ALTO e BASSO
Titanic Rising è un album che tocca molti temi. La civiltà occidentale che va a picco e la cocciuta tracotanza dell’uomo di dominare la natura con la tecnologia – e di cui il Titanic è il simbolo per eccellenza: un transatlantico che fa naufragio dopo aver cozzato contro un iceberg e quell’iceberg che dopo cent’anni si scioglie a causa del cambiamento climatico e sommerge intere terre.
Per controbilanciare il senso di imminente fine, Weyes Blood parla della necessità di trovare un significato alla nostra esistenza e di riporre fiducia in qualcosa di più grande. Tutto l’album è un anelare all’indefinibile e all’ineffabile something: qualcosa di più forte delle voci dentro di me/qualcosa in cui credere, canta in Something to Believe; qualcosa che puoi tenerti stretto declama in Andromeda; o ancora qualcosa che abbia senso per venirne fuori è la sua preghiera in Picture Me Better.
La sua ode al something va di pari passo con la ricerca di una verità, di una mitologia o di una fede laica a cui le civiltà si aggrappano per giustificare i grandi accadimenti della vita. Weyes Blood conduce questa riflessione sullo stesso registro della finzione filmica e fa riferimento all’effetto di fascinazione che Titanic, leggendario kolossal degli anni ‘90 con Leonardo Di Caprio, ha prodotto sulla sua generazione e sul nostro modo di decodificare le tragedie, ad esempio l’11 Settembre (che lei ha vissuto, racconta a The Poundcast, in uno stato confusionario di anestesia dopo un intervento dentistico).
Ogni accadimento tragico, per essere processato, deve essere portato a un livello più basso e filtrato: dalla pellicola, dallo schermo della tv e ora dal touchscreen del nostro smartphone. Non esiste più l’essenza nobile della tragedia perché è stata ridotta ad un mera post-produzione: Weyes Blood riesce a esprimere questo spirito del tempo con un tono che oscilla tra il profetico (per l’intenzione), il sublime (la voce e l’arrangiamento) e il sardonico (i testi). Tutto questo era già presente in Generation Why, elegia dall’incedere pastorale e sacro, prontamente controbilanciato dal ritornello che si permette di recitare: “Y-o-l-o, why?”:
“going to see end of day/I’ve been hangin’ on the phone all day/and the fear goes away/I might not need to stay on this sinking ship alone”
La visione cosmica e comica del mondo smorza l’atmosfera nobile a favore di un approccio onesto e conversazionale (Father John Misty ne è, ad esempio, maestro). Lo slittamento dall’alto al basso lacera l’effetto scenico, come se Weyes Blood guardasse direttamente in camera per rompere il quarto muro della finzione e parlare in modo familiare all’ascoltatore. Succede in Something to Believe quando dice “drank a lot of coffee today” o ancora “might’ve left the heat on high” o anche, a mistificare il tono liturgico di Movies: “the movies I watched when I was a kid”, in Everyday “the other night I was at a party/someone sincerely looked a me/and I said is this the end of all monogamy” o ancora in Wild Time, con quel “It’s a wild time to be alive” che pare un andante tipicamente usato sul web.
Il suo modo di scrivere segue questi due binari paralleli, l’alto e il basso: splendide composizione barocche con arrangiamenti ben radicati nel songwriting classico ma che svelano un nota umoristica di fondo – quella del surrealismo, delle fantasie e dei sogni ad occhi aperti.
p.s. Enya, che vedete nell’immagine di apertura di questa sezione, è la summa di alto e basso. Alta come atmosfere epiche e cavalleresche, allo stesso tempo deliziosamente kitsch e anacronistica. Weyes Blood non ha mai nascosto di adorarla. Di lei dice:
Enya is the closest thing I could find to express our desires to reach into ancient realms. She records in castles and stuff, she’s already in the ancient realm.