A Le Guess Who?, festival olandese di musica e altre esplorazioni sonore, le creature mitologiche sono di casa.
Ogni anno, circa a metà novembre, decidono di farsi vedere da noi umani ed è un evento. L’edizione 2019 vede come curatori (ma forse dovremmo chiamarli guardiani) The Bug, Fatoumata Diawara, Iris van Herpen & Salvador Breed, Jenny Hval, Moon Duo, Patrick Higgins, un variegatissimo melting pot di generi e origini che rende unico questo festival da 12 anni a questa parte.
I concerti a cui assistiamo sono apparizioni stupefacenti. Siamo nel regno della magia: e così il nostro racconto si fa leggenda. A te decidere cosa è reale e cosa meraviglioso.
Iniziamo con una visione fugace per alcuni già entrata nel mito della storia di Le Guess Who? e che verrà ricordata come “quella volta che Bjork fece un dj-set a sorpresa al festival”. A pensarla bene gli indizi c’erano tutti: James Merry, ricamatore di maschere barocche, e Iris Van Herpen, stilista visionaria, sono amici e collaboratori della musa islandese ed entrambi facevano parte della line-up del festival. Ecco che la nostra appare saltellante come il folletto Puck, spirito dei boschi, abile a nascondersi dietro una selva di piante collocate strategicamente sul palco a creare sintomatico mistero.
Bestie multiforme e altri spiriti
L’apparizione di Bjork dà la mano a quella di Aldous Harding, cantautrice folk che forse fa il concerto più bello di tutto il festival e che si presenta sul palco con una mise a metà tra David Bowie e Pierrot. La sua mimica facciale, i riccioli che le cadono sul volto e lo sguardo glaciale e paralizzante ricordano certe smorfie della Medusa. Il pubblico è muto: è forse questo un incantesimo?
Impossibile non menzionare, sotto questa categoria, le performance dei Deerhof che propongono tutto l’album Friend Opportunity con gli amici di Brooklyn Tigue. Per chi scrive è il concerto della vita con un Greg Saunier scatenatissimo e in odor di grazia che si dimena come un cane a tre teste tra batteria, tastiera e chitarra. Memorabile. Come pure, in modo diverso e decisamente più colorato, i Minyo Crusaders, gruppo giapponese che rivisita il catalogo di canzoni centenarie folkloristiche giapponesi in chiave funk. Il vocalist si presenta sul palco con la maschera di Tengu, creatura fantastica della tradizione giapponese capace di trasformarsi in uccello, volpe o procione.
A proposito di trasformazione: alla fine del concerto di Lafawndah, cantante d’origine persiana ma dall’animo gotico, siamo certi di aver assistito a un rito magico e primordiale tenuto da una grande sacerdotessa della notte Nyx. Tutti si guardano un po’ spauriti e un po’ inquietati.
Il volto umano del mito
A controbilanciare le vibez oscurissime, le Oshun, duo di hip-hop e di presobenismo, una sorta di Destiny’s Child afrofuturiste che devono il proprio nome a un dio dell’amore e della fertilità della mitologia Yoruba dell’Africa occidentale. Poi abbiamo la musica armoniosa e apollinea dei Loving che ci regalano 40 minuti di puro coccola-twee-psych-pop e il funk di Arp Frique che sfodera il miglior arsenale di synth e drum machine vintage che abbia mai visto e intrattiene tutti con una lounge music che incrocia Piero Umiliani e certe sigle di videogiochi in MS-DOS: un viaggio degne delle tre Moire tra passato, presente e futuro.
Bellissimo lo spettacolo di divertissement jazz-pop di Mega Bog, tra gli acts live più interessanti in circolazione al momento, capace di stabilire un dialogo emotivo col pubblico fatto di pause e spoken word subacquei. Il suo album Delphine è ispirato al mito che suggerisce come, nonostante l’umanità si sia evoluta dalla specie marina, ci siano molte creature rimaste sott’acqua per esplorare l’oscurità come delfini. Il bestiario non può non includere anche la performance acerbissima ma super-promettente di Yves Jarvis che, come un giano bifronte, si destreggia tra registratore a bobina, tastiera e chitarra acustica, e ci porta nelle sue micro-epics di tutti i giorni come un predicatore che si confessa a cuore aperto alla folla di fedeli.
Circolo polare ipnotico: di manierismi e geometrie
Altre creature, via. Cate le Bon. E qui prendiamo fiato perché il suo concerto è senza dubbio uno degli highlight di Le Guess Who? edizione 2019. Come una Sfinge, mantiene una maschera simbolica per tutto il concerto che non lascia minimamente trasparire i propri pensieri, sentimenti, intenzioni: il suo show è un capolavoro di art-pop in uno dei momenti più alti della sua carriera.
Poi incontriamo il Nautilus di geometria cosmica della combo di piano e Moog marziale di Klavikon, che fa il paio con Tyondai Braxton, genio folle ex-Battles che propone un set di sperimentazioni elettroniche poppissime che ci fa volare, estasiati, sulle ali di Pegaso. E ancora Michele Mercure, veterana del synth-pop più minimal, capace di evocare il mito di Hypnos, dio del sonno, con visual vintage e arpeggiatori a dir poco magnetici.
Dicevamo: creature. Sono gli artisti della line-up (qui menzionati solo parzialmente, sarebbe stato impossibile altrimenti: ricordiamo con un sorriso i concerti di Doug Hream Blunt e Dur Dur Band), certo, ma lo sono pure gli organizzatori, lo staff e il pubblico tutto. Le Guess Who? è un festival epico – in tutti i sensi. E come ogni epica che si rispetta, è da raccontare e tramandare a voce per alimentare il mito.