Oggi ti parliamo di Missey perché è appena uscito Oslo, il suo nuovo singolo prodotto da Shune sotto la direzione artistica di Omake che ci ha ricordato non poco la prima FKA Twigs.
Ora dirai che azzardiamo coi paragoni, che dobbiamo andarci piano ecc ecc, però dai un ascolto qui giù e poi dicci che non merita la tua attenzione:
Oslo è un brano che mescola l’elettronica algida con il tepore dell’R&B e Missey vuole dedicarlo alla città che le ha fatto scoprire la voglia di sentirsi distante rispetto a tutto ciò che la circonda:
«Oslo è stato il posto più lontano da casa in cui io sia mai stata, ho amato il silenzio di questa città e la sensazione provata nel visitarla 8 anni fa è stata di un estremo distacco dalla vita di tutti i giorni, a livello fisico ma anche mentale e non mi era mai capitato. In 8 anni è cambiato praticamente tutto nella mia vita, c’è stato sempre più rumore fino a che non ho cominciato a ricercare in modo incontrollabile quella sensazione di distacco, quella necessità di silenzio nei confronti di ciò che ormai avevo alle spalle. Io che avevo sempre cercato di controllare, prendermi cura delle cose e persone che facevano parte della mia vita, ho scoperto quanto avessi in realtà voglia di respirare distante rispetto a chi mi circondava.»
La release ci ha spinti a voler conoscere un po’ meglio questa giovane promessa dell’R&B italiano, così l’abbiamo raggiunta via mail, chiedendole di raccontarsi ai lettori di DLSO.
Ciao Missey, presentati ai lettori di DLSO
Sono Missey , ho 24 anni e sono pugliese. Sono cresciuta ascoltando praticamente da subito artisti come Erykah Badu, Lauryn Hill, Kool & The Gang, Earth Wind & Fire, per poi cominciare a studiare un po’ di Jazz e Bossa Nova. Per unire questi due diversi mood, comincio a rielaborare standard jazz con la loop station: meno dilatati e più adatti alla mia persona, come alla mia voce. Comincio a scrivere pezzi miei ascoltando tanto R&B e comincio a credere nelle potenzialità di un progetto da singolo, portato avanti da una ragazza. Tuttavia ci metterò un paio di anni e un po’ di pezzi scritti in inglese prima di riuscire a identificarmi nella “mia” musica, e il trasferimento a Milano due anni fa, segna questo cambiamento. Mi sono trasferita e ho cominciato a cercare locali in cui ci fossero jam e contest, come avrei fatto “giù” a casa e mi muovevo sperando di conoscere altri musicisti, ma soprattutto sperando di cantare, anche per poco e per pochi. A Gennaio è fuori Kaldera, prodotta da Shune, primo pezzo in italiano che segna una direzione diversa rispetto ai miei ascolti, ma veramente tanto mia.
Il tuo ultimo singolo “Oslo” l’hai scritto con Omake. Ci racconti com’è nata la vostra collaborazione?
La collaborazione con Omake è nata come qualcosa di veramente inaspettato, avendo percorsi tendenzialmente diversi. Però una volta in studio con Shune, ascoltando e lavorando al pezzo ci siamo resi conto di vederci dentro probabilmente le stesse potenzialità e sonorità. Pensare di essere sulla stessa lunghezza d’onda di qualcuno dalle esperienze e background così lontani dai miei, è stata una cosa nuovissima e davvero sorprendente per me: perché ho capito che Oslo era qualcosa che apparteneva a me, come a Shune, così come ad OMAKE, semplicemente perché ci credevano anche loro.
Un po’ di ascolti che influenzano le tue produzioni.
Sicuramente FKA Twigs, per il modo in cui ‘modella’ la sua voce super delicata, la scompone e la ricompone abilmente come fossero tessere del tetris. Janelle Monàe è invece la carica di cui ho giornalmente bisogno per i colori e valori che ci ho trovato dentro dai primi lavori nel 2008 (che ascolto tuttora) fino ad oggi, mai cambiati, solo potenziati. Anche Solange Knowles è sicuramente tra gli artisti che più mi influenzano: trovo il suo linguaggio, nella musica come nelle sue performance, una ricerca infinita, studio di dettagli vocali, e fisici nelle coreografie live, approfonditi in un modo complesso ma elegantissimo che la rende assolutamente un modello di riferimento.
Cosa fa Missey quando non canta?
Quando Missey non canta, macina km a piedi per Milano, non tanto per camminare, ma per guardare e memorizzare cosa c’è fuori. Trasferirsi da una piccola città a Milano per me ha significato e significa ancora, oggi dopo due anni, girovagare quotidianamente in un Luna Park: divertente ma tanto impegnativo, in cui tutti i “partecipanti”, che incontro alla mattina e alla sera tardi in metro, non sono lì per caso, ma sono perfettamente consapevoli di essere in un posto che chiede tanto e tante parti di te, prima di restituire qualcosa in cambio. Ed io anche mi ci sento così.