi e che a questo punto si fa sempre più interessante, di cui non si intravedono limiti nel prossimo futuro.
In Spagna era chiaro da tempo a tutti che si aveva a che fare con un’artista con qualcosa da dire di importante, fatto dimostrato anche dall’attenzione alla narrazione e al simbolismo nei testi e nei video, con i gli undici brani divisi in capitoli ognuno con il suo nome, forse a illustrare l’arco narrativo di una storia d’amore, o forse semplicemente espressione cubista e sfaccettata della personalità e delle esperienze di ROSALÍA.
Radicata nel passato e nella tradizione ma proiettata totalmente verso il futuro, grazie a El Mar Querer ROSALÍA sbarca definitivamente con prepotenza sulla scena internazionale, portando una gran ventata di freschezza in diversi mondi, dal pop al flamenco, passando per l’elettronica e l’hip-hop.