È un sabato di luglio.
Come tanti sabati si trascina con una certa indolenza. Ma siamo a luglio, quindi è un’indolenza torrida e appiccicosa, simile al caramello che si fa nel padellino. Come il caramello, la forma di questo sabato mattina può cambiare in un istante: lascio che sia il minimo movimento del cucchiaino dentro quel blob bollente e zuccherino a deciderlo.
La forma di questo sabato per ora è uno stanzone grigio, una fila infinita di gente sfinita con un numerino in mano e che si chiede chi ha quello prima del loro. Lo schermo che dovrebbe dare ordine al disordine non funziona. È fissato in alto alla parete e un signore si abbarbica coraggiosamente su una sedia per raggiungerlo. “Niente, non va” – ci dice ma lo sta dicendo più che altro a se stesso, quasi a giustificare il suo daffare goffo.
In questo limbo dorato, un momento da tenere stretti al cuore: mentre leggo le recensioni su Google di alcuni medici (e leggo, incredula, per ben due volte l’espressione “mi ha salvato la vita”), un omone aspetta il turno seduto con un cartone aperto della pizza sulle ginocchia, una margherita caldissima tagliata a fette e il ritmo delle fauci che quasi sembra sovrapporsi con un grido (“il prossimo?!”) proveniente da chissaddove.
Il caramello si cristallizza e così anche il ricordo.
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Cosa c’entra questo con il disco di Joanna Sternberg? Niente. O forse tutto.
Ma soprattutto chi è Joanna Sternberg? Musicalmente, è l’erede di Carole King e Daniel Johnston. Spiritualmente, una rivelazione.
Joanna Sternberg ha 28 anni, viene da Manhattan, ama suonare il contrabbasso e ha scritto un grandissimo album di 25 minuti. Alcune testate dicono sia il suo debutto, altre sostengono sia il secondo: faticando a trovare tracce dell’esordio in ogni pertugio di Internet, caldeggerei la prima ipotesi.
Then I Try Some More non è incasellabile in nessun genere se non nel diario privato. Lo dice pure lei: “queste cose che faccio possono essere chiamate canzoni, ma non per forza”. Sono cantilene con arrangiamenti nudi e crudi e a chi sta lottando per stare meglio e per essere accettato (Joanna si identifica come queer/non binary e preferisce il pronome they a she) suonano di una schiettezza, di un’intensità e di un’umanità bruciante.
Si dice che il primo passo per uscire dal malessere sia riconoscerlo. Solo parlandone ci si rivela, si rivela la malattia e si combatte lo stigma sociale. Joanna Sternberg l’ha fatto alla grande. Ha preso il suo malessere, l’ha colorato (la cover fumettosa è opera sua!), l’ha reso cantabile, quasi da tamburellare con le dita – For You sembra un brano dei Belle and Sebastian! Ma soprattutto gli ha dato una forma – e la forma, quando si parla di depressione e dipendenze, è tutto. Dare forma a quella massa gelatinosa, sollevarne i bordi come un lenzuolo con gli angoli. E per fare tutto questo, così come per piegare il lenzuolo, serve essere in due: io che canto e tu che mi ascolti, comprendi e accogli. Tu che pieghi il mio dolore e io che ti aiuto a mettere quell’angolo nell’angolo.
Nel limbo dorato dell’abisso, Then I Try Some More è un album da tenere stretti al cuore. C’è una canzone This Is Not Who I Want To Be, piazzata all’inizio del disco, che eleva la storia di Joanna dal personale all’universale in un inno potentissimo. Le fa eco You Have Something Special:
You have something special please don’t throw it away
They will try to hurt you with the words they say
Words that sting and words that slay
Words that can turn pink to grey
You’ve been walking miles trying to find your way
You’ve been singing sad songs every single day
I’ve been singing sad songs too
I’ve been hurting just like you
Versi come Don’t you ever feel like no one will ever love you?/Don’t you dare feel that you are alone (non pensarci manco un po’ a sentirti solo e che nessuno ti possa amare) oscillano tra il tenero e il disperato, un po’ come quella risata strana che ti scappa dai denti quando ammetti che no, non va tutto bene.
E allora no, non si può proprio parlare di canzoni, serve un altro termine: sensazioni. D’altronde lo dice anche lei: I have a FEELING that we all have the same set of feelings. (sento che tutti noi abbiamo lo stesso spettro di sentimenti). Le nove tracce di Then I Try Some More si basano su un bisogno spasmodico di connessione, di un sentire comune, di un’empatia terapeutica. That’s the reason I write songs – for that chance of helping someone. If someone tells me that I’ve helped them, that’s my validation to write another song, dice Joanna.
Di medici della mutua che salvano la vita credo ce ne siano davvero pochi. Di dischi come quello di Joanna Sternberg ancora meno. Di album che possono salvare la vita in 25 minuti men che meno. Questo è uno di quelli.
Then I Try Some More è pubblicato da Team Love Records.
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L’illustrazione “Piccolo Mostro” è stata realizzata in esclusiva da Elisa Lipari. “Piccolo Mostro”, ci racconta Elisa, “è una serie di illustrazioni nata per affrontare e raccontare un corpo che cambia contro la mia volontà: è lo specchio che riflette un’immagine di me – esterna, fisica, ed interna, intima- contro la quale combatto e che cerco di perdonare“. Ringraziamo Elisa e invitiamo, chiunque stia combattendo contro se stesso o contro dei piccoli grandi mostri, a parlarne o a rivolgersi a fondazione o associazioni con volontari in grado di ascoltare e accogliere. Un abbraccio