(Sandy) Alex G, all’anagrafe Alexander Giannascoli, ha 26 anni, è di Philadelphia e da tempo viene indicato tra i nomi da tenere d’occhio, soprattutto dopo la collaborazione con Frank Ocean in Blond. Con il nuovo album, House of Sugar, il nono della sua carriera – senza contare gli infiniti ep pubblicati su Bandcamp – e il terzo per la Domino Records, (Sandy) Alex G smette ufficialmente di essere una promessa.
House of Sugar, pubblicato il 13 settembre 2019, è la dimostrazione – l’ennesima nel percorso fulgido di (Sandy) Alex G – di come si possa scrivere musica guitar-based e d’estrazione folk riuscendo a spingere sempre più in là i limiti della composizione. Un po’ come il suo nome, (Sandy) Alex G fa musica che potrebbe essere racchiusa tra parentesi: i suoi album, il precedente e acclamato Rocket così come ora House of Sugar, interrompono la continuità che normalmente intercorre tra brani appartenenti allo stesso disco(rso) e riescono ugualmente ad apparire compatti e coerenti, appartenenti a un unico blocco sintattico e musicale.
La musica di (Sandy) Alex G e House of Sugar sono corpi fluidi da esplorare. Facciamolo ora.
Mai sentito qualcosa del genere (o forse sì, ma dove?)
High pitched cartoonish/girly vocals
ominous guitar/electronic sounds
bitchin’ dark/sad/cryptic lyrics
folksy instrument solo that rides….yup it’s a Sandy song.
Questo commento si trova sotto al video del singolo Gretel e dice molto sul genere di musica di (Sandy) Alex G. A dirla tutta, è difficile pure parlare di genere: Alex non ha fatto altro, per tutta la sua discografia, che confonderci magicamente con ballate freak dall’incedere folk-country, bombe industrial-noise con spoken-word, momenti sonori vicini alla lounge music, improvvise riff grunge e ancora incursioni vocali effettate col pitch shifting (una tecnica audio che altera l’intonazione della voce abbassandola o alzandola).
(Sandy) Alex G non segue nessun trend preciso ma unicamente il suo e sovverte, brano dopo brano, l’aspettativa dell’ascoltatore arricchendo il quadro sonoro con un’estetica a patchwork. L’amalgama e la sovrapposizione di vari suoni sono la sua forza ma ancor più lo è un aspetto che non è mai perso di vista, un po’ il capitano che tiene la foto della sua bella sul timone della nave: l’amore folle per la melodia. Questo rende Alex uno dei più incredibili artigiani pop, costruttore di ellissi narrative a dir poco catchy che si rintanano nella memoria risvegliando un sentimento lontano, profondo e nitidissimo.
Ti sfido, nel mare magnum di suoni maciullati di Gretel, a non metterti a cantare tra te e te versi come I don’t wanna go back/Nobody’s gonna push me off track.
Le sue canzoni sono rette infinite
Se esistesse una legge matematica applicata alle canzoni di (Sandy) Alex G, reciterebbe che non c’è mai una canzone uguale a un’altra – anche da un punto di vista strutturale. E ancora: molti brani non presentano un vero e proprio ritornello (in House of Sugar fanno eccezione dei brani più classici come Southern Sky o Cow) nonostante il loro carattere melodico trasformi tanti momenti in tormentoni cantabili.
Nulla appare definitivo, tutto è tribolato e mutevole, come una trottola che passa da un colore all’altro giro dopo giro. Prendi l’iniziale Walk Away, che offre un’esperienza clamorosa capace di trascinare l’ascoltatore, già dalle prime note, nell’occhio di ciclone. Il brano si basa su un testo di tre parole e quattro accordi che vanno decomponendosi e ricomponendosi rapidamente: sono ripetuti, cambiati di accento, intonazione e ritmo a creare creano un effetto ipnotico, traballante eppure granitico. Walk Away in un’immagine: un blob che avanza e che acquista volume passo dopo passo inglobando ogni cosa capiti sul suo sentiero. Una descrizione simile meriterebbe Near, un mantra di frammenti buttati senza sosta sulle orecchie; e ancora Project 2, un acquerello sci-fi a cui basta un rivolo di acqua in più nel pennello per far cambiare intenzione e atmosfera all’intera scena.
