Boys will be Boys
Why was she all alone/Wearing her shirt that low
They said, “Boys will be boys”
Deaf to, deaf to/Deaf to the word/”No”, “no”, “no”, “no”
Boys will be Boys è la canzone che ha proiettato Stella nell’Olimpo dei grandi. La prima volta che l’ho sentita ho pensato, e so di non essere sola, a Jeff Buckley: voce limpidissima, vibrato che può smuovere monti, chitarra Fender super-clean con riverbero.
A controbilanciare il suono angelico del brano, un testo (e un’interpretazione, soprattutto qui) devastante che affronta, in poco più di 4 minuti, il tema della colpa introiettata tipica delle vittime di stupri, abusi e violenze, del giustificazionismo becero nei confronti degli aggressori (quante volte abbiamo sentito frasi “eh, ma se l’era cercata” / “certo, se ne va in giro sola” / “ma guarda com’era vestita” / “quando la donna dice no, intende dire sì”) e della conclusione, dai toni surreali, “eh, ma sono ragazzi, fa parte dell’essere uomo comportarsi così”.
No, belli. Un “no” è un NO, soprattutto se ripetuto. Stella lo canta chiaro e tondo e riassume quello che Urban Dictionary recita alla voce boys will be boys:
The biggest, pithiest, bullshittest excuse for male behavior that is otherwise legally/morally unacceptable from birth to the grave.
Una scusa che ha dato forma a una mascolinità tossica che vuole l’uomo sessualmente predominante, aggressivo e, se ci scappa, perché no?, anche violento. Un uomo che fa gli spiegoni e zittisce. Insomma: il peggior uomo che può capitar di conoscere.