Archy Marshall è troppo giovane per essere un pioniere. Eppure sono passati anni da quando la sua chitarra acquosa ha fatto irruzione nelle nostre playlist, lasciando spazio e coraggio a tutti quelli che sono venuti dopo di lui. Ma rispetto a tutto il “bedroom pop” che tanto gli deve, la sua musica ricerca una complessità sempre maggiore.
Un passo indietro.
In principio era Zoo Kid, un ragazzino che dal sud di Londra sognava Glastonbury con una rabbia unica e una voce piena di storie. Da subito si percepiva la sua capacità di collegare biografia e storia: nella sua prima hit Easy Easy citava Winston Churchill, iniettandolo però con un distillato di blues e disillusione.
A 17 anni è diventato King Krule e nel 2013 ha composto 6 Feet Beneath The Moon: un disco crudo e consapevole, giunto per dire a una generazione di adolescenti che forse era già troppo tardi, ma andava bene così. Questa linea tra conforto e disperazione è per King Krule un intero pianeta. Un luogo dove, grazie a grida e sussurri, si avvicina e si allontana dai suoi ascoltatori. Sono brevi i momenti in cui possiamo immedesimarci del tutto con le sue parole, come è difficile indovinare da quale genere sta traendo ispirazione.
Già ai tempi di 6 Feet traspariva una sensibilità hip-hop, ovattata dalle più evidenti tracce di indie-rock alla Jamie T e post-punk dell’era Joy Division.
Negli anni successivi l’hip-hop è emerso in superficie, sospinto da un apparente desiderio di isolamento e culminato nel progetto A New Place 2 Drown del 2015: una serie di beat atmosferici che portavano l’eredità di J Dilla, accompagnati da poesie e arte visiva in collaborazione con il fratello Jack. L’ennesimo universo in cui era facile perdersi.
Lo stesso fratello ha contribuito poi alla copertina di The OOZ, disco notturno ed ermetico. Il suo secondo album ha portato con sé generi più scomodi del primo, criptando il suo messaggio fra sassofoni e ritmi forzati. Suonava come una spedizione sulla luna di cui nessuno poteva rivelare l’intento.
Se potesse andare veramente sulla luna, probabilmente King Krule tornerebbe a casa senza chiedere medaglie o cerimonie. E lo stesso vale per i suoi amici di South East London –Jamie Isaac e Jesse James Solomon per dirne due- orgogliosi di fare arte ma impegnati nelle loro personali missioni.
A fine 2019, dopo aver prodotto con lo pseudonimo Edgar The Beatmaker l’EP del rapper londinese Jadasea, King Krule pubblica un video teaser per il suo nuovo progetto Man Alive!. Quattro canzoni sono mostrate al mondo nel modo più nudo possibile: versioni sparse e acustiche, suonate in paesaggi anonimi dove Archy ha lo spazio per camminare e farsi capire da chi ne ha voglia.
Mentre componeva il nuovo album, Marshall ha saputo che sarebbe diventato padre. Lui e la fidanzata si sono trasferiti nel nord-est dell’Inghilterra, in cerca della quiete giusta per finire una cosa grande e iniziarne una immensa. Il disco si divide infatti in due parti. Nelle prime tracce, di matrice post-punk, la voce interiore di King Krule prende il controllo. Fretta e urgenza sono le uniche regole, tutto è veloce e acido e travolgente.
Poi arriva l’interludio The Dream. I verbi sono ancora al condizionale, ma Archy si è voltato verso la sua coscienza. Da questa canzone in poi i ritmi si placano, il jazz è il benvenuto e se ci avviciniamo abbastanza possiamo intravedere qualche goccia di speranza. Ma appena incontriamo un momento sublime -“the sky was open and gorgeous”, esordisce la bucolica Theme for the Cross– King Krule ci ricorda che i tormenti hanno mille maschere.
I titoli non lasciano scampo, da Stoned Again a Perfecto Miserable fino a Please Complete Thee, pezzo finale in cui Marshall ci confessa il suo timore più grande: che l’orgoglio possa solo fare male.
Dopo aver ascoltato l’album dall’inizio alla fine, sentiamo il bisogno di prendere le distanze e stare in silenzio per un po’. E forse è questo il sentimento principe di King Krule, che per l’album ha suonato quasi tutti gli strumenti -eccetto il sax di Ignacio Salvadores– per essere sicuro che i tormenti dipinti fossero tutti suoi.
Dieci anni dopo Out Getting Ribs pensiamo di conoscere Archy Marshall, ma in realtà non conosciamo nemmeno i suoi alter ego. Esplorare le personalità di Archy è come osservare un pittore immerso in una palude, con tutti i suoi quadri sospesi qui e là: è proprio la sua riservatezza che ci spinge a svelare il mistero di ogni opera.
Man Alive! ci racconta che ha scoperto la dolcezza di una nuova vita, anche se l’angoscia ancora non se n’è andata.
Forse sta cercando di dirci che si sente finalmente vivo. Noi siamo qui ad ascoltare, accettando con ammirazione che non sono affari nostri.
Ascolta lo speciale andato in onda su Radio Raheem.