(Sandy) Alex G è un maestro nel creare e nel risolvere la tensione all’interno di un brano. Ancor più sa come calibrare il senso di minaccia che traspare in molti brani attraverso pezzi dalle melodie più folk e oniriche ma che, anche qui, eludono ogni struttura canonica. Hope, ad esempio, parte con uno sgangheratissimo verso folk, non si risolve mai in un chorus ma preferisce offrire splendidi paesaggi strumentali. Lo stesso potremmo dire della già menzionata Gretel che fa della sua bellezza l’essere perennemente flottante, come una retta senza inizio né fine che si arrotola ma non approda a un nessuno punto fermo.
Altre stanze, altre voci (in pitch-shifting)
Scrive Pitchfork che “l’universo espanso di (Sandy) Alex G è pieno di personaggi reietti, ribelli e disadattati, usati nelle canzoni come una sorta di ammonimento”. Ci sono inquilini che muoiono di overdose, eroine perse che sfidano ogni sorta di destino, spacciatori, cuori infranti.
Le storie di Alex, come più volte raccontato nelle interviste, non sono quasi mai il riflesso di un significato ben ponderato ma il più delle volte flussi di coscienza che nascono da reverie su personaggi immaginari o meno:
Well, I do think about characters and stuff when I’m writing. It’s hard to talk about a big thing, because obviously I have an unrealistically big vision for what I’m making. […] It’s just like my fraction of a thought at the beginning of each song, and then they just take their course each in their own way. (da un’intervista a Spin del 2017)
I suoi testi mescolano ricordi reali a scene inventate, ritagli di accadimenti e conversazioni annotate alla bell’e meglio su un taccuino perso, poi saltato fuori all’improvviso. Un esempio sono quelle frasi che Alex fa spesso cantare alla sua fidatissima controparte femminile, Emily Yacina e che nel disco House of Sugar troviamo in Southern Sky (“it’s okay we don’t cry we love the southern sky”) o nella dolcissima Crime (“careful what you do or I’m leaving without you”). Alex le mette tra virgolette a voler esplicitamente indicare la loro natura – sono inserti che impreziosiscono la narrazione, la commentano e la rendono più dinamica.
Come in un romanzo postmoderno ricco di note a piè di pagina, riferimenti e cambi di toni, (Sandy) Alex G gioca con i ruoli. House of Sugar è un labirinto che ci costringe a fare indietro e avanti, ad ascoltare una voce, poi un’altra e poi un’altra ancora – spesso simultaneamente. Alex abita un variegatissimo ventaglio di punti di vista. La linea di demarcazione tra le voci e quella del narratore è costantemente fuori fuoco e permette all’ascoltatore di vagare tra le canzoni, entrare nei loro ambienti e a interpretarle liberamente anche grazie a un particolare aspetto, quello che fa più drizzare le orecchie, ovvero l’uso del pitch shifting.
Il pitch shifting fa suonare la voce volontariamente innaturale e la trasfigura in qualcosa che umano non è ma è un irriducibile altro. Anche qui: i generi biologici maschile o femminile, facendosi liquidi, risultano impossibili da incasellare così come il genere musicale di Alex che incarna perfettamente il concetto di non-binary applicato alla musica.
Prendi Nikes di Frank Ocean, ad esempio, brano che presenta un effetto vocale in stile chipmunk capace di dare forma a una presenza fantasmatica. (Sandy) Alex G usa il pitch shifting in modo simile per disorientare l’ascoltatore, certo, ma soprattutto per stratificare la narrazione come in una polifonia (un esempio perfetto è Sportstar, contenuta nel precedente Rocket). L’effetto è duplice: la canzone si trasforma in una confessione intima che l’ascoltatore origlia, e allo stesso tempo acquista profondità e diventa tridimensionale. Per queste e per molte altre ragioni, (Sandy) Alex G è diventato un cantautore di culto su Internet con tanto di subreddit dedicato.
Ma questa è un’altra storia, una storia tra parentesi in mezzo a tante storie, una storia dalla natura liquida.
House of Sugar è fuori per Domino.