Too many faces to please,
I can’t see a place for me.
I come home to write it all (For me)
I Can Hardly Speak
Ascolto questo disco in macchina e non vedo l’ora di tornare a casa a scriverne, come in questa canzone.
Scopro che quando Giuseppe Palmisano aveva diciannove anni e voleva fare l’attore ha scritto questo: “La verità è che se hai gli occhi pieni di lacrime vedi il doppio delle stelle in cielo”. “Everything Else Has Gone Wrong” è il quinto album dei Bombay Bicycle Club e più o meno fa lo stesso effetto: è un disco frustrante, triste, spigoloso, che riempie gli occhi di acqua salata ma allo stesso tempo è luminoso, liberatorio, di una quantità infinita di stelle sdoppiate, super pop, ricoperto di glitter. Una notte d’estate con gli occhi lucidi. E’ un album che sta perfettamente in equilibrio tra tutti i sentimenti, dondolando a volte verso il dolore più intimo e altre verso la gioia della consapevolezza, ma senza cadere mai ne da una ne dall’altra parte.
Tra il loro quarto album “So Long, See You Tomorrow” (uno dei dischi più belli che io abbia mai ascoltato) e quest’ultimo sono passati sei anni, un tempo infinito in cui Jack Steadman e il bassista Ed Nash hanno portato avanti i loro progetti solisti, uno con Mr Jukes (“God First” altro disco da ascoltare assolutamente) e l’altro sotto il nome di Toothless. Tornare indietro –in musica come in amore – vuol dire fare dei compromessi, sapere di dover accettare i rischi e una possibile sconfitta. Tornare indietro significa rimettersi i vestiti di un tempo anche se non siamo più gli stessi, anche se le mode sono cambiate, anche se abbiamo preso quindici chili e abbiamo perso tredicimila capelli. Alla fine è andato tutto bene, la nostalgia e le melodie dolci ci hanno fatto vibrare il cuore e le labbra anche questa volta.
I Worry Bout You parla della paura che si prova quando non sta bene la persona che si ama, ma anche della consapevolezza che l’amore romantico non basta e non risolve la lotta interiore con la salute mentale (“I know it never shows / but worry bout you”). I testi dell’album sono più intimi ed onesti e racchiudono un mondo anche un po’ deprimente, condito sempre con le melodie sbarazzine che ci hanno fatto muovere la testa per anni. Quello che ne riceviamo è una sorta di guarigione, di conforto, di terapia.
Do You Feel Loved invece parla dell’affermazione di sé stessi sui social, del desiderio di sentirsi accettati ma soprattutto “piaciuti” (“Soft blue light on the bed / watch ‘til your eyes turned red … Do you feel loved?”). È in questi momenti che capiamo perché sono tornati, e quanto bene riescono a fare in soli 41 minuti.
Good Day è il brano in cui la band inglese ci dà maggior dimostrazione del suo superpotere: la capacità di spezzarci il cuore e curarlo nel tempo in cui si passa dalla strofa al ritornello. (“I would quit my job / If I had a job / If I had a job, then I would have everything I want —-> (Do-do-do) I just wanna have a good day”)
Ascoltare questo disco è come sedersi in accappatoio immersi nel vapore subito dopo la doccia e ripensare a tutti gli errori commessi negli ultimi vent’anni.
Una riconciliazione, un esame di coscienza, un sospiro. Everything else has gone wrong.
I guess I found my peace again
And yes, I found my second wind
Eat, Sleep, Wake (Nothing But You)